Disegno Criminoso: l’Uso della Professione non Basta a Provare l’Unicità del Piano
L’istituto della continuazione tra reati, fondato sull’esistenza di un unico disegno criminoso, è un concetto cruciale nel diritto penale, capace di incidere significativamente sulla determinazione della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui criteri per il suo riconoscimento, specificando che l’utilizzo delle medesime competenze professionali per commettere più illeciti non è, di per sé, sufficiente a dimostrare l’esistenza di un piano unitario. Analizziamo nel dettaglio la pronuncia.
I Fatti del Caso: Dal Ricorso alla Decisione della Cassazione
Il caso nasce dal ricorso di un professionista, condannato con più sentenze divenute irrevocabili, contro l’ordinanza della Corte d’Appello che aveva respinto la sua richiesta di riconoscimento della continuazione tra i vari reati. L’istante, in fase di esecuzione della pena, aveva chiesto l’applicazione dell’art. 671 del codice di procedura penale, sostenendo che tutti i reati fossero legati da un medesimo disegno criminoso.
Il ricorrente basava la sua tesi su un unico elemento: l’aver agito sempre sfruttando la sua qualifica e le sue competenze di commercialista e consulente finanziario. A suo avviso, questo doveva essere interpretato come l’indicatore di un’unica programmazione criminale, e non come una mera propensione a delinquere.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito.
Il Disegno Criminoso e la Prova dell’Unicità
Il cuore della questione giuridica risiede nella difficoltà di provare l’esistenza di un disegno criminoso originario, ovvero una programmazione iniziale che abbracci tutte le condotte illecite. La Corte ha ribadito che non basta individuare un generico ‘collante’ tra i reati.
La Valutazione dei Giudici di Merito
La Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato che, sebbene l’uso delle competenze professionali fosse un elemento comune, i reati contestati risultavano disomogenei per modalità, epoca, soggetti coinvolti e, in alcuni casi, anche per tipologia. Mancavano altri elementi decisivi che potessero delineare una specifica e previa programmazione di tutte le condotte. Di conseguenza, i giudici avevano concluso per una pianificazione separata dei singoli illeciti, piuttosto che per un unico piano complessivo.
Le Motivazioni della Cassazione
La Suprema Corte, nel respingere il ricorso, ha svolto considerazioni fondamentali. In primo luogo, ha chiarito che il ricorso del professionista si risolveva in una richiesta di rilettura degli elementi fattuali, un’operazione preclusa nel giudizio di legittimità, che si limita a verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.
La motivazione della Corte d’Appello, seppur sintetica, è stata ritenuta adeguata e priva di vizi logici. I giudici di merito avevano correttamente distinto tra l’avvalersi di una competenza professionale, che può essere una costante in diverse azioni criminali indipendenti, e la prova di un’originaria e unitaria progettazione.
La Corte ha inoltre richiamato importanti principi giurisprudenziali, tra cui quello stabilito dalle Sezioni Unite (sent. n. 28659/2017), secondo cui l’identità del disegno criminoso deve essere rigorosamente provata. Il dubbio sulla sua esistenza non può condurre al suo riconoscimento in ossequio al principio del favor rei, poiché ciò andrebbe a incidere sulla certezza del giudicato formatosi sulle singole condanne.
Conclusioni
La decisione in commento rafforza un orientamento consolidato: per ottenere il riconoscimento della continuazione, non è sufficiente indicare elementi generici o comuni a più condotte, come l’uso della propria professione. È necessario fornire alla corte prove concrete che dimostrino, oltre ogni ragionevole dubbio, che tutti i reati sono stati concepiti e programmati sin dall’inizio come parte di un unico progetto. In assenza di tale prova, i reati vengono considerati come espressione di decisioni autonome e separate, con le relative conseguenze sul trattamento sanzionatorio.
L’uso delle stesse competenze professionali per commettere più reati è sufficiente per dimostrare un unico disegno criminoso?
No, la Corte ha stabilito che non è sufficiente, specialmente se i reati sono disomogenei per modalità, epoca e soggetti coinvolti. Questo elemento, da solo, può essere compatibile anche con una semplice propensione a delinquere e non prova una programmazione unitaria iniziale.
Cosa deve dimostrare chi chiede il riconoscimento della continuazione tra reati?
Deve fornire elementi concreti e decisivi che provino una specifica programmazione iniziale di tutte le condotte criminose. L’onere della prova è a suo carico e il dubbio sull’esistenza del disegno criminoso non è sufficiente per il suo riconoscimento.
Il principio del ‘favor rei’ (favore verso l’imputato) si applica nella valutazione del disegno criminoso in fase di esecuzione?
No, la Cassazione ha chiarito che questo principio non si applica in questo contesto. Il riconoscimento della continuazione incide sulla certezza di sentenze già passate in giudicato, e il dubbio non può essere utilizzato per suffragare l’esistenza del disegno criminoso.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20703 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20703 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROMA il 01/08/1967
avverso l’ordinanza del 29/01/2025 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto avverso l’ordinanza del 29 gennaio 2025, con la quale la Corte di appello di Bologna rigettava la richiesta di NOME COGNOME volta ad ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati di cui alle sentenze irrevocabili sub 1), 2), 3) e 4) de provvedimento impugnato;
Letta la memoria difensiva in data 22/04/2025, nella quale si illustrano ulteriormente le censure avverso il provvedimento impugnato e si insiste nell’ammissibilità del ricorso e per il suo accoglimento;
Ritenuto che, con unico articolato motivo ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., si lamenta vizio di motivazione, per essersi il giudice di merito limitato ad affermare che l’uso della qualità e delle competenze di commercialista e consulente finanziario in tutte le condotte oggetto delle sentenze di condanna a suo carico non poteva delineare l’unicità del disegno criminoso, rimanendo compatibile anche solo con una generica propensione a delinquere;
che in realtà il ricorrente propone un’alternativa lettura degli elementi già valutati dal giudice dell’esecuzione con adeguata motivazione, che, per quanto sintetica, evidenzia quale sia l’unico concreto indicatore evocato anche dalla difesa come collante di tutte le condotte, mentre gli illeciti risultano disomogenei per modalità, epoca, soggetti compartecipi e talvolta anche per i titoli di reato;
che il giudice a quo ha così sottolineato l’assenza di altri elementi decisivi per delineare una specifica previa programmazione delle condotte, infine concludendo per la separata pianificazione delle condotte, seppure con l’avvalimento delle medesime competenze professionali, piuttosto che per la continuazione tra esse;
che doveva quindi ritenersi indimostrata l’originaria progettazione dei comportamenti criminosi oggetto di vaglio, in base ai principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01) e l’accertamento dell’identità del disegno criminoso non può essere suffragato dal dubbio sulla sua esistenza, in ossequio al principio del “favor rei”, in quanto il riconoscimento della continuazione tra reati incide sulla certezza del giudicato in tema di irrogazione della pena (Sez. 1, n. 30977 del 26/06/2019);
Per queste ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 08 maggio 2025
Il nsigliere estensore
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Il Preside e