Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13954 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13954 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
COGNOME NOME nato a TORRE DEL GRECO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/09/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del AVV_NOTAIO COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
letta la memoria di replica dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 29 novembre 2022 dal Tribunale di Napoli, ha rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME, per i reati di cui agli artt. 110-6 e 81-110-628 cod. pen. contestatigli, confermando nel resto.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, formulando due motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si chiede di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 625-bis cod. pen., in relazione agli artt. 3 e 27, ter comma, Cost., nella parte in cui non prevede la concessione dell’attenuante speciale ivi disciplinata anche per il delitto di rapina.
2.2. Con il secondo motivo, la difesa censura la carenza di motivazione in merito al trattamento sanzionatorio, in particolare per quanto riguarda l’aumento a titolo di continuazione operato per il reato di ricettazione di cui al capo a).
Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dall’art. 17, decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
L’eccezione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata, avuto riguardo all’eterogeneità dei tertiecomparationis invocati dal ricorrente.
In primo luogo, le valutazioni discrezionali di dosimetria penale competono in esclusiva al legislatore, chiamato dalla riserva di legge di cui all’art. 25 Cost. stabilire il grado di reazione dell’ordinamento al cospetto della lesione di un determinato bene giuridico: il sindacato di legittimità costituzionale rispetto a parametri costituiti dagli artt. 3 e 27 Cost. può quindi esercitarsi unicamente su scelte sanzionatorie arbitrarie o manifestamente sproporzionate, tali da evidenziare un uso distorto della discrezionalità legislativa.
Nel caso di specie, la Corte partenopea ha già correttamente evidenziato la non sovrapponibilità tra le fattispecie di furto e di rapina, in ragione del plurioffensività di quest’ultima. Il Giudice delle leggi aveva peraltro già sottolineat come l’incremento dei valori edittali dei reati contro il patrimonio (e dei furti particolare) segnali una pressione punitiva ormai estremamente rilevante e richieda perciò una attenta considerazione da parte del legislatore, alla luce di una valutazione, complessiva e comparativa, dei beni giuridici tutelati dal diritto penale e del livello di protezione loro assicurato, tenendo in adeguata considerazione anche il profilo personalistico dei beni giuridici complessi protetti dalle varie norme incriminatrici, che, diversamente da quello prettamente patrimoniale, possono essere insuscettibili di una graduazione quantitativa (Corte cost., sent. n. 117 del 12/05/2021).
Non valgono a superare queste condivisibili conclusioni i richiami effettuati nel ricorso all’art. 630, quarto e quinto comma, cod. pen., dal momento che il sequestro di persona a scopo di estorsione non esprime un’offensività del tutto omogenea rispetto a quella del delitto in esame e anzi presenta peculiarità sue proprie che impediscono di prenderlo in considerazione ai fini che qui rilevano (la formidabile e potenzialmente prolungata compressione della libertà della persona, la natura di reato permanente suscettibile di interruzione in conseguenza dell’attività collaborativa). Analoghe riflessioni, d’altronde, erano state spese da giudici di appello riguardo ad altre ipotesi delittuose in tema di criminalità mafiosa e di altre fattispecie associative.
La mancata estensione dell’attenuante di cui trattasi anche al delitto di rapina, in conclusione, costituisce un’intangibile manifestazione della discrezionalità del Legislatore, che non trasmoda in opzioni arbitrarie o manifestamente irragionevoli. Né risulta leso il principio di offensività, inteso sia come precetto rivolto legislatore affinché limiti la repressione penale a fatti che esprimano un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione (offensività ” astratto”), sia come criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice affinch nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, eviti di ricondurre a quest’ultimo comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva (offensività “in concreto”). Neppure è fondata l’ulteriore censura formulata sotto il profilo del difetto di proporzionalità della pena, come comprova l’ampia possibilità di modulare il concreto trattamento sanzionatorio in aderenza alla concreta gravità dei fatti (facoltà di cui, come meglio illustrato al paragraf che segue, hanno correttamente fatto uso i giudici di merito).
Il primo motivo è dunque manifestamente infondato.
2. Quanto alle doglianze sulla dosimetria della pena, occorre notare come la pena base per il più grave reato di rapina di cui al capo b) sia stata individuata nel minimo edittale in ordine alla reclusione (cinque anni) e comunque assai mite in ordine alla multa rispetto alla forbice di legge (euro 1.200), con ulteriore diminuzione per la concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza nella loro massima estensione (tre anni e quattro mesi di reclusione ed euro 800 di multa, al lordo della diminuente per il rito). Gli aumenti ex rt. 81 cod. pen. sono stati del pari contenuti (tre mesi di reclusione ed euro 300 di multa per la rapina di cui al capo c) e due mesi di reclusione ed euro 100 di multa per la ricettazione di cui al capo a)). Questo iter di computo discende dalla considerazione della «entità dei fatti, desunta dalle modalità particolarmente allarmanti e violente , tenuto, comunque, conto del contegno collaborativo dell’imputato».
La congruità della mite sanzione concretamente inflitta, nella pienezza della giurisdizione di merito, appare dunque illustrata in maniera logica e aderente al dato processuale.
Peraltro, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni, rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Nel caso in cui venga irrogata una pena molto al di sotto della media edittale, l’obbligo motivazionale si attenua: è sufficiente ch si richiami il criterio di adeguatezza della pena o che si dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., anche solo con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere; resta, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283).
Anche il secondo motivo è dunque manifestamente infondato.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 marzo 2024