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Disegno criminoso: la data del reato è cruciale

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che negava l’applicazione del disegno criminoso tra due reati. Il giudice dell’esecuzione aveva respinto l’istanza basandosi su una distanza temporale di oltre un anno tra i fatti. Tuttavia, non ha considerato che la data di uno dei reati, indicata nel capo d’imputazione, era palesemente in contrasto con le prove (intercettazioni) citate nella stessa sentenza, che collocavano il fatto un anno prima. La Corte ha stabilito che il giudice deve verificare la data effettiva del reato esaminando l’intera sentenza, non limitandosi al dato formale dell’imputazione.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disegno Criminoso: L’Importanza della Corretta Datazione del Reato

L’istituto del reato continuato, che presuppone un unico disegno criminoso, rappresenta un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, volto a mitigare la pena per chi commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo progetto. Ma cosa succede se la valutazione di tale unicità si basa su un dato apparentemente errato, come la data di commissione di un reato? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito il ruolo proattivo che il giudice dell’esecuzione deve assumere per accertare la verità fattuale, andando oltre il dato formale del capo d’imputazione.

I Fatti del Caso

Un condannato presentava un’istanza al Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, per ottenere il riconoscimento del disegno criminoso tra i reati giudicati con due distinte sentenze definitive. La prima sentenza riguardava reati di estorsione aggravata e cessione di stupefacenti commessi nel maggio 2010. La seconda, invece, una condanna per detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti.

Il Tribunale rigettava la richiesta, sostenendo la mancanza di un progetto criminoso unitario. La motivazione principale si basava sull’assenza di contiguità temporale: secondo il giudice, il reato della seconda sentenza era stato commesso nel giugno 2011, a più di un anno di distanza dagli altri. Inoltre, venivano evidenziate altre differenze, come il fatto che un reato fosse stato commesso in concorso e l’altro da solo.

La difesa, tuttavia, proponeva ricorso in Cassazione, eccependo un errore fondamentale: il giudice dell’esecuzione aveva ignorato che, sebbene il capo d’imputazione della seconda sentenza indicasse il giugno 2011, la motivazione della stessa sentenza collocava inequivocabilmente il fatto nel giugno 2010, sulla base di un’intercettazione telefonica. Ciò avrebbe ridotto la distanza temporale a un solo mese, rendendo plausibile l’ipotesi della continuazione.

La Valutazione del Disegno Criminoso e la Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando il caso per un nuovo esame. Il cuore della decisione risiede nell’affermazione di un importante principio: il giudice dell’esecuzione, nel valutare i presupposti per l’applicazione del reato continuato, non può fermarsi alla superficie dei dati formali, come la data riportata nel capo d’imputazione.

I giudici di legittimità hanno sottolineato che l’ordinanza impugnata era carente nella motivazione proprio perché non si era confrontata con la specifica doglianza della difesa. Non aveva spiegato perché l’argomento basato sulla discrepanza tra imputazione e motivazione dovesse essere disatteso. In sostanza, il giudice avrebbe dovuto verificare la congruenza tra la data contestata e la ricostruzione cronologica dei fatti operata nella sentenza di condanna.

Le Motivazioni

La Corte ha ribadito un orientamento giurisprudenziale consolidato: quando il “tempus commissi delicti” non è indicato in modo preciso o è oggetto di contestazione, il giudice dell’esecuzione ha il potere e il dovere di prendere conoscenza del contenuto integrale della sentenza per ricavarne tutti gli elementi utili a desumere la data effettiva del reato. Questo compito non costituisce una rivalutazione del merito del processo, ma una necessaria verifica della coerenza interna della decisione al fine di applicare correttamente gli istituti dell’esecuzione penale.

Nel caso specifico, le sentenze di merito richiamavano come prova principale un’intercettazione del 10 giugno 2010, riferendo la condotta a quell’anno, mentre il capo d’imputazione riportava erroneamente il 2021 (da intendersi 2011, come si evince dal testo). Questa palese incongruenza, suscettibile di introdurre un dubbio sul reale momento consumativo del reato, avrebbe dovuto essere esaminata attentamente. Omettendo tale valutazione, il Tribunale non ha fatto buon governo dei suoi poteri, fondando il rigetto su un presupposto (la distanza temporale di un anno) potenzialmente errato.

Le Conclusioni

La pronuncia in esame rafforza il ruolo del giudice dell’esecuzione come garante della corretta applicazione della legge nella fase post-giudiziale. La decisione insegna che la valutazione sull’esistenza di un disegno criminoso deve basarsi su un’analisi sostanziale e completa dei fatti, così come emergono dalle sentenze irrevocabili. Il giudice non è un mero burocrate vincolato ai dati formali dell’imputazione, ma un interprete critico del giudicato, tenuto a risolvere le incongruenze interne per giungere a una decisione giusta. Questa sentenza tutela il diritto del condannato a una valutazione approfondita, assicurando che l’applicazione di istituti favorevoli come il reato continuato si fondi sulla realtà processuale e non su possibili errori materiali.

Il giudice dell’esecuzione può basarsi solo sulla data indicata nel capo d’imputazione per valutare la continuità tra reati?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice dell’esecuzione non può limitarsi alla data formale del capo d’imputazione. Deve invece esaminare il contenuto integrale della sentenza, incluse le motivazioni e le prove citate, per desumere l’effettiva data di commissione del reato, specialmente se questa è rilevante per decidere sull’unicità del disegno criminoso.

Cosa succede se c’è una discrepanza tra la data nel capo d’imputazione e quella che emerge dalle prove nella sentenza?
In caso di discrepanza, il giudice dell’esecuzione ha il dovere di affrontare e risolvere questo conflitto. Secondo la sentenza, ignorare una simile incongruenza, sollevata dalla difesa, rende la motivazione del provvedimento carente e soggetta ad annullamento.

Qual è l’importanza della ‘prossimità cronologica’ per il riconoscimento del disegno criminoso?
La prossimità cronologica tra i reati è uno dei criteri fondamentali per valutare l’esistenza di un unico disegno criminoso. Una distanza temporale ravvicinata può indicare che i reati sono parte di un medesimo piano. Per questo motivo, stabilire con precisione la data dei fatti è cruciale per la decisione del giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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