Disegno criminoso: quando la vicinanza dei reati non basta
Il concetto di disegno criminoso rappresenta un elemento cruciale nel diritto penale, in quanto consente di unificare più reati sotto un’unica lente, portando all’applicazione della disciplina più favorevole del reato continuato. Tuttavia, i criteri per il suo riconoscimento sono rigorosi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce che non basta la semplice somiglianza o vicinanza temporale tra i delitti per provarne l’esistenza; è necessario dimostrare un’unica programmazione iniziale. Analizziamo la decisione per comprendere meglio questi principi.
I fatti del caso
Il caso riguarda un individuo condannato con due distinte sentenze per una serie di reati, tra cui danneggiamento aggravato, furto aggravato, evasione e furto pluriaggravato in concorso. Questi crimini erano stati commessi nell’arco di circa dieci mesi. L’interessato ha presentato un’istanza al Tribunale per ottenere il riconoscimento di un unico disegno criminoso che legasse tutti i reati, al fine di beneficiare di un trattamento sanzionatorio più mite. Il Tribunale ha respinto la richiesta, e l’individuo ha quindi proposto ricorso per cassazione.
La prova del disegno criminoso: un onere a carico del richiedente
Il punto centrale della questione, come evidenziato dalla Suprema Corte, risiede nell’onere della prova. La giurisprudenza consolidata, richiamata nell’ordinanza, stabilisce che spetta al condannato che invoca il reato continuato fornire elementi specifici e concreti da cui si possa desumere l’esistenza di un piano unitario.
Non è sufficiente, a tal fine, fare generico riferimento a:
* Contiguità cronologica: il fatto che i reati siano stati commessi in un arco di tempo relativamente breve.
* Identità o analogia dei reati: la circostanza che i delitti siano della stessa natura (es. tutti reati contro il patrimonio).
Questi elementi, se non supportati da altro, possono al massimo indicare un’abitudine a delinquere o scelte di vita criminali, ma non un progetto criminoso unitario deliberato in anticipo.
La decisione della Corte di Cassazione sul disegno criminoso
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno confermato la correttezza della decisione del Tribunale, sottolineando come questa fosse basata su argomentazioni logiche e puntuali. In particolare, sono state evidenziate le differenze oggettive tra i reati commessi, che rendevano implausibile l’ipotesi di un piano unitario:
1. Diverse modalità operative: alcuni reati erano stati commessi dal soggetto da solo, altri in concorso con un complice.
2. Arco temporale esteso: un periodo di dieci mesi è stato ritenuto non così ristretto da suggerire un’unica ideazione originaria.
Il ricorso è stato quindi considerato un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. Il ricorrente non ha fornito alcun elemento concreto a sostegno della sua tesi, eludendo il principio fondamentale secondo cui il disegno criminoso richiede una programmazione unitaria, almeno nelle sue linee essenziali, che preceda la commissione del primo reato.
Le motivazioni
La motivazione della Corte si fonda sulla netta distinzione tra la generica ‘spinta criminosa’ (come il fine di lucro) e l’unicità del ‘disegno criminoso’. Mentre la prima può accomunare molti reati di natura patrimoniale, la seconda richiede qualcosa di più specifico: una deliberazione iniziale che abbracci tutti gli episodi delittuosi futuri. L’assenza di prova su questo punto è fatale per la richiesta. La Corte ha ribadito che l’onere di allegazione a carico del ricorrente è un principio cardine: in sua assenza, indici come la vicinanza temporale sono irrilevanti e, anzi, possono deporre a sfavore, delineando un quadro di abitualità nel commettere illeciti piuttosto che l’attuazione di un singolo progetto.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un orientamento rigoroso in materia di reato continuato. Per i condannati che intendono beneficiare di questo istituto, non è sufficiente presentare un’istanza basata su elementi generici. È indispensabile fornire prove concrete di una programmazione iniziale che colleghi i vari episodi criminosi. Questa decisione serve da monito: la giustizia richiede prove specifiche e non si accontenta di mere supposizioni, specialmente quando si tratta di concedere un beneficio che attenua la risposta sanzionatoria dello Stato.
