Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5836 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5836 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a VARESE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 11/04/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
NOME
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, la Corte di appello di Bologna, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza avanzata, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., da NOME COGNOME per ottenere l’applicazione della disciplina della continuazione con riguardo a reati di truffa in concorso e di bancarotta fraudolenta (questi ultimi in relazione alle società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), giudicati con tre sentenze, rispettivamente emesse dal Tribunale di Alessandria (irrevocabile il 29 aprile 2005), dalla Corte di appello di Milano (irrevocabile il 7 dicembre 2022) e dalla Corte di appello di Firenze (emessa in data 8 novembre 2022).
Il giudice dell’esecuzione giustificava la decisione reiettiva, valutando, come elementi ostativi al riconoscimento di un unico disegno criminoso, la distanza temporale tra i fatti delittuosi, la diversità dei luoghi di commissione degli stessi e la coincidenza solo parziale dei concorrenti nei reati: lo schema operativo ripetutamente adottato da RAGIONE_SOCIALE (rilevare società in crisi e svuotarle, condannandole al fallimento), secondo il giudice a quo, si rivelava sintomatico, piuttosto, di abitualità nel delinquere.
Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del difensore AVV_NOTAIO, sviluppando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denunciano violazione di legge penale e vizio di motivazione per avere il giudice dell’esecuzione ritenuto di dover escludere il medesimo disegno criminoso con riferimento alla dimensione temporale delle condotte illecite, apprezzata in modo manifestamente illogico.
La difesa si duole, in particolare, che il giudice di merito abbia erroneamente considerato la data della dichiarazione di fallimento anziché quella della condotta tenuta. Evidenzia che, in realtà, le condotte scrutinate dal Tribunale di Alessandria si erano protratte sino all’ottobre 1998; quelle valutate dalla Corte di appello di Firenze si erano dipanate dal giugno 1999 alla fine del 2000; quelle, infine, giudicate dalla Corte d’appello di Milano risultavano consumate prima del 2002: in definitiva, i reati erano stati tutti consumati nell’ambito di un quadriennio (dal 1998 al 2002).
2.2. Con il secondo motivo, la difesa deduce carenza di motivazione sul riconoscimento di periodi di presofferto patito dal ricorrente dopo la consumazione dei reati per i quali era stato emesso ordine di esecuzione.
Il Procuratore generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni che seguono.
2. Va premesso, in sintonia con quanto affermato dal Supremo Consesso nomofilattico, che, ai fini della concessione del beneficio della continuazione ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., anche il giudice dell’esecuzione deve verificare la sussistenza di concreti indicatori dell’unicità del disegno criminoso (quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole condotte causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita) ed accertare che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U., n. 28659 del 18/5/2017, Gargiulo, Rv. 270074).
Il programma di vita delinquenziale, viceversa, esprime l’opzione a favore della commissione di un numero indeterminato di reati, seppure dello stesso tipo ma non identificabili a priori nelle loro principali coordinate, rivelando una generale propensione alla devianza che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali (Sez. 1, n. 15955 dell’8/1/2016, P.M. in proc. Eloumari, Rv. 266615; conformi: Sez. 1, n. 39222 del 26/2/2014, B., Rv. 260896; Sez. 2, n. 18037 del 7/4/2004, COGNOME, Rv. 229052; Sez. 1, n. 6553 del 13/12/1995, dep. 1996, Bagnara, Rv. 203690).
Tornando agli indicatori sintomatici dell’unico disegno criminoso, va ricordato il principio enunciato da questa Corte, secondo il quale il decorso del tempo costituisce elemento decisivo sul quale fondare la valutazione ai fini del riconoscimento delle condizioni previste dall’art. 81 cod. pen., atteso che, in assenza di altri elementi, quanto più ampio è il lasso di tempo fra le violazioni, tanto più deve ritenersi improbabile l’esistenza di una programmazione unitaria predeterminata almeno nelle linee fondamentali (Sez. 4, n. 34756 del 17/5/2012, COGNOME e altri, Rv. 253664).
