Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13334 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13334 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 17/07/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG in persona del Sostituto Procuratore generale NOME
NOME COGNOME
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 17 luglio 2023 la Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza presentata nell’interesse di NOME COGNOME avente ad oggetto il riconoscimento della continuazione in relazione alle condanne riportate con le seguenti sentenze:
Corte di appello di Roma del 18 febbraio 2018, irrevocabile il 18 dicembre 2018, per il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 commesso a Roma dal 7 al 9 luglio 2013;
Corte di appello di Napoli del 27 maggio 2020, irrevocabile il 16 dicembre 2021, per i delitti di cui agli artt. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 (commesso a Napoli e Provincia dal 2010 ad oggi) e 73 stesso d.P.R. relativamente a cinque episodi di traffico di stupefacenti del tipo cocaina commessi a Napoli nell’aprile 2014.
Il giudice adito ha ravvisato gli unici elementi in comune tra i reati giudicat nelle due sentenze nell’identità dell’oggetto (la commercializzazione di sostanze stupefacenti), nel coinvolgimento in tutti i delitti di NOME COGNOME e, parzialmente di NOME COGNOME.
A fronte di tali elementi «comuni», la Corte napoletana ha evidenziato le molteplici differenze.
In primo luogo, l’essere stati commessi i fatti di cui alla seconda sentenza nel contesto di operatività di un gruppo di stampo camorristico operante a Napoli, mentre quelli oggetto della prima sentenza sono risultati commessi in tutt’altro ambito.
A tale proposito, è stato ricostruito il ruolo di COGNOME nel gruppo camorristico dei COGNOME avendo lo stesso, in particolare, prestato aiuto a NOME COGNOME e NOME COGNOME nel traffico di droga sottratta allo stesso clan e nella custodia delle armi.
Secondo la sentenza definitiva della Corte di appello di Napoli, COGNOME ricopriva un ruolo di vertice del gruppo dedito al narcotraffico, NOME COGNOME si occupava dei rapporti con i clienti e NOME COGNOME coadiuvava COGNOME nelle consegne degli stupefacenti.
Il giudice dell’esecuzione ha, altresì, delineato gli elementi posti a fondamento dell’accertata responsabilità penale di NOME in relazione ai cinque episodi di traffico di cocaina commessi nel giugno 2014.
Il diverso episodio di cui alla sentenza della Corte di appello di Roma, ha visto, invece, nella ricostruzione recepita dal giudice dell’esecuzione, una partecipazione di NOME (unitamente a quella di NOME COGNOME) del tutto
avulsa dal contesto associativo di operatività del RAGIONE_SOCIALE.
I due, su richiesta di COGNOME e di altro soggetto impegNOME nella gestione di un quantitativo di hashish sulla piazza di spaccio romana, erano intervenuti per aiutare lo sblocco di un sistema di custodia dello stupefacente e, immediatamente dopo avere prestato la propria opera, avevano fatto ritorno a Napoli.
Il giudice dell’esecuzione ha escluso qualsiasi continuità tra il contesto associativo napoletano e l’impresa romana che aveva visto il coinvolgimento, non preventivato, di COGNOME intervenuto solo per le descritte difficoltà operative ed estraneo a qualsiasi ulteriore contatto con altri partecipi dell’episodio avvenuto nella Capitale.
Tali elementi sono stati ritenuti idonei ad escludere che, sin dalla costituzione del RAGIONE_SOCIALE criminale, l’acquisto di hashish del luglio 2013 fosse stato previsto nelle sue linee essenziali e con sufficiente specificità.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, per mezzo del proprio difensore AVV_NOTAIO, articolando un motivo con il quale ha eccepito, cumulativamente, violazione di legge, contraddittorietà e illogicità della motivazione.
Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice dell’esecuzione, la lettura delle due sentenze dimostrava la sussistenza dell’identità del disegno criminoso.
Avrebbe dovuto essere valorizzata l’identità della natura dei reati e del contesto temporale, nonché la continuità rispetto all’inizio di operatività del RAGIONE_SOCIALE criminale (risalente al 2010).
