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Disegno criminoso: quando il giudice può negarlo

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva l’applicazione della continuazione tra reati. L’ordinanza sottolinea che la valutazione sull’esistenza di un unico disegno criminoso è una questione di fatto di competenza del giudice di merito, e non può essere riesaminata in sede di legittimità se la motivazione è logica e adeguata, come nel caso di specie, dove la distanza temporale e la diversa localizzazione dei fatti escludevano un piano unitario.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disegno Criminoso: La Cassazione Chiarisce i Limiti del Giudice

L’istituto della continuazione nel reato, basato sull’esistenza di un unico disegno criminoso, rappresenta una questione cruciale nel diritto penale, potendo influenzare significativamente l’entità della pena finale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini invalicabili tra la valutazione del giudice di merito e il controllo di legittimità, chiarendo quando un ricorso su questo tema è destinato a fallire. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso di un individuo, già condannato con due sentenze irrevocabili per una serie di reati commessi in un arco temporale di quattro anni (dal 2010 al 2014). L’interessato si era rivolto al giudice dell’esecuzione, chiedendo di applicare la disciplina della continuazione, sostenendo che tutte le condotte delittuose fossero riconducibili a un medesimo disegno criminoso.

La Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva tuttavia rigettato l’istanza. Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando che il giudice non avesse adeguatamente considerato la similarità dei reati e il periodo in cui erano stati commessi come prova di un piano unitario.

La Decisione della Corte sul Disegno Criminoso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Suprema Corte ha stabilito che la decisione del giudice dell’esecuzione era corretta e fondata su una motivazione logica e coerente. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende.

L’accertamento del disegno criminoso è una questione di fatto

Il fulcro della decisione risiede in un principio consolidato: l’accertamento dell’unicità del disegno criminoso costituisce una “questione di fatto”. Questo significa che la sua valutazione è rimessa esclusivamente al giudice di merito, il quale ha il compito di analizzare concretamente le prove e le circostanze del caso. Il sindacato della Corte di Cassazione è limitato al solo controllo della logicità e della coerenza della motivazione, senza poter entrare nel merito delle scelte valutative.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che il giudice dell’esecuzione aveva svolto correttamente il proprio compito. Aveva infatti esaminato i fatti già giudicati e concluso che non fossero riconducibili a una “preordinazione di fondo”. La motivazione di tale rigetto non era né manifestamente illogica né contraddittoria.

Il giudice di merito aveva basato la sua decisione su elementi concreti e pertinenti, quali:

1. La distanza temporale tra i singoli fatti delittuosi.
2. La non completa omogeneità spaziale delle condotte, indicando che i reati non erano stati commessi sempre nello stesso luogo o contesto.
3. La mancanza di ulteriori elementi che potessero indicare l’esistenza di un medesimo programma criminoso pianificato in anticipo.

Secondo la Cassazione, il ricorso presentato si limitava a sollecitare una “non consentita rilettura degli elementi di fatto”, proponendo parametri di valutazione diversi da quelli legittimamente adottati dal giudice dell’esecuzione. Un tentativo del genere è inammissibile in sede di legittimità, il cui scopo non è riesaminare le prove, ma garantire la corretta applicazione della legge.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale per chiunque affronti un procedimento penale. Per ottenere il riconoscimento della continuazione, non è sufficiente dimostrare una generica somiglianza tra i reati o il loro compimento in un determinato arco temporale. È indispensabile fornire al giudice elementi concreti che provino l’esistenza di un piano unitario, deliberato prima della commissione del primo reato. La valutazione del giudice di merito su questo punto, se sorretta da una motivazione logica e priva di vizi evidenti, è sostanzialmente insindacabile in Cassazione. Questa decisione serve da monito: un ricorso basato sulla mera speranza di una diversa interpretazione dei fatti, senza denunciare vizi di legittimità, è destinato all’inammissibilità e a ulteriori costi per il ricorrente.

È sufficiente che più reati siano dello stesso tipo e commessi in un arco di tempo definito per ottenere il riconoscimento della continuazione?
No, non è sufficiente. La Corte ha chiarito che, oltre a questi elementi, è necessario dimostrare l’esistenza di un’unica preordinazione di fondo, cioè un piano unitario concepito prima di commettere il primo reato, cosa che nel caso di specie non è stata provata.

La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti per decidere se esiste un unico disegno criminoso?
No. La valutazione dell’esistenza di un unico disegno criminoso è una questione di fatto riservata al giudice di merito. La Cassazione può solo controllare che la motivazione della decisione non sia manifestamente illogica o contraddittoria, senza entrare nel merito della valutazione.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione si limita a chiedere una diversa valutazione dei fatti già esaminati dal giudice precedente?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Come stabilito in questo caso, non è consentito sollecitare in sede di legittimità una rilettura degli elementi di fatto per ottenere una decisione diversa, specialmente quando la motivazione del giudice precedente è logica e adeguata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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