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Disegno criminoso: i requisiti per la continuazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata contro la decisione di non applicare la continuazione tra reati. L’ordinanza ribadisce che per riconoscere un unico disegno criminoso non basta una generica propensione a delinquere, ma è necessaria una programmazione iniziale di tutti i reati, almeno nelle loro linee essenziali. La valutazione di tali elementi spetta al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se motivata in modo logico.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disegno Criminoso: Quando Più Reati Sono Parte di un Unico Piano?

L’applicazione della continuazione tra reati, un istituto che permette di mitigare la pena quando più violazioni della legge penale sono frutto di un unico disegno criminoso, è un tema centrale nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Ordinanza n. 27789/2025) offre un’importante occasione per fare chiarezza sui criteri che i giudici devono seguire per riconoscere questa particolare figura giuridica.

Il Fatto in Breve: Ricorso contro il Diniego della Continuazione

Il caso trae origine dal ricorso presentato da una donna avverso un’ordinanza del Tribunale di Pescara. Quest’ultimo, in fase di esecuzione della pena, aveva negato l’applicazione dell’istituto della continuazione, disciplinato dall’articolo 81, secondo comma, del codice penale. La ricorrente sosteneva che i diversi reati per cui era stata condannata fossero in realtà legati da un unico disegno criminoso, chiedendo quindi il riconoscimento del reato continuato e la rideterminazione della pena in senso più favorevole.

La Nozione di Medesimo Disegno Criminoso secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha colto l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia. Il concetto di disegno criminoso non va confuso con una generica tendenza a delinquere o con un “programma di vita delinquenziale”. Non basta, cioè, che una persona commetta più reati dello stesso tipo per ottenere il beneficio della continuazione.

Secondo la Suprema Corte, per poter parlare di disegno criminoso è necessario che l’agente si sia rappresentato e abbia deliberato ab origine una serie di condotte illecite, programmandole almeno nelle loro linee essenziali prima ancora di commettere la prima. Questo significa che, al momento del primo reato, i successivi dovevano essere già stati pianificati e non possono essere il frutto di decisioni estemporanee, nate da occasioni contingenti.

Gli Indicatori per la Prova del Disegno Criminoso

Come può un giudice accertare l’esistenza di questo piano iniziale? La giurisprudenza ha individuato una serie di “indicatori” o “indici”, la cui presenza può rivelare l’esistenza di una programmazione unitaria. Questi includono:

* Omogeneità delle violazioni: i reati sono dello stesso tipo.
* Contiguità spazio-temporale: i reati sono commessi in luoghi vicini e in un breve lasso di tempo.
Modalità della condotta: il modus operandi* è simile o identico.
* Unitarietà del contesto e della spinta a delinquere: i reati nascono dalla stessa situazione o motivazione.
* Costante compartecipazione dei medesimi soggetti: se i reati sono commessi in concorso, sono sempre coinvolte le stesse persone.

È importante sottolineare che non è necessaria la presenza di tutti questi indicatori. Il giudice può ritenere provato il disegno criminoso anche solo in presenza di alcuni di essi, purché siano particolarmente significativi.

Le motivazioni della Corte

Nel caso specifico, la Corte di Cassazione ha stabilito che la valutazione sull’esistenza o meno di un disegno criminoso è un accertamento di fatto che spetta esclusivamente al giudice di merito (in questo caso, il Tribunale di Pescara). Il ruolo della Cassazione, quale giudice di legittimità, non è quello di riesaminare le prove, ma solo di verificare che la decisione impugnata sia basata su una motivazione logica, coerente e non contraddittoria.

Poiché il Tribunale aveva escluso la continuazione con argomentazioni ritenute immuni da vizi logici, la Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione del giudice di merito, che aveva ritenuto i reati frutto di determinazioni estemporanee e non di un piano unitario, non poteva essere messa in discussione.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma un principio fondamentale: il beneficio della continuazione non è automatico. La sua applicazione richiede una prova rigorosa dell’esistenza di un’unica programmazione criminosa che preceda la commissione dei reati. L’onere di fornire tale prova spetta all’interessato, e la valutazione finale è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, il cui giudizio, se ben motivato, è difficilmente censurabile in sede di legittimità. La decisione implica che chiunque voglia invocare questo istituto deve essere in grado di dimostrare, attraverso elementi concreti, che i diversi episodi criminali non sono stati casuali, ma tappe di un unico piano deliberato fin dall’inizio.

Che cos’è il medesimo disegno criminoso?
È una programmazione unitaria di una serie di reati, che l’autore ha deliberato nelle sue linee essenziali prima di commettere il primo della serie. Non si identifica con una generica propensione a delinquere.

Quali sono gli elementi per riconoscere un disegno criminoso?
Gli elementi (indicatori) includono la vicinanza nel tempo e nello spazio dei reati, l’omogeneità delle violazioni, le modalità simili della condotta, l’unitarietà del contesto e la partecipazione delle stesse persone. Non è necessario che siano presenti tutti contemporaneamente.

La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti per decidere se esiste un disegno criminoso?
No. L’accertamento dell’esistenza di un disegno criminoso è una valutazione di merito che spetta al giudice di primo o secondo grado. La Corte di Cassazione può solo controllare che la motivazione della decisione sia logica e non contraddittoria, senza entrare nel merito delle prove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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