Disegno Criminoso: Il Tempo Come Fattore Decisivo
Quando più reati possono essere considerati parte di un unico disegno criminoso? Questa è una domanda cruciale nel diritto penale, poiché il suo riconoscimento può portare a un trattamento sanzionatorio più mite. Con l’ordinanza n. 4085 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata sul tema, sottolineando l’importanza del criterio temporale per escludere l’esistenza di una programmazione unitaria. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Un soggetto condannato si è rivolto alla Corte di Cassazione dopo che la Corte d’Appello di Lecce aveva respinto la sua richiesta di riconoscere la continuazione, e quindi un unico disegno criminoso, tra reati oggetto di tre diverse sentenze. La particolarità del caso risiedeva nella notevole distanza temporale tra i fatti: ben tredici anni separavano i reati della prima sentenza da quelli della terza, e quindici anni da quelli della seconda. Anche tra i reati delle ultime due sentenze intercorrevano due anni. 
Il ricorrente sosteneva che, nonostante il tempo trascorso, l’identità del tipo di reato e del luogo di commissione fossero prove sufficienti di un’unica volontà criminale. A suo avviso, essere inserito in diversi circuiti criminali non escludeva a priori una volizione unitaria iniziale.
L’Importanza del Criterio Temporale nel Disegno Criminoso
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. I giudici hanno ribadito un principio consolidato, citando anche una pronuncia delle Sezioni Unite: il criterio temporale è uno degli indici principali per valutare l’esistenza di una volontà unitaria. Una distanza temporale così ampia, come quella di tredici o quindici anni, rende illogico pensare che i reati successivi fossero stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, già al momento della commissione del primo.
Anche la distanza di due anni tra gli ultimi gruppi di reati è stata considerata un indice dell’inesistenza di un piano unitario. La Corte ha spiegato che la decisione del giudice dell’esecuzione non era affatto illogica, ma anzi ben motivata.
Differenza tra Disegno Criminoso e Abitualità Criminale
La Cassazione ha affrontato anche l’argomentazione del ricorrente riguardo all’inserimento in diversi contesti criminali. Secondo i giudici supremi, questa circostanza non depone a favore di un disegno criminoso unitario, ma è piuttosto sintomatica di un’altra condizione: l’abitualità criminosa. 
Questa distinzione è fondamentale:
– Il disegno criminoso presuppone un progetto iniziale e circoscritto.
– L’abitualità criminosa, invece, descrive uno stile di vita orientato alla sistematica e contingente commissione di illeciti, senza una programmazione unitaria a lungo termine. 
Di conseguenza, la ripetizione di reati simili nel tempo non è automaticamente indice di continuazione, ma può rivelare una scelta di vita criminale.
Le motivazioni
La motivazione della Corte si fonda sulla logica e sulla giurisprudenza consolidata. I giudici hanno ritenuto che la distanza temporale tra i reati fosse un ostacolo insormontabile per poter configurare una programmazione iniziale. Elementi come l’identità del titolo di reato o del luogo di commissione sono stati considerati “subvalenti”, cioè di minor peso, rispetto agli indici contrari rappresentati dalla diversità dei correi e, soprattutto, dal lungo lasso di tempo intercorso. Pertanto, la decisione del giudice di merito di negare la continuazione è stata ritenuta corretta e priva di vizi logici.
Le conclusioni
In conclusione, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. La decisione riafferma che, ai fini del riconoscimento del disegno criminoso, la prossimità temporale tra i reati è un elemento di valutazione essenziale. Una distanza di anni rende improbabile, se non impossibile, dimostrare che tutti i crimini fossero parte di un unico piano concepito fin dall’inizio, orientando piuttosto la valutazione verso un’ipotesi di abitualità nel delinquere.
 
Una grande distanza di tempo tra più reati esclude il riconoscimento di un unico disegno criminoso?
Sì, secondo la Corte di Cassazione una notevole distanza temporale (nel caso specifico, 13 e 15 anni) è un indice fondamentale che porta a escludere l’esistenza di una volizione unitaria e, di conseguenza, del disegno criminoso, poiché rende illogico pensare che i reati successivi fossero stati programmati al momento del primo.
L’identità del tipo di reato e del luogo è sufficiente a provare un disegno criminoso nonostante il tempo trascorso?
No. La Corte ha ritenuto che questi elementi siano “subvalenti”, ovvero di importanza secondaria, rispetto a indici di segno contrario come la grande distanza temporale tra i fatti e la diversità dei correi. Pertanto, da soli non bastano a dimostrare la continuazione.
Qual è la differenza tra disegno criminoso e abitualità criminosa secondo la Corte?
Il disegno criminoso implica un’unica programmazione iniziale di più reati. L’abitualità criminosa, invece, non deriva da un singolo piano ma da uno stile di vita orientato alla commissione sistematica e contingente di illeciti. La ripetizione di reati nel tempo, secondo la Corte, è sintomatica di quest’ultima e non della prima.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4085 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 4085  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CAVALLINO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/07/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato in intestazione;
Ritenuto che gli argomenti proposti nell’unico motivo di ricorso sono manifestamente infondati, in quanto deducono illogicità della motivazione che non emergono dal testo dell’ordinanza impugnata, atteso che:
il criterio temporale è uno degli indici di valutazione della esistenza o meno di una volizione unitaria (cfr., per tutte, Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074) ed, in presenza di una distanza temporale di tredici anni tra i reati oggetto della sentenza indicata in atti come sub 1) e quelli della sentenza sub 3) e di quindici anni tra i reati oggetto della sentenza sub 1) e quelli della sentenza sub 2), non è illogica l decisione del giudice dell’esecuzione che ha ritenuto che al momento di commissione del primo reato i successivi non potessero essere stata programmati almeno nelle loro linee essenziali;
con riferimento al rapporto tra i reati oggetto delle sentenze sub 2) e sub 3), la cui commissione è comunque separata da una distanza di due anni, che a sua volta in modo non illogico è stato ritenuto essere un periodo temporale indice dell’inesistenza di una volizione unitaria, la circostanza evidenziata dal ricorso, a sostegno della prospettazione dell’esistenza di un unico disegno criminoso, dell’identità del titolo di reato e dell’ident del luogo di commissione dei crimini, in modo non illogico è stata ritenuta dal giudice dell’esecuzione subvalente rispetto agli indici di segno contrario della diversità di correi della ricordata distanza temporale tra i reati;
 la stessa deduzione contenuta in ricorso che il condannato possa essere stato inserito in circuiti criminali diversi senza che ciò escluda la volizione unitaria trova una rispos logica nelle conclusioni dell’ordinanza impugnata secondo cui ciò è sintomatico non dell’attuazione di un progetto criminoso unitario ma di un’abitualità criminosa e di scelte di vita ispirate alla sistematica e contingente consumazione degli illeciti (Sez. 1, Sentenza n. 35806 del 20/04/2016, COGNOME, Rv. 267580);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 11 gennaio 2024.