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Disegno criminoso: quando il tempo lo esclude

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata che chiedeva il riconoscimento del reato continuato per più episodi di spendita di monete false. La Corte ha stabilito che la notevole distanza temporale tra i fatti (undici mesi) è un elemento decisivo per escludere l’esistenza di un unico disegno criminoso, anche in presenza di condotte omogenee, configurando piuttosto un programma delinquenziale indeterminato.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disegno Criminoso e Reato Continuato: Quando il Tempo Spezza il Legame

L’istituto del reato continuato, che permette di unificare sotto un’unica pena più violazioni di legge, si fonda su un presupposto essenziale: l’esistenza di un medesimo disegno criminoso. Ma cosa succede quando i reati, pur essendo simili, sono commessi a grande distanza di tempo l’uno dall’altro? Con l’ordinanza n. 3828/2024, la Corte di Cassazione ha fornito un’importante precisazione, stabilendo che un notevole iato temporale può essere sufficiente a escludere l’unicità del piano criminale, anche a fronte di condotte omogenee.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso di una persona condannata per diversi episodi di spendita di banconote false. In fase di esecuzione della pena, la condannata aveva richiesto al Giudice dell’Esecuzione di applicare la disciplina della continuazione tra i vari reati, sostenendo che fossero tutti parte di un unico programma delinquenziale. La Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva però respinto l’istanza. Contro questa decisione, la ricorrente si è rivolta alla Corte di Cassazione, lamentando che il giudice di merito avesse ignorato consolidati principi giurisprudenziali sull’unicità del disegno criminoso, basandosi su una motivazione apparente.

La Decisione della Corte e il ruolo del disegno criminoso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in pieno la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno ribadito che il riconoscimento della continuazione, anche in sede esecutiva, richiede una verifica approfondita e rigorosa. Non basta constatare la somiglianza delle condotte (l’omogeneità dei reati) o una generica vicinanza spaziale e temporale. È necessario dimostrare che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali.

Le Motivazioni

La Corte ha articolato il proprio ragionamento su alcuni punti cardine:

1. Indici Rivelatori non Sufficienti: L’omogeneità delle violazioni e la contiguità spazio-temporale sono solo degli indici. Da soli, non provano l’esistenza di un’unica deliberazione iniziale. Possono, al contrario, indicare una scelta delinquenziale generica, che si rinnova di volta in volta.

2. Il Fattore Tempo come Elemento Decisivo: Nel caso di specie, i reati erano stati commessi nell’arco di undici mesi. Secondo la Corte, una tale distanza temporale è un elemento decisivo che depone contro l’unicità del disegno criminoso. Essa dimostra l’esistenza di un programma delinquenziale a carattere indeterminato e temporalmente indefinito, incompatibile con un’unica e antecedente risoluzione criminosa.

3. La Presunzione Giurisprudenziale: La Cassazione ha richiamato un principio consolidato secondo cui, in caso di reati commessi a notevole distanza di tempo, si presume (salvo prova contraria) che la commissione dei fatti successivi non potesse essere stata specificamente progettata al momento del primo. La prova contraria, naturalmente, è a carico di chi invoca il beneficio della continuazione.

4. Corretta Applicazione dei Principi: Il giudice dell’esecuzione, secondo la Cassazione, ha correttamente applicato questi principi. Pur riconoscendo la natura ripetitiva dei reati (spendita di monete false), ha individuato nella distanza temporale l’elemento cruciale per escludere l’unicità della programmazione iniziale.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento rafforza un principio fondamentale in materia di reato continuato: il beneficio non è un automatismo derivante dalla serialità dei crimini. L’elemento psicologico, ovvero l’unicità della deliberazione originaria, deve essere provato in modo rigoroso. La distanza temporale tra i fatti assume un peso determinante nell’analisi del giudice, creando una presunzione di pluralità di intenzioni criminali. Per superare questa presunzione, non basta allegare la somiglianza dei reati, ma occorre fornire elementi concreti che dimostrino come tutti gli episodi delittuosi fossero già stati concepiti, sin dall’inizio, come parte di un unico piano.

Quando più reati possono essere considerati uniti da un unico disegno criminoso?
Perché si possa parlare di un unico disegno criminoso, è necessario che al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati e deliberati, almeno nelle loro linee essenziali. Non è sufficiente una generica inclinazione a delinquere.

La somiglianza tra i reati commessi è sufficiente per ottenere la continuazione?
No. Secondo la Corte, l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, così come la contiguità spazio-temporale, sono solo indici rivelatori, ma di per sé non sono sufficienti a dimostrare l’esistenza di un’unica deliberazione iniziale.

Che valore ha la distanza di tempo tra un reato e l’altro per il riconoscimento del disegno criminoso?
Una notevole distanza temporale tra i reati (nel caso di specie, undici mesi) è un elemento decisivo che opera in senso contrario al riconoscimento della continuazione. Si presume, salvo prova contraria, che i reati successivi non fossero stati pianificati al momento del primo, ma siano frutto di nuove e autonome determinazioni volitive.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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