Per ottenere il riconoscimento del reato continuato, è sufficiente che i reati siano simili e commessi in un periodo di tempo ravvicinato?
No. Secondo l’ordinanza, la sola contiguità cronologica o l’analogia dei titoli di reato non sono sufficienti. Questi elementi possono indicare un’abitudine criminale, ma non provano l’esistenza di un disegno criminoso unitario e preordinato.
Chi ha l’onere di provare l’esistenza di un unico disegno criminoso?
L’onere della prova spetta a chi richiede il riconoscimento del reato continuato. È il condannato che deve fornire elementi specifici e concreti che dimostrino l’esistenza di un programma criminoso unitario, definito almeno nelle sue linee essenziali prima della commissione del primo reato.
Commettere reati a volte da solo e a volte in concorso con altri può influire sul riconoscimento del disegno criminoso?
Sì. La Corte ha considerato le differenti modalità operative (agire da solo in un caso e in concorso in un altro) come un elemento che contrasta con l’idea di un’unica ideazione e programmazione, contribuendo a negare l’esistenza del disegno criminoso unitario.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5304 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5304 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CATANZARO il 13/02/2000
avverso l’ordinanza del 09/05/2024 del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato in intestazione.
Ritenuto che gli argomenti dedotti nel ricorso, sono manifestamente infondati, in quanto in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità in punto individuazione dei criteri da cui si può desumere l’esistenza di una volizione unitaria (c Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01).
Osservato che l’ordinanza impugnata, con argomentazioni puntuali e chiaramente espresse, ha correttamente rilevato e giustificato con compiutezza e logicità argomentativa la ritenuta insussistenza del medesimo disegno criminoso, accomunante i reati giudicati con le due sentenze oggetto dell’istanza del ricorrente, attenenti rispettivamente la prima ad un danneggiamento aggravato, un furto aggravato ed un’evasione, la seconda a un furto pluriaggravato ed un danneggiamento aggravato in concorso; il G.E. ha in particolare osservato come i reati fossero caratterizzati da differenti modalità operative (avendo in u caso il COGNOME agito da solo, e nell’altro in concorso con altro soggetto) e fossero sta commessi in un arco temporale (circa 10 mesi) non così ristretto da suggerire l’esistenza di un’unica ideazione;
Considerato che consolidata è l’affermazione della radicale diversità dell’identità dell spinta criminosa o del movente pratico (es. fine di lucro o di profitto) alla base di plur violazioni della legge penale rispetto alla unicità del disegno criminoso richiesto per configurabilità del reato continuato.
Ritenuto del pari radicato nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui all’is incombe un onere di allegazione di elementi specifici e concreti da cui desumere la fondatezza dell’assunto, irrilevante essendo, in difetto di tali dati sintomatici, i riferimento alla relativa contiguità cronologica degli addebiti od all’identità od analogia titoli di reato, indici, per lo più, di abitualità criminosa e di scelte di vita isp sistematica e contingente consumazione di illeciti piuttosto che di attuazione di un progetto criminoso unitario.
Preso atto che le censure, oltre a denunciare asserito difetto di motivazione non emergente dalla lettura del provvedimento impugnato, attengono tutte al merito e invocano, sostanzialmente, una nuova valutazione in fatto, non consentita in sede di legittimità.
Rilevato, in particolare, che il ricorrente non ha indicàto alcun concreto elemento a sostegno della pretesa identità di disegno criminoso tra le diverse violazioni, intervenute ad una distanza di mesi l’una dall’altra, eludendo il nucleo centrale dei principi fin qui enunci la necessità di una preventiva programmazione unitaria dei reati – quindi precedente al primo dei reati per i quali si chiede il riconoscimento del vincolo – almeno nella loro linea essenzia
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore
della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/11/2024