Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5037 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 5037  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME a BARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/05/2023 del TRIBUNALE di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOMECOGNOME lette/sone le conclusioni del PG
udito il difensore
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME ricorre avverso l’ordinanza del 12 maggio 2023 del Tribunale di Bari che, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di applicazione della disciplina della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., con riguardo:
al reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, ai sensi dell’art. 75 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, commesso 11 31 gennaio 2014, giudicato dalla Corte di appello di Bari con sentenza del 28 giugno 2019, definitiva il 21 dicembre 2019;
al reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, ai sensi dell’art. 75 d.lgs. n. 159 del 2011, commesso il 4 febbraio, 25 marzo e 19 maggio 2014, giudicato dalla Corte di appello di Bari con sentenza del 13 aprile 2021, definitiva il 26 maggio 2022.
La ricorrente denuncia erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen., e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, perché il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di accertare la sussistenza degli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso, tra i quali: l’omogeneità dei reati, il medesimo contesto spaziotemporale e il medesimo movente (posto che la condannata aveva posto in essere i reati oggetto dell’istanza al fine di raggiungere il compagno NOME). 
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il giudice dell’esecuzione, infatti, ha evidenziato che l’istanza difettava della prova circa la sussistenza dell’unicità del disegno criminoso, che ricorre quando i singoli reati costituiscono parte integrante di un unico programma deliberato fin dall’origine nelle linee essenziali per conseguire un determiNOME . Fine, al quale deve aggiungersi, volta per volta, l’elemento volitivo necessario per l’attuazione del programma delinquenziale.
Secondo il giudice dell’esecuzione, da:la lettura delle sentenze di merito, si evinceva che i reati, posti in essere a distanza di tempo tra loro, erano stati realizzati con modalità esecutive del tutto differenti, considerando che nel procedimento sub 1 NOME era stata condannata per aver violato di
dimora, mentre nel procedimento sub  2 la stessa era stata condannata per aver violato il divieto di frequentare abitualmente pregiudicati.
I reati, inoltre, non presentavano alcun collegamento tra loro, anche considerando che il reato sub 1 era stato realizzato per questioni del tutto contingenti ed estemporanee (la condannata, infatti, aveva violato la misura di prevenzione per raggiungere il suo compagno, NOME COGNOME, ristretto agli arresti domiciliari in Bitetto).
Non vi era, pertanto, la sussistenza degli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso, che la giurisprudenza di legittimità ha individuato nella vicinanza cronologica tra i fatti, nella causale, nelle condizioni di tempo e di luogo, nelle modalità delle condotte, nella tipologia dei reati, nel bene tutelato e nella omogeneità delle violazioni (Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010, COGNOME, Rv. 246838).
Il giudice dell’esecuzione, quindi, fornendo una decisione logica e coerente, ha evidenziato in modo ineccepibile che i reati, commessi in tempi diversi e con modalità differenti, non potevano essere avvinti dal vincolo della continuazione, poiché erano sintomatici della mera abitualità nel delitto della condannata.
La Corte, pertanto, ritiene che il giudice dell’esecuzione abbia correttamente interpretato il parametro normativo di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. e, con motivazione né apodittica né manifestamente illogica, abbia fatto esatta applicazione dei suddetti condivisi principi.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23/11/2023