Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5823 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5823 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Palermo l’8/7/1966
avverso l’ordinanza del Tribunale di Palermo del 27/6/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinan za impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 27.6.2024, il Tribunale di Palermo ha provveduto, in funzione di giudice dell’esecuzione, su una richiesta di applicazione della disciplina della continuazione ai reati giudicati con due sentenze di condanna nei confronti di COGNOME NOME: 1) sentenza del g.u.p. del Tribunale di Palermo del 15/11/2011 (confermata dalla Corte di Appello di Palermo il 21/12/2012, irrevocabile il 28/5/2013) di condanna per i reati di estorsione aggravata dal metodo mafioso e di cessione di sostanze stupefacenti, commessi nel mese di maggio 2010; 2) sentenza del Tribunale di Palermo del 30/9/2021 (confermata dalla Corte di
Appello di Palermo l’8/6/2023, irrevocabile il 16/9/2024) di condanna per detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente, commessa nel giugno 2011.
Il Tribunale ha rigettato l’istanza, in quanto ha ritenuto che non emergano dalle sentenze concreti e significativi indicatori di un progetto criminoso unitario.
In primo luogo, non sussiste la contiguità temporale, perché il reato di cui alla sentenza n. 2) è stato compiuto a distanza di più di un anno dal reato in materia di stupefacenti di cui alla sentenza n. 1) e non già di un mese, come dedotto nell’istanza difensiva.
In secondo luogo, il reato di cessione di stupefacente di cui alla sentenza n. 1) è stato commesso dal condannato in concorso con due familiari, mentre il reato di cui alla sentenza n. 2) è stato commesso da lui solo.
In terzo luogo, né il reato di cessione di cui alla sentenza n. 1), né quello di cui alla sentenza n. 2) sono stati commessi, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, al fine di favorire Cosa Nostra, di cui facevano parte alcuni familiari del ricorrente, tanto è vero che non è stata contestata la relativa circostanza aggravante e che nella sentenza n. 1) è stato escluso espressamente che tali attività costituissero una occupazione abituale della cosca.
In definitiva, i reati, pur aventi omogeneità offensiva, non si inseriscono in un unico disegno criminoso.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME, articolando due motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce, violazione di legge in relazione agli artt. 81, comma secondo, cod. pen., e 671 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione in ordine al medesimo disegno criminoso.
Lamenta che il giudice dell’esecuzione abbia errato circa le date di commissione dei reati, perché dalla lettura della sentenza n. 2) risulta che il reato che ne è oggetto è stato commesso a Palermo il 10 giugno 2010 e non il 10 giugno 2011, come erroneamente indicato nel capo di imputazione. Di conseguenza, le due condotte del ricorrente in materia di stupefacenti sono state commesse in un arco temporale ravvicinato di un mese, nello stesso contesto territoriale e con le medesime modalità esecutive.
La motivazione, inoltre, è manifestamente illogica e contraddittoria quando afferma che il reato di cui alla sentenza n. 2) è stato commesso dal solo ricorrente e che non serviva a favorire l’associazione di cui facevano parte i familiari di COGNOME. Infatti, dalla lettura della sentenza in questione, e in particolare dal tenore di una conversazione intercettata il 10 giugno 2010, risulta che l’episodio sia preceduto da una conversazione del ricorrente con i suoi familiari.
2.2 Con il secondo motivo, deduce violazione di legge in relazione agli artt. 81, comma secondo, cod. pen., e 671 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione in ordine al tempo di commissione dei reati.
Il ricorso menziona nuovamente il profilo dell’errore della data del commesso reato, in particolare richiamando la motivazione della sentenza n. 2) alle pp. 2-5, da cui si possono trarre gli elementi in virtù dei quali collocare il fatto nel 2010 anziché nel 2011.
Con requisitoria scritta trasmessa il 25.10.2024, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata .
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini e per le ragioni di seguito esposte.
L’ordinanza impugnata non si confronta realmente con una delle specifiche questioni che erano state proposte con l’incidente di esecuzione.
Pur dando atto che il problema della data di commissione del reato oggetto della sentenza n. 2) fosse stato posto nella istanza di applicazione della disciplina del reato continuato, i giudici dell’esecuzione lo hanno risolto in modo apodittico, e cioè negando che tra i reati per i quali COGNOME è stato condannato sussistesse la contiguità temporale dedotta dalla difesa, ma senza spiegare se l’argomento era da ritenersi smentito sulla base del solo capo di imputazione o se invece lo era per effetto della lettura della motivazione della sentenza del 30.9.2021.
In effetti, l’istanza difensiva non contestava formalmente la data del commesso reato dell’imputazione, ma si sviluppava tuttavia sul presupposto che il reato fosse stato commesso, in realtà, nel 2010 anziché nel 2011, citando anche le fonti di prova (in particolare, una intercettazione) che consentivano di collocare temporalmente il fatto un anno addietro rispetto alla contestazione.
La consultazione degli atti del fascicolo permette di verificare che non fosse stato chiesto al giudice dell’esecuzione di rivalutare nel merito i fatti oggetto del processo e di rideterminare diversamente la data della loro commissione, ma più limitatamente di verificare la congruenza tra la data indicata nel capo di imputazione e la ricostruzione del fatto come operata, anche in termini cronologici, nella motivazione della sentenza di condanna.
In effetti, dalle sentenze di merito risulta che il capo di imputazione rechi come data del commesso reato quella del 10.6.2021, mentre, di contro, le motivazioni sia di primo che di secondo grado richiamano come principale elemento di prova a carico una intercettazione del 10.6.2010 e fanno comunque riferimento a una condotta posta in essere nel 2010.
Di conseguenza, la motivazione de ll’ordinanza impugnata è carente su questo specifico punto che era stato dedotto dalla difesa, giacchè il giudice
dell’esecuzione , al quale pure spetta ex art. 671 cod. proc. pen. la valutazione del complesso dei fatti giudicati con sentenze separate, ha omesso di misurarsi con la prospettazione difensiva involgente uno dei criteri -quello della prossimità cronologica tra i fatti -di cui deve tenersi conto nell’apprezzamento della eventuale unicità del disegno criminoso.
Sotto questo profilo, è stato più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità che, nel caso in cui il “tempus commissi delicti” non sia indicato in modo preciso, il giudice dell’esecuzione può prendere conoscenza del contenuto della sentenza per ricavarne tutti gli elementi da cui sia possibile desumere l’effettiva data del reato, ove essa sia rilevante ai fini della decisione che gli è demandata (Sez. 1, n. 35766 del 11/11/2020, Rv. 280093 -01; Sez. 1, n. 30609 del 15/4/2014, Rv. 261087 -01).
Invece, non è dato evincersi dal tenore del provvedimento impugnato se sia stato fatto buon governo di questo principio, e cioè se l’argomento difensivo sia stato ritenuto infondato sulla base del contenuto della sentenza, che, alla luce della prospettazione suscettibile di introdurre quantomeno un elemento di dubbio sul tempus commissi delicti, avrebbe dovuto essere esaminato.
Di conseguenza, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Palermo, perché, alla luce del principio sopra richiamato, verifichi nuovamente l’indice della contiguità temporale tra i reati, su cui ha fondato, tra l’altro, il rigetto dell’istanza di COGNOME NOME.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo.
Così deciso il 12.11.2024