Disegno Criminoso e Reato Continuato: Quando il Tempo Spezza il Legame
L’istituto del reato continuato, disciplinato dall’art. 81 del codice penale, rappresenta un’importante deroga al principio del cumulo materiale delle pene. Esso consente di applicare un trattamento sanzionatorio più favorevole a chi commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la definizione e la prova di tale disegno sono spesso al centro di complesse valutazioni giudiziarie. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 8442/2024) offre un’analisi puntuale sui criteri per distinguere un piano unitario da una mera scelta di vita criminale, evidenziando il peso determinante del fattore temporale e delle modalità operative.
I Fatti del Caso e la Decisione del Giudice dell’Esecuzione
La vicenda trae origine dalla richiesta di un condannato di vedere applicata la disciplina della continuazione tra i reati oggetto di due distinte sentenze. L’obiettivo era unificare le pene in un’unica, più mite sanzione, sostenendo che tutti i fatti delittuosi fossero riconducibili a un unico progetto iniziale. La Corte d’Appello, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva però respinto la richiesta, non ravvisando gli estremi del medesimo disegno criminoso.
Contro questa decisione, l’interessato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando una violazione dell’art. 81 c.p. e un vizio di motivazione. A suo dire, il giudice di merito si era limitato a considerare la distanza temporale tra i reati, senza valutare che tale intervallo era giustificato dall’avvio delle indagini relative alla prima serie di illeciti, un evento che non avrebbe interrotto l’originario proposito criminale.
L’Importanza del Disegno Criminoso e la Valutazione della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nella corretta interpretazione dei requisiti del disegno criminoso. I giudici di legittimità hanno confermato la validità del ragionamento della Corte d’Appello, sottolineando l’assenza di elementi concreti da cui desumere una programmazione unitaria dei reati.
In particolare, la Cassazione ha evidenziato come un lasso temporale di ben sette anni, unito alla circostanza che i reati successivi fossero stati commessi ai danni di clienti diversi e attraverso società differenti, costituisse un quadro probatorio incompatibile con l’idea di un piano preordinato sin dall’inizio.
Le Motivazioni
La Corte ha ribadito un principio fondamentale, già espresso dalle Sezioni Unite: l’identità del disegno criminoso deve essere rintracciabile sin dalla commissione del primo reato e deve distinguersi nettamente da una generica “scelta di vita delinquenziale”. Non è sufficiente che i reati siano mossi da una finalità simile (ad es. il profitto); è necessario dimostrare che essi fossero stati concepiti come parti di un unico programma deliberato in anticipo.
Il provvedimento impugnato, secondo la Cassazione, ha correttamente posto l’accento sull’impossibilità logica di ritenere che l’imputato avesse programmato, con sette anni di anticipo, la commissione di ulteriori illeciti con modalità e soggetti diversi. Inoltre, il ricorso è stato giudicato inammissibile anche perché, anziché denunciare un vizio di legittimità, si limitava a sollecitare una rilettura alternativa dei fatti e a confondere l’unicità del movente con il vincolo della continuazione, concetti che il diritto tiene ben distinti.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di reato continuato. Per ottenere il beneficio, non basta affermare l’esistenza di un piano, ma occorre fornire elementi concreti che lo dimostrino. Un notevole intervallo di tempo tra i fatti, specialmente se accompagnato da variazioni significative nel modus operandi (come diversi soggetti passivi o strumenti societari), rappresenta un ostacolo quasi insormontabile. La decisione serve da monito: la continuazione è uno strumento volto a mitigare la pena per chi agisce nell’ambito di un progetto circoscritto, non a premiare una persistente inclinazione al crimine.
Un lungo intervallo di tempo tra due reati esclude automaticamente il “disegno criminoso”?
Non lo esclude automaticamente, ma secondo la Corte è un elemento probatorio molto forte contro la sua esistenza. Un intervallo di sette anni, unito a modalità operative diverse (nuovi clienti, nuove società), è stato ritenuto sufficiente per rendere inverosimile un piano criminale unico e programmato sin dall’inizio.
Qual è la differenza tra “disegno criminoso” e “scelta di vita delinquenziale”?
Il “disegno criminoso” è un progetto specifico e unitario, programmato nei suoi elementi essenziali prima di commettere il primo reato. La “scelta di vita delinquenziale”, invece, è una generica e indeterminata inclinazione a commettere reati, priva di un piano predefinito che li leghi. Solo la presenza del primo consente di applicare la disciplina più favorevole della continuazione.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte di Cassazione non entra nel merito della questione. Il provvedimento impugnato diventa definitivo. Come conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro alla cassa delle ammende, poiché si ritiene che il ricorso fosse privo di fondamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8442 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8442 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOMECODICE_FISCALE) nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/10/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che la Corte d’appello di Milano, quale giudice dell’es.ecuzione, ha rigettato richiesta di AVV_NOTAIO di applicare la disciplina di cui all’art. 81 cod. pen. tra i reati due sentenze pronunciate dal medesimo Ufficio.
Rilevato che con il ricorso si deduce violazione dell’art. 81 cod. pen. e vizio di motivazi in quanto il giudice dell’esecuzione, oltre ad aver omesso di considerare quanto emerso circa l’operato della società RAGIONE_SOCIALE, ha fatto genericamente ed esclusivamente riferimento alla distanza temporale, senza considerare che tale intervallo, giustificato dall’avvio delle ind che hanno portato all’emissione della prima sentenza di condanna, non ha determinato un’interruzione del proposito delittuoso iniziale.
Rilevato che le doglianze oggetto del ricorso sono manifestamente infondate in quanto il provvedimento impugnato ha adeguatamente motivato in ordine all’insussistenza del medesimo disegno criminoso, ponendo l’accento sull’assenza di elementi dai quali desumere che l’interessato possa aver programmato, con ben sette anni di anticipo, la commissione di ulteriori reati co clienti diversi e mediante denominazioni di società e ditte differenti (cfr. Sez. U, n. 2865 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 1, n. 1:3971 del 30/3/2021, COGNOME COGNOME, n.m.; Sez. 1 n. 39222 del 26/02/2014, B, Rv. 260896 – 01);
Ritenuto pertanto che il Tribunale ha adeguatamente e correttamente motivato quanto alla necessità che l’identità del disegno criminoso, dovendosi distinguere dalla scelta di v delinquenziale, debba essere rintracciabile sin dalla commissione del primo reato e come questo non sia desumibile dagli atti (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 0 Sez. 1, n. 13971 del 30/3/2021, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, B, Rv. 260896 – 01);
Ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile in quanto le doglianze, oltre a sollecitare u diversa e alternativa lettura delle argomentazioni poste alla base dell’ordinanza impugnata, no consentita in questa sede (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601), confondono l’unicità del movente con il vincolo della continuazione.
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso 1’8/02/2024