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Disegno criminoso: la scelta di vita non basta

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31228/2024, ha stabilito che una generica ‘scelta di vita’ delinquenziale e il solo fine di profitto non sono sufficienti a provare l’esistenza di un unico disegno criminoso. Il caso riguardava la richiesta di applicare la continuazione tra otto reati eterogenei, commessi in un arco temporale di sette anni. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che per l’unicità del disegno criminoso è necessaria la prova di una programmazione originaria di tutti gli illeciti.

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Pubblicato il 10 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disegno Criminoso: La “Scelta di Vita” Delinquenziale Non Basta a Unificare i Reati

L’ordinanza n. 31228/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante chiarificazione sui requisiti per l’applicazione dell’istituto della continuazione, sottolineando la differenza tra un vero disegno criminoso e una generica propensione a delinquere. La Corte ha stabilito che una “scelta di vita” volta al crimine e la mera finalità di profitto economico non sono elementi sufficienti per unificare, sotto il vincolo della continuazione, reati diversi e commessi a grande distanza di tempo.

Il Caso in Esame: Otto Condanne e una Richiesta di Continuazione

Il caso trae origine dal ricorso di un individuo condannato con otto sentenze distinte per reati commessi tra il marzo 2012 e il maggio 2019. L’imputato aveva richiesto alla Corte d’Appello di Firenze di applicare l’istituto della continuazione, sostenendo che tutti i reati fossero espressione di un unico disegno criminoso. A suo dire, i crimini, sebbene interrotti da un periodo di detenzione, erano omogenei (prevalentemente contro il patrimonio) e motivati da una “scelta di vita” finalizzata al proprio mantenimento economico attraverso attività illecite.

La Corte d’Appello aveva respinto la richiesta, rilevando la non omogeneità dei reati (che spaziavano dallo stalking alla rapina, dalla ricettazione al falso), la loro distanza spaziale e temporale, e l’insufficienza del mero fine di profitto a dimostrare un piano unitario.

La Decisione della Cassazione e il concetto di disegno criminoso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato e confermando pienamente la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno ribadito i principi consolidati in materia, evidenziando come l’ordinanza impugnata avesse correttamente valutato la situazione.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione sulla base di diversi punti chiave. In primo luogo, ha ritenuto non provata e non plausibile l’esistenza di una programmazione originaria, risalente all’epoca del primo reato, che includesse tutti i delitti successivi, commessi anche a sette anni di distanza. La notevole eterogeneità dei reati, commessi in territori diversi e distanti, ha ulteriormente indebolito la tesi difensiva. I giudici hanno specificato che una generica spinta delinquenziale o una “scelta di vita”, come ammesso dallo stesso ricorrente, non possono integrare i presupposti di un unico disegno criminoso. Quest’ultimo richiede una deliberazione iniziale che abbracci, almeno nelle linee essenziali, tutte le future condotte illecite. Il semplice obiettivo di procurarsi un vantaggio economico è considerato un movente pratico comune a molti reati, ma non un elemento unificante ai fini della continuazione. Il ricorrente, ammettendo di aver agito per una “scelta di vita”, non ha fornito alcun elemento concreto che potesse dimostrare una pianificazione unitaria e preventiva.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale: per il riconoscimento della continuazione tra reati, non basta un generico stile di vita criminale o un movente economico. È indispensabile dimostrare che, fin dal principio, esisteva un piano preciso e unitario che legava tutte le condotte illecite. L’assenza di tale prova, specialmente di fronte a reati molto diversi e distanziati nel tempo, porta inevitabilmente a escludere l’unicità del disegno criminoso. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Una ‘scelta di vita’ dedita al crimine è sufficiente per dimostrare un unico disegno criminoso?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che una generica spinta delinquenziale o una ‘scelta di vita’ volta a procurarsi un mantenimento tramite il delitto non sono sufficienti. Per provare un unico disegno criminoso è necessaria la dimostrazione di una programmazione unitaria e originaria di tutti i reati, almeno nelle loro linee essenziali.

Quali elementi indeboliscono la tesi di un unico disegno criminoso?
Secondo l’ordinanza, elementi come una notevole distanza temporale tra i reati (in questo caso, fino a sette anni), la commissione degli stessi in territori diversi e distanti, e la natura del tutto disomogenea dei crimini (ad esempio, passare dallo stalking alla rapina) rendono implausibile l’esistenza di un’unica programmazione iniziale.

Perché il fine di procurarsi un profitto economico non è stato ritenuto un elemento unificante?
La Corte ha specificato che la finalità di procurarsi un vantaggio economico costituisce un mero movente pratico, comune a una vasta gamma di reati, ma non è di per sé un elemento in grado di unificare diverse condotte in un unico disegno criminoso. Manca l’aspetto della pianificazione strategica che caratterizza la continuazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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