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Disegno Criminoso: la distanza temporale lo esclude

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato che chiedeva il riconoscimento del disegno criminoso per una serie di reati commessi in un arco di dieci anni. Secondo la Corte, la notevole distanza temporale tra i fatti è un elemento decisivo che fa presumere l’assenza di un’unica programmazione iniziale, rendendo irrilevanti altri indici come l’omogeneità del modus operandi.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disegno Criminoso: Quando il Tempo Spezza il Legame tra i Reati

Il concetto di disegno criminoso rappresenta una chiave di volta nel diritto penale, consentendo di unificare sotto un’unica egida una pluralità di reati e applicare un trattamento sanzionatorio più favorevole. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa verifica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come il fattore tempo possa diventare l’elemento decisivo per escludere questa possibilità, anche in presenza di altre somiglianze tra i reati.

I Fatti del Caso

Un soggetto, condannato per una serie di reati eterogenei (tra cui esercizio abusivo della professione, truffa, lesioni, falso e ricettazione) commessi in un arco temporale di dieci anni, dal 2006 al 2016, ha presentato un’istanza al Tribunale in funzione di giudice dell’esecuzione. L’obiettivo era ottenere il riconoscimento della cosiddetta “continuazione” tra i vari illeciti, sostenendo che fossero tutti parte di un unico disegno criminoso iniziale. La sua tesi si basava principalmente sull’analogia del modus operandi adottato in tutte le occasioni. Il Tribunale, però, ha rigettato la richiesta, spingendo il condannato a ricorrere in Cassazione.

L’Importanza della Distanza Temporale nel Disegno Criminoso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del giudice dell’esecuzione. Gli Ermellini hanno ribadito un principio fondamentale: per riconoscere la continuazione, è necessario dimostrare che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali.

Elementi come l’omogeneità dei reati, la similarità delle modalità di esecuzione (modus operandi) o la contiguità spaziale sono considerati semplici “indici rivelatori”. Essi possono indicare una certa tendenza a delinquere, ma non provano di per sé l’esistenza di un’unica deliberazione originaria.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si concentra sul ruolo cruciale del fattore temporale. Un lasso di tempo così ampio, ben dieci anni tra il primo e l’ultimo reato, rende altamente improbabile che tutti gli episodi criminosi discendano da un’unica programmazione iniziale. Al contrario, una tale distanza temporale crea una presunzione di segno opposto: si presume, salvo prova contraria, che i reati successivi siano frutto di decisioni autonome e prese di volta in volta, non di un piano prestabilito.

La Cassazione sottolinea che, in assenza di altri elementi probatori forti, quanto più ampio è il tempo trascorso tra le violazioni, tanto più è difficile sostenere l’esistenza di un piano unitario. Il giudice dell’esecuzione ha quindi correttamente valorizzato la distanza cronologica come elemento decisivo per escludere l’unicità del disegno criminoso, ritenendo che essa dimostrasse l’assenza di un’unica, antecedente, risoluzione criminosa. La decisione, secondo la Corte, è immune da vizi logici e si allinea perfettamente alla giurisprudenza consolidata.

Le Conclusioni

Questa pronuncia offre importanti implicazioni pratiche. Innanzitutto, riafferma che il riconoscimento della continuazione non è un automatismo basato sulla somiglianza dei reati, ma richiede una prova rigorosa di un’originaria e unitaria programmazione. In secondo luogo, eleva il fattore temporale a criterio quasi dirimente: una significativa distanza tra i fatti può, da sola, essere sufficiente a negare il vincolo della continuazione, invertendo di fatto l’onere della prova a carico di chi la invoca. Per gli operatori del diritto, ciò significa che, per sostenere con successo l’esistenza di un disegno criminoso su un lungo periodo, è necessario fornire elementi concreti e specifici che superino la forte presunzione contraria generata dal tempo.

Un modus operandi simile è sufficiente per dimostrare il disegno criminoso?
No. Secondo la Corte, l’omogeneità delle violazioni e del modus operandi, così come la contiguità spazio-temporale, sono solo indici rivelatori. Da soli, non sono sufficienti a provare che i reati siano frutto di un’unica deliberazione iniziale, ma possono indicare semplicemente una scelta delinquenziale ripetuta nel tempo.

Quale peso ha la distanza temporale tra i reati nel riconoscimento della continuazione?
La distanza temporale ha un peso decisivo. Un lasso di tempo ampio tra le violazioni rende improbabile l’esistenza di una programmazione unitaria predeterminata. Anzi, crea una presunzione contraria, ovvero che i reati successivi non fossero stati pianificati al momento della commissione del primo.

In caso di reati commessi a grande distanza di tempo, chi deve fornire la prova del disegno criminoso?
La sentenza implica che l’onere della prova gravi su chi invoca la continuazione. In presenza di una notevole distanza temporale, si presume che non vi sia un unico disegno criminoso. Spetta quindi al richiedente fornire una prova contraria, dimostrando che, nonostante il tempo trascorso, i reati erano stati specificamente progettati fin dall’inizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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