Disegno Criminoso e ‘Stile di Vita’: Quando la Continuazione non si Applica
L’applicazione del disegno criminoso, istituto previsto dall’art. 81 del codice penale, è un tema cruciale in fase esecutiva, poiché consente di unificare più condanne sotto un’unica pena più favorevole. Tuttavia, non basta che i reati siano simili o commessi in un certo arco temporale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che l’unicità del programma criminoso deve essere provata fin dal primo reato, escludendola quando i fatti sembrano piuttosto rientrare in uno ‘stile di vita’ delinquenziale.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato con tre diverse sentenze per reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti, commessi tra il 2014 e il 2018, aveva richiesto alla Corte d’Appello, in qualità di giudice dell’esecuzione, di applicare la disciplina della continuazione. La sua tesi era che tutti i reati fossero stati commessi nel contesto di un’unica associazione criminale, e quindi facessero parte di un medesimo disegno criminoso.
La Corte d’Appello, tuttavia, rigettava la richiesta. Avverso tale decisione, il condannato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge, insistendo sul fatto che le diverse cessioni di stupefacenti fossero tutte esecuzione di un unico programma associativo.
La Decisione della Corte e l’esclusione del disegno criminoso
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le doglianze manifestamente infondate. Gli Ermellini hanno confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello, la quale aveva adeguatamente motivato le ragioni per cui non era possibile riconoscere un unico disegno criminoso.
Il punto centrale della decisione è che l’unicità del programma criminale deve essere rintracciabile sin dal momento della commissione del primo reato. Non è sufficiente che i reati siano omogenei o che si inseriscano in un contesto associativo più ampio. È necessario dimostrare che l’agente avesse pianificato, fin dall’inizio, la sequenza di illeciti come parte di un unico progetto.
Le Motivazioni
La Corte ha evidenziato come, nel caso di specie, mancassero elementi concreti per desumere tale unicità di programmazione. In particolare, alcuni episodi di spaccio, come la cessione di droga al fratello e la detenzione con la moglie, non emergevano dagli atti come parte integrante del piano dell’associazione criminale. Piuttosto, secondo i giudici, tali condotte apparivano come espressione di uno ‘stile di vita’ del condannato, slegate da una programmazione unitaria e preordinata.
La Cassazione ha ribadito un principio consolidato, citando anche le Sezioni Unite: l’identità del disegno criminoso non può essere presunta, ma deve essere rigorosamente provata. Il ricorso, secondo la Corte, si limitava a sollecitare una rilettura dei fatti, non consentita in sede di legittimità, senza evidenziare reali difetti di motivazione nel provvedimento impugnato.
Conclusioni
Questa ordinanza offre un importante spunto di riflessione sui limiti dell’istituto della continuazione. La decisione sottolinea che per l’applicazione del disegno criminoso non è sufficiente un generico contesto criminale o la ripetizione di reati dello stesso tipo. È indispensabile la prova di un’originaria e unitaria deliberazione che abbracci tutti gli episodi delittuosi. Laddove i reati appaiano come scelte estemporanee o espressione di una consuetudine illecita (‘stile di vita’), il beneficio della continuazione deve essere negato. Di conseguenza, la difesa deve fornire elementi specifici che dimostrino, fin dal primo reato, l’esistenza di un programma criminoso unitario e predeterminato.
Quando può essere riconosciuto il disegno criminoso tra più reati?
Per riconoscere il disegno criminoso è necessario che l’identità del programma illecito sia rintracciabile sin dalla commissione del primo reato. Non è sufficiente che i reati siano simili o commessi in un arco temporale ravvicinato.
Perché la Corte ha negato l’applicazione del disegno criminoso in questo caso specifico?
La Corte l’ha negata perché dagli atti non emergeva che i singoli episodi di spaccio (in particolare quelli a un familiare e quelli commessi con la moglie) facessero parte di un unico piano criminoso legato all’associazione, ma apparivano piuttosto come espressione dello ‘stile di vita’ del condannato.
Il fatto che i reati siano della stessa natura e commessi nell’ambito di un’associazione criminale è sufficiente a dimostrare un unico disegno criminoso?
No, secondo l’ordinanza non è sufficiente. È necessario dimostrare che i singoli fatti illeciti siano stati specificamente pianificati come esecuzione di un medesimo e originario programma associativo, cosa che in questo caso non è stata provata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20111 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20111 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BRINDISI il 30/04/1986
avverso l’ordinanza del 24/01/2025 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che la Corte di appello di Lecce, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di NOME COGNOME di applicare la disciplina di cui all’art 81 cod. pen. tra i reati oggetto dei seguenti provvedimenti: 1) sentenza Gip Tribunale di Lecce del 9 luglio 2021, definitiva il 10 luglio 2023; 2) sentenza Gip del Tribunale di Brindisi del 25 febbraio 2021, irrevocabile il 4 ottobre 2024; 3) sentenza del Gip del Tribunale di Brindisi ex art. 444 cod. proc. pen. del 28 settembre 2017, irrevocabile il 30 gennaio 2018;
Rilevato che in due motivi con il ricorso si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 81 cod. pen. e 671 cod proc. pen. quanto all’omessa considerazione che tutti i fatti sono stati commessi nel contesto e nell’alveo dei reati associativi di cui agli artt. 416-bis cod. pen. e 74 d.p.r. 309 del 1990 commessi a Brindisi dal 2014 al 2018 oggetto della sentenza sub 1) e che gli ulteriori fatti, relativi sempre alla cessione di sostanze stupefacenti, sono esecuzione del medesimo disegno e programma associativo al quale il ricorrente partecipava anche gestendo le attività relative agli acquisti e alle cessioni di sostanze stupefacenti;
Ritenuto che le doglianze sono manifestamente infondate in quanto il provvedimento impugnato ha correttamente e adeguatamente motivato in ordine alla necessità che l’identità del disegno criminoso debba essere rintracciabile sin dalla commissione del primo reato e come questo non sia desumibile dagli atti dai quali -in assenza di altri elementi- non emerge che i fatti di cessione di cessione di sostanze stupefacenti al fratello e la detenzione e cessione commesse unitamente alla moglie facessero parte del medesimo contesto criminoso relativo all’attività dell’associazione e che, piuttosto, questi rientrassero nello stile di vit del condannato (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 1, n. 13971 del 30/3/2021, di Serio, n.m.; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, B, Rv. 260896 – 01);
Ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile in quanto le doglianze, oltre a sollecitare una diversa e alternativa lettura delle argomentazioni poste alla base dell’ordinanza impugnata, non consentita in questa sede (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601), denunciano difetti di motivazione non emergenti nel provvedimento impugnato;
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del
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ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazio della causa di inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta congrua, d
euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa del
ammende.
Così deciso il 17/4/2025