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Disegno criminoso: il tempo esclude la continuazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3507/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva il riconoscimento del reato continuato. La Corte ha stabilito che un lasso di tempo significativo tra i reati (in questo caso, cinque anni) è un elemento decisivo per escludere l’esistenza di un unico disegno criminoso, anche in presenza di condotte simili. Questa pronuncia ribadisce che la distanza temporale crea una presunzione contraria all’esistenza di un programma criminale unitario, a meno di prove concrete che dimostrino il contrario.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disegno criminoso: quando il tempo che passa annulla la continuazione

L’istituto della continuazione, previsto dall’articolo 81 del codice penale, permette di considerare più reati come un’unica violazione, a patto che siano legati da un medesimo disegno criminoso. Ma cosa succede quando tra un reato e l’altro intercorre un lungo periodo? La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 3507/2024, offre un chiaro orientamento: un notevole lasso di tempo può essere un elemento decisivo per escludere l’esistenza di un programma criminale unitario. Analizziamo questa importante decisione.

I fatti del caso

Un soggetto, condannato per reati di furto aggravato e tentato furto in abitazione giudicati separatamente, presentava un’istanza al Giudice dell’esecuzione per ottenere il riconoscimento della continuazione tra i vari illeciti. L’obiettivo era ottenere un trattamento sanzionatorio più favorevole, unificando le pene. Il Tribunale di Terni, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta. La motivazione principale del rigetto si fondava sulla notevole distanza temporale tra i fatti, pari a ben cinque anni. Contro questa decisione, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo che il giudice avesse ignorato l’omogeneità delle condotte, elemento che, a suo dire, avrebbe dovuto far propendere per l’esistenza di un unico disegno criminoso.

La decisione della Corte di Cassazione e il disegno criminoso

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del giudice dell’esecuzione. I giudici di legittimità hanno colto l’occasione per ribadire i principi fondamentali che regolano l’accertamento del disegno criminoso, soprattutto in sede esecutiva.

L’importanza del fattore temporale

Il punto centrale della pronuncia è il peso attribuito alla distanza temporale tra i reati. La Corte ha affermato che, sebbene indici come l’omogeneità delle violazioni o la contiguità spaziale siano importanti, non sono di per sé sufficienti. Al contrario, un lasso di tempo ampio tra le condotte criminali rende ‘improbabile’ l’esistenza di una programmazione unitaria e predeterminata.

Si crea, di fatto, una presunzione (salvo prova contraria) che la commissione di ulteriori fatti, anche se simili per modalità, non fosse stata progettata sin dall’inizio. Nel caso specifico, cinque anni sono stati ritenuti un periodo troppo lungo per poter sostenere che il secondo reato fosse parte di un piano concepito al momento del primo.

Altri indici di valutazione del disegno criminoso

Oltre al tempo, la Corte ha sottolineato come il giudice dell’esecuzione avesse correttamente considerato anche altri elementi per escludere la continuazione. In particolare, è stata valorizzata la diversità del locus commissi delicti (il luogo di commissione dei reati) e l’assenza di qualsiasi altro indice unificatore che potesse ricondurre i diversi episodi criminosi a una singola deliberazione iniziale. La valutazione del giudice di merito, se adeguatamente motivata e priva di vizi logici, è insindacabile in sede di legittimità.

Le motivazioni della decisione

La motivazione della Corte si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Il riconoscimento del disegno criminoso richiede una verifica approfondita e rigorosa che dimostri come i reati successivi al primo fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, fin dall’inizio. Il semplice ripetersi di condotte simili non basta.

La Corte ha specificato che quanto più ampio è il tempo trascorso tra le violazioni, tanto più difficile è credere a un’unica programmazione. La motivazione del giudice dell’esecuzione è stata ritenuta ‘perfettamente in linea’ con la giurisprudenza, poiché ha utilizzato il decorso del tempo come elemento decisivo per fondare la sua valutazione, in assenza di altri elementi che potessero indicare un collegamento soggettivo tra i fatti.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione pratica: chi intende chiedere il riconoscimento della continuazione tra reati deve essere in grado di fornire elementi concreti che superino la presunzione contraria generata da una significativa distanza temporale. Il solo richiamo all’analogia delle condotte non è sufficiente. Questa pronuncia rafforza il principio secondo cui la valutazione del disegno criminoso è un accertamento di fatto, rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, il quale deve basare la propria decisione su una motivazione logica, congrua e completa, considerando tutti gli indici a disposizione, tra cui il fattore tempo assume un ruolo preponderante.

Quanto tempo deve passare tra due reati per escludere il disegno criminoso?
La sentenza non stabilisce un termine preciso, ma chiarisce che un lasso di tempo ‘ampio’ (nel caso di specie, cinque anni) è un elemento decisivo che rende improbabile l’esistenza di un’unica programmazione criminale, creando una presunzione contraria alla continuazione, salvo prova contraria.

L’omogeneità dei reati è sufficiente a dimostrare un unico disegno criminoso?
No. Secondo la Corte, l’omogeneità delle violazioni, del bene protetto e la contiguità spazio-temporale sono solo alcuni degli indici rivelatori. Da soli, non sono sufficienti a dimostrare che i reati siano frutto di un’unica deliberazione iniziale, specialmente a fronte di una notevole distanza temporale.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, a causa della manifesta infondatezza o dell’irritualità dell’impugnazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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