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Disegno criminoso: quando non c’è continuazione

Un soggetto, condannato per due distinti reati di spaccio, ha richiesto il riconoscimento del vincolo della continuazione. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, escludendo l’esistenza di un unico disegno criminoso a causa delle notevoli differenze tra i due episodi: il lasso temporale di otto mesi, la diversa località, la differente tipologia di stupefacenti (hashish e marijuana contro cocaina) e la diversità dei complici. La sentenza ribadisce che per la continuazione è necessaria una programmazione unitaria dei reati fin dall’origine, non bastando la mera somiglianza delle condotte.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disegno Criminoso: Non Basta la Somiglianza dei Reati

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Prima Sezione Penale, fornisce chiarimenti cruciali sul concetto di disegno criminoso e sui presupposti per il riconoscimento del reato continuato. Anche quando i reati sono della stessa natura, non è automatico che siano legati da un’unica programmazione. Vediamo perché, analizzando un caso concreto di traffico di stupefacenti.

I Fatti del Caso: Due Condanne Distinte

Un individuo, già condannato con due sentenze irrevocabili, ha presentato un’istanza al Giudice dell’esecuzione per ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati.

Le due condanne riguardavano:
1. Reati commessi a Milano fino all’estate 2021: riguardanti sostanze stupefacenti come marijuana e hashish, in violazione degli articoli 73 e 74 del d.P.R. 309/1990.
2. Un reato commesso a Trieste il 14 febbraio 2022: relativo a un’ingente quantità di cocaina, in violazione degli articoli 73 e 80 dello stesso decreto.

Il ricorrente sosteneva che, nonostante le differenze, le condotte fossero parte di un unico progetto criminale, evidenziando il suo ruolo costante di procacciatore di grossi quantitativi di droga.

La Richiesta e il Rigetto del Giudice

Il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Milano aveva già rigettato la richiesta. La sua decisione si basava sulla constatazione di elementi che interrompevano l’unitarietà del presunto piano criminale. In particolare, il giudice aveva sottolineato:

* La distanza temporale: circa otto mesi tra la fine delle condotte milanesi e il fatto di Trieste.
* La diversità dei luoghi: Milano e Trieste.
* La diversa tipologia di stupefacente: si è passati da droghe leggere (marijuana, hashish) a una droga pesante (cocaina) in ingenti quantità.
* La diversa composizione del gruppo criminale: i coimputati nelle due vicende non coincidevano.

Questi fattori, secondo il giudice, impedivano di ravvisare un disegno criminoso unitario, programmato sin dall’inizio.

L’Analisi della Corte sul Disegno Criminoso

La Corte di Cassazione, investita del ricorso, ha confermato la decisione del Tribunale, cogliendo l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia. L’unicità del disegno criminoso presuppone un’ideazione anticipata e unitaria di più violazioni della legge penale. Non si tratta di un generico ‘stile di vita’ delinquenziale, ma di una programmazione specifica dei futuri reati, almeno nelle loro linee essenziali, già presente nella mente del reo prima della commissione del primo episodio.

Gli Indici Rivelatori della Continuazione

La prova di tale programmazione deve essere ricavata da indici concreti e significativi. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che, anche in sede di esecuzione, è necessaria un’approfondita verifica di elementi quali:

* L’omogeneità delle violazioni e del bene giuridico protetto.
* La contiguità spazio-temporale.
* Le modalità della condotta e l’eventuale sistematicità.
* La coincidenza dei soggetti coinvolti.

La semplice presenza di uno solo di questi indici non è sufficiente se gli altri elementi suggeriscono che i reati successivi siano frutto di una determinazione estemporanea e non di un piano originario.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto che il Giudice dell’esecuzione abbia correttamente applicato questi principi. Le motivazioni del rigetto sono state considerate logiche e ben argomentate. L’apprezzabile lasso di tempo, il diverso contesto geografico, la diversità dei coimputati e la differente tipologia di sostanza stupefacente sono elementi sufficienti per escludere che il secondo reato fosse stato programmato ‘ab origine’ insieme ai primi. Il ricorso è stato quindi giudicato infondato perché si limitava a proporre una valutazione alternativa dei fatti, senza evidenziare vizi logici o travisamenti nella decisione impugnata. La valutazione degli indici sintomatici del disegno criminoso, se motivata in modo adeguato, è di competenza del giudice di merito e non può essere messa in discussione in sede di legittimità.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma un principio fondamentale: per il riconoscimento del reato continuato non basta che più reati siano simili per tipologia (‘nomen iuris’). È indispensabile dimostrare, attraverso indicatori concreti e oggettivi, che tutti i reati erano parte di un’unica e preventiva programmazione. L’abitualità a delinquere o la semplice ricaduta nel reato non integrano, di per sé, l’elemento intellettivo richiesto per l’applicazione di questo istituto giuridico. Questa pronuncia serve da monito sulla necessità di un’analisi rigorosa e fattuale, che vada oltre le apparenze, per accertare l’esistenza di un vero e proprio disegno criminoso unitario.

Quando si può parlare di ‘disegno criminoso’ tra più reati?
Secondo la Corte, si può parlare di disegno criminoso solo quando esiste un’ideazione e programmazione unitaria di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità, prima che venga commesso il primo reato. Una generica propensione a delinquere non è sufficiente.

Quali elementi ha considerato la Corte per escludere il disegno criminoso in questo caso?
La Corte ha ritenuto decisivi per escludere il disegno criminoso i seguenti elementi: l’apprezzabile lasso di tempo tra i reati (circa otto mesi), il diverso contesto geografico (Milano e Trieste), la diversità dei coimputati nelle due vicende e la diversa tipologia di sostanza stupefacente (hashish/marijuana nel primo caso, cocaina nel secondo).

La somiglianza tra i reati è sufficiente per ottenere il riconoscimento della continuazione?
No. La sentenza chiarisce che la somiglianza dei reati (l’omogeneità per ‘nomen iuris’) non è di per sé sufficiente. È necessaria una verifica approfondita di indicatori concreti che dimostrino che i reati successivi erano stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, già al momento della commissione del primo, e non sono invece il frutto di una decisione estemporanea.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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