Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46316 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46316 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a AFRAGOLA il 07/04/1959
avverso l’ordinanza del 14/06/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria d’inammissibilità del ricorso;
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Con l’ordinanza in preambolo, la Corte di appello di Ancona, in funzione di giudice GLYPH dell’esecuzione, GLYPH ha GLYPH parzialmente GLYPH respinto GLYPH l’istanza GLYPH formulata nell’interesse di COGNOME NOME, intesa al riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione a reati separatamente giudicati sede di cognizione.
Segnatamente, ha ritenuto la sussistenza del vincolo di cui all’art. 81 cod. pen. tra i fatti di illecita detenzione di hashish e cocaina commessi in Acerra il 17 novembre 2020, giudicati con la sentenza della Corte di appello di Napoli in data 19 ottobre 2021, irrevocabile 18 ottobre 2022, e quello di detenzione illecita continuata di cocaina commesso dal 2018 fino al 7 marzo 2020, giudicati con la sentenza della Corte di appello di Ancona in data 2 febbraio 2023, irrevocabile il 31 ottobre 2023, ritenendo che si trattasse di condotte omogenee e temporalmente prossime.
Ha, invece, escluso l’unitaria e anticipata deliberazione con riferimento ai suddetti fatti e quello di detenzione illecita di hashish, commesso il 21 aprile 2015, giudicato con sentenza della Corte di appello di Ancona in data 16 giugno 2016, irrevocabile il 16 marzo 2017, stante il divario temporale, di ben tre anni rispetto ai primi reati della serie posta in continuazione.
Ricorre Barba per cassazione, per mezzo del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME e – con un unico motivo – lamenta violazione dell’art. 81 cod. pen. in punto di mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra tutti i fatti oggetto dell’istanza.
Deduce che il giudice a quo avrebbe disatteso l’uniforme giurisprudenza di legittimità in materia di criteri identificativi dell’unicità di disegno crimin certamente sussistente, nel caso di specie, attesa l’omogeneità delle violazioni l’analogia delle modalità di realizzazione (cessione di sostanze stupefacenti) e l chiamata in correità di Sambuchi, secondo cui egli aveva concordato con Barba d’intraprendere l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti sin da quand entrambi erano detenuti insieme e, cioè, nel 2015.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME intervenuto con requisitoria scritta depositata in data 13 settembre 2024, ha chiesto declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deduce censure manifestamente infondate.
2. Com’è noto, l’unicità di disegno criminoso, richiesta dall’art. 81, comma 2, cod. pen. non può identificarsi con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose o comunque con una generale tendenza a porre in essere determinati reati. D’altro canto la nozione d continuazione neppure può ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati siano s dettagliatamente progettati e previsti, in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte, giacché siffatt definizione di dettaglio oltre a non apparire conforme al dettato normativo, che parla soltanto di «disegno», e a non risultare necessaria per l’attenuazione de trattamento sanzionatorio, pone l’istituto fuori dalla realtà concreta, data variabilità delle situazioni di fatto e la loro prevedibilità, quindi e normalment solo in via approssimativa.
Quello che occorre, invece, è che si abbia una programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte in vista di un unico fine. programmazione può essere perciò ab origine anche di massima, purché i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale, con riserva di “adattamento” alle eventualità del caso, come mezzo al conseguimento di un unico scopo o intento, prefissato e sufficientemente specifico. Ed è in relazione all’unitarietà del fine che la coerenza modale degli episodi e la loro contigui temporale fungono da indizio della assenza di interruzioni o soluzioni di continuità della deliberazione originaria, dell’impossibilità di affermare, cioè, c gli episodi successivi siano frutto dell’insorgenza di autonome risoluzioni antidoverose.
Se, dunque, può escludersi che una programmazione e deliberazione unitaria possa essere desunta sulla sola base dell’analogia dei singoli reati p come in concreto realizzati o dell’unitarietà del contesto, ovvero ancora della identità della spinta a delinquere o della brevità del lasso temporale che separ lo svolgimento dei diversi episodi, neppure può dubitarsi che ciascuno di codesti fattori, nessuno di per sè “indizio necessario”, aggiunto ad altro incrementa l possibilità che debba riconoscersi l’esistenza del medesimo disegno criminoso, in proporzione logica corrispondente all’aumento delle coincidenze indiziarie favorevoli.
Soccorre, in materia, il diritto vivente secondo cui il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di un’approfondita e rigorosa verifica, onde riscontrare se
effettivamente, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074-01). Si è poi chiarito che l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, nonché la contiguità spazio-temporale degli illeciti, rappresentano solo alcuni degli indici in tal senso rivelatori, i seppure indicativi di una determinata scelta delinquenziale, non consentono, di per sé soli, di ritenere che gli illeciti stessi siano frutto di determinazioni vo risalenti ad un’unica deliberazione di fondo (Sez. 3, n. 3111 del 20/11/2013, dep. 2014, P., Rv. 259094).
3. Tanto premesso, venendo al provvedimento in esame, il Giudice dell’esecuzione – con motivazione sintetica, nna adeguata e in alcun modo avversata dal ricorrente – non ha trascurato l’omogeneità degli episodi oggetto di ricorso e, tuttavia, ha evidenziato il considerevole lasso temporale tra condotte di detenzione di stupefacente, per il divario temporale di ben tre anni tra la condotta di detenzione illegale di hashish commessa il 21 aprile 2015 rispetto alla prima della serie posta in continuazione, ossia la detenzion continuata di cocaina, commessa dall’anno 2018 fino al 7 marzo 2020, giudicata con la sentenza della Corte di appello di Ancona in data 2 febbraio 2023, irrevocabile il 31 ottobre 2023.
Tale motivazione è perfettamente in linea con la giurisprudenza della Corte secondo cui «nel caso di reati commessi a distanza temporale l’uno dell’altro, si deve presumere, salvo prova contraria, che la commissione d’ulteriori fatti, anche analoghi per modalità e nomen juris, non poteva essere progettata specificamente al momento di commissione del fatto originario, e deve quindi negarsi la sussistenza della continuazione» (Cass. Sez. 4, n. 34756 del 17/052012, Madonia, Rv. 253664; Sez. 1, 3747 del 16/01/2009, COGNOME Rv. 242537).
La Corte territoriale si è anche fatta carico di avversare l’argomento difensivo posto a fondamento della richiesta di applicazione della disciplina di favore e che il ricorrente agita identicamente nel ricorso, ovverosia il contenut delle dichiarazioni di COGNOME, secondo cui – in occasione di una comune detenzione nel 2015 – vi sarebbe stata una proposta di collaborazione da parte di Barba nell’attività di spaccio di sostanze stupefacenti, poi concretizzata n 2018. Il Giudice dell’esecuzione ha, in proposito, osservato – con motivazione scevra da fratture razionali – che tali dichiarazioni attesterebbero al più concerto criminoso in divenire ed estemporaneo fino al momento della sua concretizzazione nel 2018, sicché lo stesso non poteva farsi retroagire quale elemento unificatore di condotte attuate nel 2015.
Per le considerazioni sin qui esposte il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile con conseguente la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritua dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 31 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
Presidente