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Disegno criminoso: quando i reati non sono collegati

La Corte di Cassazione ha stabilito che reati di natura diversa, come le violazioni tributarie e la ricettazione di prodotti contraffatti, non rientrano in un unico disegno criminoso solo perché commessi a vantaggio della stessa società. Per applicare il vincolo della continuazione, è necessaria una programmazione unitaria che vada oltre il generico scopo di lucro, cosa che la Corte ha escluso nel caso di specie, dichiarando inammissibile il ricorso dell’imputata.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disegno criminoso: reati diversi, piani separati

Comprendere i confini del disegno criminoso è fondamentale nel diritto penale, poiché da esso dipende l’applicazione del più favorevole istituto della continuazione tra reati. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti, stabilendo che reati molto diversi tra loro, come quelli fiscali e quelli contro il patrimonio (es. ricettazione), non possono essere uniti da un unico disegno criminoso solo perché commessi a vantaggio della stessa azienda. Analizziamo la decisione per capire i criteri distintivi utilizzati dai giudici.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda la legale rappresentante di una società, condannata con diverse sentenze per due blocchi di reati distinti. Il primo blocco includeva violazioni tributarie (art. 4 d.lgs. 74/2000), mentre il secondo comprendeva reati di introduzione nello Stato e commercio di prodotti contraffatti e ricettazione (artt. 474 e 648 c.p.).

In sede di esecuzione, il Tribunale aveva riconosciuto il vincolo della continuazione all’interno di ciascun blocco di reati, ma non tra i due gruppi. In pratica, ha considerato che esistessero due distinti disegni criminosi: uno finalizzato all’evasione fiscale e un altro legato al commercio di merce illecita. Di conseguenza, le pene erano state rideterminate separatamente e, superando i limiti di legge, erano stati revocati i benefici della sospensione condizionale e della non menzione precedentemente concessi.

La difesa dell’imputata ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che tutti i reati, pur diversi, fossero sorretti da un’unica finalità: garantire maggiori profitti e risparmi di spesa alla società. Secondo questa tesi, si trattava di un unico, complessivo disegno criminoso.

La Decisione della Corte di Cassazione sul disegno criminoso

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la valutazione del giudice dell’esecuzione. I giudici hanno ribadito che, per riconoscere un unico disegno criminoso, non è sufficiente individuare un generico movente economico, come il perseguimento del profitto aziendale.

La Corte ha evidenziato la profonda eterogeneità tra i reati tributari e quelli di contraffazione/ricettazione, sia per le modalità di esecuzione sia per i beni giuridici tutelati. L’argomentazione della difesa è stata ritenuta troppo generica, poiché non offriva elementi concreti per dimostrare una programmazione unitaria e originaria di tutti gli illeciti.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della motivazione risiede nella distinzione tra un ‘programma di vita delinquenziale’ e un ‘medesimo disegno criminoso’. Il primo indica una generica propensione a delinquere per risolvere i propri problemi, che si concretizza in reati occasionali e non predeterminati. Il secondo, invece, richiede una deliberazione iniziale e una programmazione di una pluralità di reati, concepiti come mezzo per conseguire un fine specifico e unitario.

Secondo la Cassazione, il giudice dell’esecuzione ha correttamente escluso che il semplice vantaggio economico per la stessa impresa potesse fungere da collante tra condotte così diverse. Tale elemento è stato considerato ‘del tutto equivoco’ e più compatibile con una generale propensione al crimine per finalità di lucro, piuttosto che con un piano preordinato. Mancavano, infatti, indicatori concreti di unificazione, come l’omogeneità delle violazioni, la contiguità spazio-temporale o la sistematicità delle condotte, che potessero collegare i reati fiscali a quelli contro il patrimonio.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza rafforza un principio fondamentale: per ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione, non basta affermare che tutti i reati sono stati commessi per ‘fare profitto’. È necessario dimostrare, con elementi concreti, che i diversi illeciti erano stati programmati sin dall’inizio come parte di un unico piano strategico. La decisione serve da monito: la valutazione del disegno criminoso non è un automatismo, ma richiede un’analisi approfondita della natura, delle modalità e delle finalità specifiche di ogni singolo reato, per verificare se essi siano effettivamente riconducibili a un’unica matrice deliberativa.

Quando più reati possono essere considerati parte di un unico disegno criminoso?
I reati possono essere considerati parte di un unico disegno criminoso quando, al momento della commissione del primo, i successivi erano già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, come parte di un piano unitario per raggiungere un fine specifico. Non è sufficiente una generica propensione a delinquere.

Il fine di profitto per la propria azienda è sufficiente a unificare reati di natura diversa?
No. Secondo la sentenza, il generico fine di profitto per la propria azienda è un elemento troppo equivoco e non basta a dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso tra reati eterogenei per modalità esecutive e bene giuridico protetto, come quelli fiscali e quelli di ricettazione.

Qual è la differenza tra ‘disegno criminoso’ e ‘programma di vita delinquenziale’?
Il ‘disegno criminoso’ implica una programmazione iniziale e specifica di una serie di reati per un fine unitario. Il ‘programma di vita delinquenziale’, invece, descrive una generica opzione a favore del crimine, che si manifesta in reati non predeterminati, commessi in base alle occasioni che si presentano, rivelando una generale propensione alla devianza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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