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Disegno criminoso: onere della prova del condannato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento del vincolo della continuazione tra due reati. L’istanza è stata respinta perché il ricorrente non ha fornito prove concrete del medesimo disegno criminoso, limitandosi ad affermare l’omogeneità dei reati. La Corte ha ribadito che la distanza temporale e la diversità delle condotte (detenzione di arma da fuoco e porto di oggetto atto a offendere) sono elementi contrari, e spetta al condannato l’onere di superarli con allegazioni specifiche.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disegno Criminoso: Chi Deve Provarlo per Ottenere la Continuazione?

L’istituto della continuazione nel diritto penale rappresenta un importante strumento di mitigazione della pena, ma la sua applicazione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: l’onere di dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso grava interamente sul condannato che ne chiede il riconoscimento. Analizziamo insieme questa decisione per comprenderne la portata e le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso: Due Condanne e la Richiesta di Unificazione

Un soggetto, già condannato con due distinte sentenze per reati legati alle armi, presentava un’istanza al Giudice dell’Esecuzione. La prima condanna, del 2016, riguardava il porto di oggetti atti a offendere; la seconda, del 2020, la detenzione illegale di un’arma da fuoco. L’interessato chiedeva che i due reati venissero considerati come uniti dal vincolo della continuazione, sostenendo che fossero espressione di un medesimo disegno criminoso, data l’omogeneità delle violazioni e la sua presunta abitudine a circolare armato. Il Tribunale, tuttavia, rigettava la richiesta, decisione contro cui il condannato proponeva ricorso per Cassazione.

La Decisione della Corte: l’Onere della Prova sul Disegno Criminoso

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del giudice di merito. Il punto centrale della pronuncia risiede nella riaffermazione del principio secondo cui spetta al condannato fornire la prova del piano unitario che legherebbe i diversi reati commessi.

Gli Elementi Contrari: Tempo e Diversità delle Condotte

I giudici hanno evidenziato due elementi che, in assenza di prove contrarie, giocavano a sfavore del ricorrente:
1. La distanza temporale: I reati erano stati commessi a circa due anni di distanza l’uno dall’altro.
2. La disomogeneità delle condotte: Un conto è la detenzione illegale di un’arma da fuoco, un altro è il porto di un oggetto atto a offendere. Si tratta di violazioni giuridicamente e materialmente distinte.

Di fronte a questi aspetti contrari, il ricorrente si era limitato ad affermazioni generiche, senza allegare elementi specifici e concreti che potessero dimostrare un’unica programmazione iniziale.

Il Ruolo Attivo del Condannato

La Corte ha sottolineato che non è sufficiente lamentare la mancata applicazione di un istituto di favore. Il condannato ha un preciso onere di allegazione: deve indicare fatti e circostanze (come le modalità della condotta, la causale, le condizioni di tempo e luogo) che, complessivamente valutati, possano superare gli indici contrari e far emergere l’esistenza di un progetto criminoso unitario e preordinato.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla necessità di preservare la ratio dell’istituto della continuazione. Concedere questo beneficio sulla base della mera reiterazione di reati simili significherebbe trasformarlo in un “automatico beneficio premiale”. Questo approccio renderebbe evanescente la linea di demarcazione tra la continuazione, che presuppone una programmazione unitaria iniziale, e l’abitualità a delinquere, che invece denota una tendenza consolidata a commettere crimini. In altre parole, chi delinque abitualmente non può beneficiare di uno sconto di pena solo perché commette reati della stessa specie.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: chi invoca la continuazione deve assumere un ruolo attivo nel processo esecutivo. Non basta affermare l’esistenza di un disegno criminoso, ma è necessario provarlo con elementi concreti, soprattutto quando circostanze come la distanza temporale o la diversità dei reati suggeriscono il contrario. La decisione serve da monito: la disciplina di favore prevista dall’art. 81 c.p. è riservata a chi può dimostrare che i plurimi episodi delittuosi sono stati concepiti come parte di un unico, preordinato progetto, e non a chi semplicemente reitera condotte illecite nel tempo.

A chi spetta dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso per ottenere la continuazione tra più reati?
Spetta al condannato. L’ordinanza chiarisce che è onere di chi invoca l’applicazione della disciplina della continuazione allegare elementi specifici e concreti a sostegno della richiesta, che dimostrino la riconducibilità dei reati a un’unica programmazione iniziale.

Una notevole distanza di tempo tra due reati esclude automaticamente il disegno criminoso?
No, non lo esclude automaticamente, ma è un forte elemento contrario. Nel caso di specie, una distanza di circa due anni, unita alla diversità delle condotte (detenzione di arma da fuoco e porto di oggetto atto a offendere), ha reso necessario per il ricorrente fornire prove particolarmente solide del piano unitario, cosa che non ha fatto.

Perché la Corte insiste tanto sull’onere della prova a carico del condannato in tema di continuazione?
Per evitare che l’istituto della continuazione si trasformi in un ‘automatico beneficio premiale’ per chi reitera i reati. La Corte vuole mantenere una chiara linea di demarcazione tra la continuazione, che presuppone un piano iniziale, e la semplice abitualità a delinquere, che invece indica una tendenza a commettere crimini.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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