Discrezionalità del Giudice Penale: i Limiti al Ricorso in Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 43446/2024, torna a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale: la discrezionalità del giudice penale nella commisurazione della pena. Questa decisione ribadisce un principio consolidato, chiarendo quando e perché un ricorso che contesta la quantificazione della sanzione debba essere considerato inammissibile. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante provvedimento.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. L’unico motivo di doglianza riguardava il trattamento sanzionatorio, ovvero la misura della pena inflitta dai giudici di merito. Il ricorrente, in sostanza, riteneva la pena non equa, contestando le valutazioni che avevano portato alla sua determinazione, sia per quanto riguarda la pena base sia per gli aumenti e le diminuzioni legati a circostanze e reati connessi.
La Decisione della Cassazione sulla discrezionalità del giudice penale
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un pilastro del nostro sistema processuale: la graduazione della pena è espressione del potere discrezionale attribuito al giudice di merito. Tale potere non può essere oggetto di una nuova valutazione da parte della Corte di Cassazione, che non è un terzo grado di giudizio sui fatti, ma un giudice di legittimità, chiamato a verificare la corretta applicazione della legge.
Le Motivazioni
Le motivazioni addotte dalla Corte per giungere a questa conclusione sono chiare e si articolano su più livelli.
In primo luogo, il ricorso è stato ritenuto privo dei requisiti di specificità richiesti dall’articolo 581 del codice di procedura penale. Non è sufficiente lamentare genericamente l’ingiustizia della pena, ma occorre indicare con precisione le ragioni di diritto che si assumono violate.
In secondo luogo, e questo è il punto centrale, la Corte ha ribadito che l’esercizio della discrezionalità del giudice penale nella determinazione della pena non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che la motivazione non sia il frutto di “mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico”. Il giudice di merito valuta tutti gli elementi previsti dall’articolo 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del colpevole, etc.) e, sulla base di questi, modula la sanzione. La Cassazione interviene solo se questo processo valutativo è viziato da un’evidente irrazionalità, non se semplicemente non condivide la scelta finale.
Infine, la Corte ha specificato che l’onere di motivazione del giudice può ritenersi adeguatamente assolto anche attraverso espressioni sintetiche come “pena congrua” o “pena equa”, soprattutto quando la pena irrogata è inferiore alla media edittale. Non è richiesta una motivazione analitica e dettagliata per ogni singolo aspetto della sanzione, essendo sufficiente che dal complesso della sentenza emerga la logicità del percorso decisionale seguito.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale. Le implicazioni pratiche sono notevoli: chi intende impugnare una sentenza per motivi legati all’entità della pena deve essere consapevole che le possibilità di successo in Cassazione sono estremamente limitate. È necessario dimostrare non una semplice divergenza di valutazione, ma un vero e proprio vizio logico o un arbitrio nella decisione del giudice di merito. Questa pronuncia riafferma la fiducia dell’ordinamento nella capacità del giudice che ha gestito il processo di primo e secondo grado di calibrare la sanzione più adeguata al caso concreto, ponendo un argine a ricorsi puramente dilatori o non fondati su vizi di legittimità.
È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa da un giudice?
Risposta: Sì, ma solo in casi eccezionali. Il ricorso è ammissibile solo se la decisione del giudice di merito è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. La determinazione della pena è, per regola generale, un’attività discrezionale non sindacabile in sede di legittimità.
Un giudice deve sempre motivare in modo dettagliato la pena che applica?
Risposta: No. Secondo la Corte di Cassazione, l’obbligo di motivazione può essere considerato assolto anche con espressioni sintetiche come “pena congrua” o “pena equa”, specialmente se la pena inflitta è inferiore alla media prevista dalla legge per quel reato.
Cosa succede se un ricorso per cassazione viene dichiarato inammissibile per questi motivi?
Risposta: Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (nel caso specifico, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43446 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43446 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/12/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, in punto di trattamento sanzionatorio, oltre ad essere privo dei requisiti di specificità previsti, a pena di inammissibilità dall’art. 581 cod. proc. pen., non è consentito in questa sede;
che, invero, trattandosi di esercizio della discrezionalità attribuita al giudice del merito, la graduazione della pena – sia con riguardo alla individuazione della pena base che in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previste per le circostanze e per i reati in continuazione – non può costituire oggetto di ricorso per cassazione laddove la relativa determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non sia stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico;
che, in particolare, l’onere argomentativo del giudice può ritenersi adeguatamente assolto attraverso il richiamo agli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. ritenuti decisivi o rilevanti ovvero attraverso espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, non essendo necessaria una specifica e dettagliata motivazione nel caso in cui venga irrogata una pena inferiore alla media edittale;
che, nella specie, i giudici del merito hanno correttamente esercitato la discrezionalità attribuita, ampiamente argomentando sul punto (si veda, in particolare, pag. 5);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 10 settembre 2024.