Va, inoltre, rammentato che, in tema di continuazione tra reati di bancarotta fraudolenta, ai fini dell’individuazione della contiguità cronologica quale indice della sussistenza della identità del disegno criminoso, assume rilievo la data di commissione della condotta (Sez. 1, n. 45602 del 14/12/2010, Sica, Rv. 249353). Tale principio implica che, ove talune condanne, fra quelle di cui il reo sostenga la continuazione, riguardino reati di bancarotta, l’indagine del giudice non possa limitarsi all’esame delle date di emissione delle sentenze dichiarative dei diversi fallimenti (o dell’unico fallimento da eventualmente porre in continuazione con reati eterogenei), ma deve tener conto, qualora sia
possibile, anche dei vari momenti nei quali i singoli comportamenti del reo, destinati a costituire elementi dei reati che siano poi venuti a consumazione, abbiano avuto concreta manifestazione, restando irrilevante la scelta teorica circa la natura da riconoscere alla sentenza dichiarativa di fallimento (Sez. 1, n. 24657 del 5/2/2019, COGNOME, Rv. 276194).
Ritiene il Collegio che il giudice dell’esecuzione abbia fatto buon governo dei ricordati principi, enucleando una serie di indicatori valutati non illogicamente come inconciliabili con una matrice unitaria del disegno criminoso: a) l’eterogeneità dei reati; b) la significativa distanza temporale tra gli stessi; c) la coincidenza solo parziale dei concorrenti.
Quanto al primo indicatore, osserva il Collegio che, nella prospettazione della difesa del ricorrente, si insiste nel sottolineare l’omogeneità delle condotte di bancarotta, senza, tuttavia, confrontarsi – così rendendo aspecifica la censura – con l’elemento dissonante, messo in luce dal giudice dell’esecuzione, costituito dalla condanna del COGNOME anche per numerosi reati di truffa (sentenza del Tribunale di Alessandria in data 9 marzo 2005).
Quanto al fattore temporale, non è esatto affermare, come si legge in ricorso, che il giudice a quo abbia tenuto conto solo della data delle tre dichiarazioni di fallimento, atteso che nell’ordinanza impugnata la distanza temporale incompatibile con l’esistenza di una programmazione unitaria, predeterminata almeno nelle linee fondamentali, si è logicamente stimata egualmente rilevante anche considerando, in luogo delle date delle sentenze dichiarative di fallimento, il tempo di commissione delle condotte distrattive, distante, rispettivamente, circa un anno tra il primo e il secondo fallimento e circa tre anni tra il primo e il terzo.
Né il difensore del ricorrente si confronta, con rilievi critici specifici, con congruo argomentare del giudice di merito, laddove esclude che, già nel 1998, anno del primo reato di bancarotta, fosse dimostrabile, in capo al COGNOME, il proposito di “svuotare” anche le società che avrebbe rilevato negli anni futuri, secondo un agire determinato non da un’antecedente matrice deliberativa unitaria, ma dalle occasionali e contingenti offerte di mercato.
Nessun rilievo critico, infine, viene speso sulla considerazione della solo parziale coincidenza dei concorrenti nei reati, apprezzata non illogicamente dalla Corte di appello di Bologna quale ulteriore indicatore ostativo al riconoscimento dell’invocato beneficio.
Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile: sia perché, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso, non risultano allegati ad esso né l’ordine di esecuzione cui si fa riferimento, peraltro in modo generico e senza indicarne gli estremi atti a identificarlo, né la documentazione afferente al
presofferto; sia perché l’interessato avrebbe dovuto rivolgersi, in prima battuta, al AVV_NOTAIO all’esecuzione, e, solo in seguito, al giudice dell’esecuzione in caso di rigetto dell’istanza.
Dalla declaratoria di inammissibilità dei ricorso deriva la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di ipotesi di esonero, al versamento di un’ulteriore somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1’8 novembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente