Disegno Criminoso: La Cassazione Chiarisce i Limiti della Continuazione tra Reati
L’istituto del disegno criminoso rappresenta un concetto cruciale nel diritto penale, consentendo di unificare diverse condotte illecite sotto un’unica matrice volitiva con importanti riflessi sul trattamento sanzionatorio. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini di tale istituto, chiarendo quando una serie di reati debba essere considerata come frutto di iniziative separate piuttosto che di un piano unitario. Analizziamo la decisione per comprendere meglio i criteri distintivi.
I Fatti del Caso: Una Richiesta di Unificazione delle Pene
Il caso nasce dalla richiesta di un soggetto, condannato per molteplici reati di truffa, tentata e consumata, sostituzione di persona e ricettazione, commessi nell’arco di due anni (2014 e 2015). L’interessato si era rivolto al Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Milano chiedendo che tutte le condanne fossero unificate sotto il vincolo della continuazione. In pratica, chiedeva che i vari reati fossero considerati come l’attuazione di un unico disegno criminoso iniziale, con la conseguenza di ottenere una pena complessiva più mite.
Il Tribunale di Milano, tuttavia, aveva rigettato la richiesta, ritenendo che mancassero i presupposti per applicare l’istituto della continuazione.
Il Ricorso in Cassazione: Critiche alla Valutazione del Giudice
Contro la decisione del Tribunale, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione. Le principali critiche (doglianze) si concentravano su due aspetti:
1. Erronea applicazione della legge penale: si contestava la valutazione sulla eterogeneità delle condotte.
2. Manifesta illogicità della motivazione: si riteneva che il giudice avesse trascurato gli indici che, secondo la difesa, rivelavano l’unicità del disegno criminoso, come le modalità operative e la natura dei reati.
In sostanza, il ricorrente lamentava che il Giudice dell’esecuzione non avesse colto il filo conduttore che legava i vari episodi delittuosi, concentrandosi erroneamente su aspetti come l’intensità della volontà colpevole (dolo) e la dannosità delle singole azioni.
La Decisione della Suprema Corte sul disegno criminoso
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando pienamente la decisione del Tribunale di Milano. Secondo gli Ermellini, le critiche sollevate dalla difesa non erano censure di legittimità, ma mere contestazioni di fatto, un tentativo di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove, cosa non consentita in sede di Cassazione.
Le Motivazioni
La Corte ha ritenuto la motivazione del provvedimento impugnato logica, coerente e giuridicamente corretta. Il Giudice dell’esecuzione aveva correttamente evidenziato che i fatti erano “del tutto slegati” tra loro. Non emergevano da un piano unitario e preventivo, ma apparivano piuttosto come “frutto di separate volizioni”.
Inoltre, la Corte ha sottolineato due elementi decisivi per escludere il disegno criminoso:
* L’ampio arco temporale: i reati si erano dipanati in un periodo esteso, rendendo “viepiù impensabile la preventiva ideazione unitaria degli stessi”.
* La propensione a delinquere: l’insieme delle condotte non era espressione di un piano specifico, ma manifestava una “radicata attitudine alla commissione della specifica tipologia delittuosa”. In altre parole, il soggetto non seguiva un copione prestabilito, ma coglieva singole occasioni per delinquere, mosso da una generale inclinazione criminale.
Le Conclusioni
La pronuncia ribadisce un principio fondamentale: per aversi un disegno criminoso, non è sufficiente una generica tendenza a commettere reati dello stesso tipo. È necessaria la prova di un’unica e preventiva deliberazione che abbracci tutti gli episodi criminosi. Quando i reati appaiono come iniziative autonome, separate nel tempo e non riconducibili a un programma unitario, il vincolo della continuazione non può essere riconosciuto. Questa decisione offre un importante criterio distintivo tra chi pianifica una serie di illeciti e chi, invece, agisce spinto da una propensione al crimine, commettendo reati in modo occasionale e slegato.
Quando può essere riconosciuto il vincolo della continuazione tra più reati?
Secondo la Corte, il vincolo della continuazione si applica solo quando i reati sono l’attuazione di un medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario ideato prima della commissione del primo reato, e non quando sono frutto di separate volizioni.
Una generale propensione a delinquere è sufficiente per configurare un disegno criminoso?
No. La Corte ha specificato che una radicata attitudine a commettere una certa tipologia di reati è cosa diversa da un disegno criminoso. Anzi, essa indica che i crimini sono espressione di separate iniziative e non di un piano unitario.
Quali elementi ha considerato la Corte per escludere il disegno criminoso in questo caso?
La Corte ha valorizzato il fatto che i crimini fossero “del tutto slegati” tra loro, commessi in un ampio arco temporale che rendeva impensabile un’unica ideazione preventiva, e che manifestassero una generale propensione al crimine piuttosto che l’esecuzione di un piano specifico.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5790 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5790 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MILANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 05/10/2023 del TRIBUNALE di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Milano – nella veste Giudice dell’esecuzione – ha rigettato la richiesta di unificazione sotto il vi della continuazione, presentata nell’interesse di NOME COGNOME, co riferimento a più condanne relative ai reati di truffa, tentata o consuma sostituzione di persona e ricettazione, tutti commessi negli anni 2014 e 2015.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, deducendo erronea applicazione della legge penale, con particolare riferimento al profilo della eterogeneità delle condotte, non manifesta illogicità della motivazione, per quanto inerisce agli indici rivela dell’unicità del disegno criminoso, segnatamente nella parte in cui viene attribu rilievo ai profili della intensità del dolo e della potenzialità lesiva delle c tenute.
Le doglianze poste e fondamento dell’impugnazione risultano inammissibili, in quanto costituite da mere critiche versate in punto di fatto, lamentando es come l’ordinanza avversata abbia trascurato gli indici rivelatori dell’unicità disegno criminoso, asseritamente emergenti dall’esame delle condotte delittuose realizzate. Dette censure, altresì, appaiono meramente riproduttive di profili doglianza che risultano già adeguatamente vagliati e disattesi – secondo u corretto argomentare giuridico – dal Giudice dell’esecuzione nel provvedimento impugNOME. In esso, invero, si evidenzia come i fatti in relazione ai quali si in la riunione in continuazione siano, tra loro, del tutto slegati, apparendo qu frutto di separate volizioni, oltre che espressione di una generale propensione a delinquenza del soggetto; trattasi peraltro, secondo il Giudice dell’esecuzione episodi criminosi che si dipanano entro un ampio arco temporale, così divenendo viepiù impensabile la preventiva ideazione unitaria degli stessi. Il tutto si appa in sostanza, come la manifestazione di una radicata attitudine alla commissione della specifica tipologia delittuosa, piuttosto che quale frutto del medes disegno criminoso. La motivazione posta a fondamento dell’impugnata ordinanza, infine, è logica e coerente, oltre che priva di spunti di contraddittorietà; in q tale, essa merita di rimanere al riparo da qualsivoglia stigma in sede di legitti
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve esser dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento
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una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Così deciso in Roma, 25 gennaio 2024.