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Disegno criminoso e tempo: Cassazione nega il vincolo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5266/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto che chiedeva il riconoscimento del cosiddetto ‘disegno criminoso’ tra reati commessi a un anno di distanza l’uno dall’altro. La Corte ha ribadito che un significativo intervallo temporale crea una presunzione contraria all’esistenza di un unico piano criminale, a meno che non venga fornita una prova contraria rigorosa. La semplice somiglianza nelle modalità dei reati non è sufficiente a superare tale presunzione.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Il Disegno Criminoso alla Prova del Tempo: Quando la Distanza Annulla il Vincolo

L’istituto del disegno criminoso, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un elemento cruciale nel diritto penale italiano, consentendo di mitigare la pena per chi commette più reati in esecuzione di un medesimo piano. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa verifica. Con la recente ordinanza n. 5266/2024, la Corte di Cassazione torna a delineare i confini di questo istituto, sottolineando come un significativo intervallo di tempo tra i reati possa far crollare l’intera costruzione del vincolo della continuazione.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo avverso un’ordinanza del Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Terni. Quest’ultimo aveva parzialmente respinto la richiesta di riconoscere la continuazione tra diversi reati per i quali l’individuo era stato condannato. In particolare, il giudice di merito aveva negato il vincolo per alcuni reati commessi a circa un anno di distanza da altri, per i quali invece la continuazione era stata concessa. Il ricorrente sosteneva che la somiglianza delle condotte e la loro sostanziale contiguità logica avrebbero dovuto portare al riconoscimento di un unico disegno criminoso per tutti i fatti contestati.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la validità della decisione del giudice dell’esecuzione. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: per poter riconoscere un unico disegno criminoso, è necessario dimostrare che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. La semplice omogeneità delle violazioni o la vicinanza spaziale non sono, da sole, prove sufficienti.

Le Motivazioni: Il Ruolo della Cesura Temporale nel Disegno Criminoso

Il cuore della motivazione della Suprema Corte risiede nell’analisi della cosiddetta ‘cesura temporale’. La Corte spiega che un notevole lasso di tempo tra la commissione di un reato e il successivo (nel caso di specie, un anno) crea una presunzione: si presume, salvo prova contraria, che i reati più recenti non fossero stati specificamente pianificati all’inizio, ma siano piuttosto il frutto di una nuova e autonoma decisione criminale.

Secondo la Cassazione, il giudice di merito ha correttamente applicato questo principio. La distanza temporale, unita all’assenza di altri elementi concreti che potessero dimostrare un’unica programmazione iniziale, è stata considerata decisiva per escludere il vincolo. Un programma criminale ‘indeterminato’ e ‘temporalmente indefinito’ è incompatibile con la nozione di un’unica, antecedente, risoluzione criminosa che sta alla base della continuazione.

La Corte ha citato la propria giurisprudenza, secondo cui ‘in caso di reati commessi a distanza temporale l’uno dell’altro, si deve presumere, salvo prova contraria, che la commissione d’ulteriori fatti… non poteva essere progettata specificamente al momento di commissione del fatto originario’. Di conseguenza, l’onere di superare questa presunzione ricade su chi invoca il beneficio, il quale deve fornire elementi concreti a sostegno della propria tesi.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza rafforza un importante monito per la difesa in sede esecutiva. Per ottenere il riconoscimento del disegno criminoso tra reati temporalmente distanti, non è sufficiente appellarsi alla somiglianza del ‘modus operandi’ o alla tipologia dei reati. È indispensabile fornire prove concrete che dimostrino l’esistenza di un piano unitario e preordinato fin dall’inizio. La decisione evidenzia che la valutazione del giudice di merito su questi aspetti è ampiamente discrezionale e, se motivata in modo logico e coerente come nel caso di specie, è difficilmente censurabile in sede di legittimità. La ‘cesura temporale’ agisce quindi come un potente indicatore di una pluralità di decisioni criminali, spostando l’onere della prova su chi intende dimostrare il contrario.

Quando si può parlare di ‘disegno criminoso’ tra più reati?
Si può parlare di disegno criminoso quando si dimostra che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, come parte di un’unica deliberazione di fondo.

Un lungo intervallo di tempo tra due reati esclude automaticamente il vincolo della continuazione?
No, non lo esclude automaticamente, ma crea una presunzione contraria. Si presume che i reati successivi non fossero parte del piano originale, a meno che non venga fornita una rigorosa prova contraria che dimostri l’esistenza di un’unica programmazione iniziale.

Quali elementi non sono sufficienti, da soli, a dimostrare un unico disegno criminoso?
Secondo l’ordinanza, l’omogeneità delle violazioni, la somiglianza delle modalità della condotta (nomen juris) e la contiguità spazio-temporale degli illeciti sono solo indici rivelatori, ma, di per sé, non sono sufficienti a provare l’esistenza di un’unica risoluzione criminosa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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