Disegno Criminoso: Quando la Propensione a Delinquere Non Basta
Il concetto di disegno criminoso è fondamentale nel diritto penale per determinare se più reati, commessi dalla stessa persona, possano essere considerati come un’unica azione frutto di un singolo piano. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti, stabilendo che una generica propensione a commettere reati non è sufficiente a configurare un’ideazione unitaria. Analizziamo insieme questa decisione e le sue implicazioni.
I Fatti del Caso
Un soggetto, già condannato con diverse sentenze, presentava un’istanza al Giudice dell’esecuzione per ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati, chiedendo l’applicazione della disciplina del reato continuato basata sull’esistenza di un unico disegno criminoso. L’obiettivo era ottenere un trattamento sanzionatorio più mite, unificando le pene inflitte. La Corte d’Appello, tuttavia, respingeva la richiesta, ritenendo che mancassero gli elementi per considerare le varie condotte delittuose come parte di un medesimo progetto.
Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e sostenendo che la Corte territoriale avesse ignorato gli indici che, a suo avviso, dimostravano l’unicità del piano criminale.
La Decisione della Corte: l’Inammissibilità del Ricorso sul Disegno Criminoso
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. I motivi di questa pronuncia sono cruciali per comprendere i limiti applicativi dell’istituto. La Corte ha evidenziato come le censure del ricorrente fossero in realtà “mere doglianze in punto di fatto”, ovvero critiche alla valutazione delle circostanze operata dalla Corte d’Appello, piuttosto che denunce di una reale violazione di norme giuridiche. Questo tipo di critica non è ammesso nel giudizio di legittimità, che si concentra sulla corretta applicazione del diritto e non sulla ricostruzione dei fatti.
Le Motivazioni della Corte
La Corte di Cassazione ha condiviso pienamente l’argomentazione del giudice precedente, che aveva escluso la sussistenza di un disegno criminoso unitario. Secondo i giudici, i reati contestati non erano il frutto di una “preventiva ideazione unitaria”, ma piuttosto di una “generica propensione alla commissione della specifica tipologia delittuosa”. In altre parole, l’autore dei reati non aveva pianificato tutto in anticipo, ma aveva agito spinto da una tendenza a delinquere che si manifestava in diverse occasioni.
Un elemento decisivo nella motivazione è stato il riferimento a una condanna per associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) a carico del ricorrente. Sebbene questa appartenenza potesse, in teoria, suggerire un contesto criminale unificante, nel caso specifico era stato escluso in sede di giudizio che i reati in questione fossero stati commessi per favorire l’associazione mafiosa. Questa mancanza di un fine comune e superiore ha rappresentato la prova definitiva dell’assenza di un piano unitario, rendendo le singole condotte episodi distinti e non tessere di un unico mosaico criminale.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza: per il riconoscimento del disegno criminoso non basta la somiglianza dei reati o la loro vicinanza nel tempo. È necessario dimostrare l’esistenza di un programma criminoso deliberato in anticipo, che leghi finalisticamente tutte le condotte. Una semplice inclinazione a commettere una certa categoria di illeciti, anche se persistente, non è sufficiente. La decisione sottolinea inoltre che, anche in contesti di criminalità organizzata, ogni reato deve essere valutato nel suo specifico scopo. Se manca la prova che l’azione era finalizzata a sostenere gli interessi del gruppo criminale, viene meno l’elemento unificante necessario per applicare la disciplina del reato continuato.
Quando più reati possono essere considerati parte di un unico disegno criminoso?
Secondo la Corte, ciò avviene solo quando sono frutto di una ‘preventiva ideazione unitaria’, ovvero un piano concepito prima della commissione dei reati. Una semplice ‘generica propensione’ a commettere un certo tipo di reato non è sufficiente.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le critiche sollevate non riguardavano violazioni di legge, ma si limitavano a contestare la valutazione dei fatti compiuta dalla Corte d’Appello. Tali ‘doglianze in punto di fatto’ non possono essere esaminate dalla Corte di Cassazione.
In questo caso, la condanna per associazione mafiosa ha aiutato a dimostrare il disegno criminoso?
No, al contrario. I giudici hanno sottolineato che era stato escluso in modo definitivo che i reati in questione fossero stati commessi per favorire l’associazione mafiosa. Questa assenza di un fine comune ha rafforzato la tesi che mancasse un’ideazione unitaria, trattandosi di condotte criminose distinte.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31721 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31721 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CINQUEFRONDI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 03/10/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso presentato da NOME COGNOME, per il tramite del difensore AVV_NOTAIO – impugnazione nella quale il difensore si duole della violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen., lamentando come l’ordinanza avversata abbia trascurato gli indici rivelatori dell’unicità del disegno criminoso, a fondamento delle condotte delittuose poste in essere – sono inammissibili, in quanto costituite da mere doglianze in punto di fatto, oltre che in contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità;
Rilevato che la difesa ha presentato memoria, a mezzo della quale ha ribadito la correttezza di tutte le argomentazioni sussunte nell’atto di impugnazione ed ha poi allegato un provvedimento – che ha richiamato in parte motiva – emesso dal Tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria, così chiedendo la riassegnazione del ricorso alla sezione ordinaria;
Considerato che dette censure sono, altresì, riproduttive di profili critici già adeguatamente vagliati e disattesi – secondo un corretto argomentare giuridico dalla Corte di appello di Reggio Calabria, in funzione di Giudice dell’esecuzione, nel provvedimento impugnato.
In esso, invero, si evidenzia come i reati in esame non possano essere considerati frutto di preventiva ideazione unitaria, bensì di una generica propensione alla commissione della specifica tipologia delittuosa; ciò soprattutto a causa del fatto che – a prescindere dalla circostanza che siano state contestate anche violazioni in materia di armi, in entrambe le sentenze in relazione alle quali viene domandata la riunione e nonostante la intervenuta condanna ex art. 416bis cod. pen.- è stato però sempre escluso che le condotte ascritte fossero volte a favorire l’associazione mafiosa di appartenenza, così da poter essere considerate espressive di ideazione preventiva unitaria;
Ritenuto che non possa condurre a difformi lumi il contenuto della memoria difensiva di cui sopra, che ha natura praticamente reiterativa delle precedenti deduzioni e che si risolve – in maniera non dissimile da quelle – nella prospettazione di enunciati ermeneutici contrastanti sia con il dato normativo, sia con la consolidata giurisprudenza di legittimità;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso vada dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2024.