Tali elementi, infatti, sono stati posti a fondamento della decisione di accoglimento di analoghe istanze presentate nei confronti dei coimputati NOME e NOME COGNOME.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
. Deve essere richiamato, preliminarmente, il principio per cui «in tema di applicazione della continuazione, l’identità del disegno criminoso, caratterizzante l’istituto discipliNOME dall’art. 81, secondo comma, cod. pen., postula che l’agente si sia previamente rappresentato e abbia unitariamente deliberato una serie di condotte criminose e non si identifica con il programma di vita delinquenziale del
reo, che esprime, invece, l’opzione dello stesso a favore della commissione di un numero non predetermiNOME di reati; essi, seppure dello stesso tipo, non sono identificabili a priori nelle loro principali coordinate, ma rivelano una generale propensione alla devianza che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali» (Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016, Eloumari, Rv. 266615, conforme Sez. 2, n. 10033 del 07/12/2022, dep. 2023, Mounir, Rv. 284420).
Peraltro, «il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spaziotemporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita. Per detto riconoscimento è richiesto, inoltre, che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati, se i successivi reati risultino comunque frutto d determinazione estemporanea (Sez. U., n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
Con riferimento specifico ai reati associativi e ai rapporti tra gli stessi e reati-fine, è stato deciso che «è configurabile la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati-fine nel caso in cui questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determiNOME a fare ingresso nel RAGIONE_SOCIALE, non essendo necessario che tale programmazione sia avvenuta al momento della costituzione dello stesso» (Sez. 1, n. 39858 del 28/04/2023, Sellaj, Rv. 285369).
Si tratta dell’orientamento prevalente, qui condiviso, suscettibile di essere esteso anche alla fattispecie dell’associazione dedita al narcotraffico.
Sul punto, va altresì, ribadito che «non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reati fine che, pur rientrando nell’ambito delle attività del RAGIONE_SOCIALE criminoso ed essendo finalizzati al suo rafforzamento, non erano programnnabili “ah origine” perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell’associazione» (Sez. 5, n. 54509 del 08/10/2018, Lo Giudice, Rv. 275334 02).
Nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione ha spiegato, con dovizia di particolari, per quali ragioni il delitto di cui alla sentenza n. 1) commesso a Roma nel 2013, sebbene in concorso con altri due componenti dell’associazione dedita
al narcotraffico, debba ritenersi non ispirato dal medesimo disegno criminoso dell’associazione.
In particolare, è stato esplicitato il motivo per cui non possa ritenersi dimostrata l’esistenza, sin dall’adesione al gruppo napoletano, la programmazione, sia pure a grandi linee, del reato avente ad oggetto l’hashish commesso nella Capitale.
A tale proposito, sono state valorizzate situazioni e contingenze occasionali che hanno determiNOME la partecipazione di NOME a quell’azione delittuosa.
Il fatto è maturato in un contesto del tutto eterogeneo rispetto a quello proprio del reato associativo e il coinvolgimento di NOME si è verificato in quanto egli ha accompagNOME NOME COGNOME, recatosi a Roma, su richiesta di NOME, per aprire il doppio fondo di un’automobile dove era stata occultata la sostanza stupefacente.
Il ruolo meramente esecutivo del ricorrente (al contrario di quello organizzativo di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) è stato ulteriormente valorizzato ai fini del rigetto.
A fronte di tale sintetica, ma priva di evidenti illogicità, il ricorso solle una rilettura di elementi già oggetto di disamina insistendo sull’identità dell’oggettività giuridica dei reati, sul profilo temporale e sul concorso con altr coimputati del delitto associativo.
Si tratta di profili già illustrati nell’ordinanza impugnata e ritenuti recess rispetto a quelli che hanno determiNOME il rigetto della richiesta.
Deve essere, sul punto, ribadito che «in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto post fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito» (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
Né può assumere rilievo decisivo la circostanza che nei confronti di altri coimputati si sia addivenuti al riconoscimento della continuazione, in quanto «in tema di riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, è irrilevante che in separata sede cognitiva o di esecuzione il vincolo ex art. 81, comma secondo, cod. pen. sia stato riconosciuto in favore di concorrenti nei reati plurisoggettivi oggetto della richiesta» (Sez. 1, n. 14824 del 08/01/2021, Zonno, Rv. 281186).
Peraltro, come segnalato, la Corte di appello ha evidenziato la diversità del ruolo di NOME rispetto a quello di altri soggetti (su tutti, NOME COGNOME) per i quali il vincolo esecutivo è stato riconosciuto.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuale e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» al versamento della somma, equitativamente fissata in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19/01/2024