Discrezionalità del Giudice e Reato Continuato: La Cassazione Fa Chiarezza
Quando un giudice d’appello modifica la pena per un reato, deve ricalcolare in modo proporzionale anche le pene per i reati collegati? A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 4121/2024, che approfondisce i confini della discrezionalità del giudice nel determinare il trattamento sanzionatorio per il reato continuato. La decisione sottolinea come il potere del magistrato non sia un mero calcolo matematico, ma una valutazione complessa e motivata.
Il Caso: La Riduzione della Pena Base e le Aspettative dell’Imputato
Il caso trae origine dal ricorso di un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello. Il ricorrente sosteneva che i giudici di secondo grado, pur avendo ridotto la pena base per il reato principale, non avevano proporzionalmente diminuito anche la sanzione applicata per il cosiddetto ‘reato satellite’, ovvero il reato unito dal vincolo della continuazione. Secondo la difesa, questa mancata riduzione avrebbe generato una contraddittorietà nella motivazione della sentenza, viziandola.
L’argomento centrale del ricorso si basava sull’idea che una modifica della pena principale dovesse necessariamente e matematicamente ripercuotersi su ogni parte della sanzione complessiva. Si trattava, in sostanza, di una richiesta di applicazione automatica di un principio di proporzionalità.
La Decisione della Corte e la Discrezionalità del Giudice
La Corte di Cassazione ha rigettato completamente questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. Gli Ermellini hanno chiarito che la valutazione del giudice d’appello di ridurre la pena base non comporta in alcun modo l’obbligo di ridurre, nella stessa proporzione, la pena inflitta per il reato in continuazione.
La decisione riafferma un principio cardine del nostro sistema: la determinazione del trattamento sanzionatorio rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito. Questa autonomia non è arbitraria, ma deve essere esercitata attraverso una motivazione che risulti adeguata e logica, come avvenuto nel caso di specie.
Le Motivazioni della Sentenza
La Suprema Corte ha spiegato che non emerge alcuna contraddizione dal provvedimento impugnato. La scelta di come calibrare la pena, includendo l’aumento per la continuazione e la valutazione delle attenuanti generiche, spetta al giudice, che può legittimamente decidere di non intervenire sulla sanzione per il reato satellite anche a fronte di una riduzione di quella principale. L’unico vero limite a questo potere discrezionale, oltre all’obbligo di motivazione, è il divieto di reformatio in peius, ovvero il divieto di peggiorare la pena dell’imputato che ha proposto l’impugnazione. Tale divieto, ha specificato la Corte, non era pertinente nel caso in esame, poiché la pena complessiva non era stata aumentata.
Citando un precedente conforme (Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008), la Corte ha ribadito che la discrezionalità del giudice del merito nella quantificazione della pena è un potere ampio, sindacabile in sede di legittimità solo se la motivazione è palesemente illogica o assente.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza n. 4121/2024 consolida un importante principio in materia di commisurazione della pena. Per chi si trova ad affrontare un processo penale, ciò significa che non è sufficiente appellarsi a un calcolo puramente aritmetico per contestare una sentenza. È necessario, invece, dimostrare un vizio specifico nel ragionamento del giudice, come una contraddizione manifesta o una carenza di logica. La discrezionalità del giudice rimane un pilastro fondamentale del sistema sanzionatorio, garantendo che la pena sia adattata al caso concreto e non il risultato di un freddo automatismo.
 
Se un giudice d’appello riduce la pena per il reato principale, è obbligato a ridurre anche quella per i reati in continuazione?
No. Secondo l’ordinanza, la riduzione della pena base non comporta automaticamente l’obbligo di ridurre proporzionalmente la pena per il reato ‘satellite’. La determinazione della sanzione rientra nella discrezionalità del giudice del merito.
Qual è il limite alla discrezionalità del giudice nel determinare la pena?
Il limite principale è che la motivazione deve essere adeguata e logica. Inoltre, il giudice deve rispettare il divieto di reformatio in peius, ovvero non può peggiorare la situazione dell’imputato che ha presentato appello.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché gli argomenti proposti sono stati giudicati manifestamente infondati. La Corte di Cassazione ha stabilito che non emergeva alcuna contraddittorietà nella motivazione della sentenza impugnata.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4121 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 4121  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/04/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato in intestazione;
Ritenuto che gli argomenti proposti nell’unico motivo di ricorso siano manifestamente infondati, in quanto deducono un vizio di contraddittorietà della motivazione che non emerge dal testo del provvedimento impugnato, atteso che la valutazione del giudice di appello di ridurre la pena base non comportava necessariamente l’obbligo di ridurre proporzionalmente anche la pena inflitta per il reato satellite della continuazione, neanche attraverso una rivalutazione, a tal limitato fine, delle attenuanti generiche, rientrando determinazione del trattamento sanzionatorio nelia discrezionalità del giudice del merito, se sorretta da adeguata e logica motivazione (Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, Gasparri, Rv. 239754), salvo il rispetto del divieto di reformatio in peius, pacificamente non pertinente al caso in esame;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 11 gennaio 2024.