Discrezionalità del Giudice e Limiti al Ricorso in Cassazione: Un Caso Emblematico
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sui limiti del sindacato di legittimità riguardo alla discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena. La pronuncia chiarisce quando e perché le doglianze relative alla quantificazione della sanzione penale non possono trovare accoglimento davanti alla Suprema Corte, specialmente se la decisione impugnata è sorretta da una motivazione logica e coerente. Questo caso analizza due ricorsi, entrambi dichiarati inammissibili, fornendo spunti fondamentali per comprendere i confini del giudizio di cassazione.
Il Contesto del Caso Giudiziario
Due soggetti avevano presentato ricorso avverso una sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello territoriale. Entrambi i ricorsi si concentravano esclusivamente su aspetti legati alla pena inflitta. Il primo ricorrente lamentava la mancata applicazione nella sua massima estensione di un’attenuante speciale, mentre il secondo contestava l’eccessività della pena nel suo complesso. La Corte di Cassazione è stata quindi chiamata a valutare non la colpevolezza degli imputati, ma la correttezza del percorso logico-giuridico seguito dai giudici di merito nel determinare la sanzione finale.
I Motivi del Ricorso e la Discrezionalità del Giudice
I ricorsi presentati si fondavano su due distinti argomenti, entrambi volti a ottenere una riduzione della pena stabilita in appello. La Corte li ha esaminati separatamente, giungendo per entrambi alla medesima conclusione di inammissibilità.
La Posizione del Primo Ricorrente
Il primo imputato contestava che la riduzione di pena per l’attenuante prevista dall’art. 416 bis.1, comma 3, del codice penale (relativa a condotte di collaborazione) non fosse stata applicata nella misura massima possibile. Sosteneva, in sostanza, che il suo contributo dichiarativo meritasse uno ‘sconto’ di pena maggiore di quello concesso (un terzo). La sua doglianza mirava a una riconsiderazione nel merito della valenza delle sue dichiarazioni.
La Posizione del Secondo Ricorrente
Il secondo imputato, invece, sollevava una questione più generica, lamentando l’eccessività della pena inflittagli. Questo tipo di censura si basa sulla percezione che la sanzione sia sproporzionata rispetto alla gravità del fatto e alla personalità del reo, invocando una nuova valutazione basata sui criteri degli articoli 132 e 133 del codice penale.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, dichiarandoli manifestamente infondati e, di conseguenza, inammissibili. Per il primo ricorrente, la Suprema Corte ha evidenziato che la decisione della Corte d’Appello era basata su una motivazione esente da vizi logici. I giudici di merito avevano chiaramente spiegato perché la riduzione di pena era stata limitata a un terzo: le dichiarazioni dell’imputato avevano avuto un’incidenza limitata a una sola delle imputazioni contestate. Tale valutazione rientra pienamente nella discrezionalità del giudice di merito e non può essere messa in discussione in sede di legittimità se, come in questo caso, è adeguatamente motivata.
Per quanto riguarda il secondo ricorso, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la contestazione sull’eccessività della pena non è, di per sé, un motivo ammissibile per un ricorso in sede di legittimità. La graduazione della pena è l’espressione massima della discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita sulla base dei criteri legali (artt. 132 e 133 c.p.). In questo specifico caso, il giudice aveva dato conto del suo ragionamento, specificando che la pena era stata calcolata partendo dal minimo edittale, sia per la pena base sia per l’aumento relativo a una circostanza aggravante. Di fronte a una motivazione così puntuale, non vi era spazio per una censura da parte della Corte di Cassazione.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame riafferma con chiarezza che il ruolo della Corte di Cassazione non è quello di un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda. Il suo compito è vigilare sulla corretta applicazione della legge e sulla coerenza logica della motivazione. Quando un giudice di merito esercita la propria discrezionalità nella determinazione della pena e fornisce una giustificazione plausibile e non contraddittoria per le sue scelte, tale decisione diventa insindacabile in sede di legittimità. La conseguenza per i ricorrenti è stata la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende, a conferma della totale infondatezza delle loro istanze.
È possibile contestare in Cassazione la quantità di pena decisa dal giudice di merito?
No, la contestazione sulla mera eccessività della pena non è un motivo consentito dalla legge per ricorrere in Cassazione. La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito e, se la decisione è motivata secondo i criteri di legge (artt. 132 e 133 c.p.), non è sindacabile in sede di legittimità.
Per quale motivo il ricorso sulla mancata applicazione nel massimo della riduzione di pena è stato respinto?
Il ricorso è stato respinto perché la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica e non contraddittoria per la sua decisione. Aveva specificato che la riduzione di pena nella misura di un terzo era giustificata dal fatto che le dichiarazioni dell’imputato avevano inciso su una sola delle imputazioni, rendendo la scelta del giudice di merito incensurabile in Cassazione.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione per aver adito la Corte con un ricorso infondato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 255 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 255 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a CATANIA il 25/09/1974
NOME nato a CATANIA il 27/09/1966
avverso la sentenza del 12/03/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi di COGNOME Salvatore e COGNOME Giuseppe,
Ritenuto che l’unico motivo del ricorso di COGNOME COGNOME con il quale si contest mancata riduzione della pena comminata in primo grado nel massimo previsto dall’attenuante di cui all’art. 416 bis.1 co. 3 cod. pen., è manifestamente infondato in presenza di una motivazione esente da evidenti illogicità, nella quale si evidenzia che la diminuzione di p per detta attenuante nella misura di un terzo si giustifica in ragione dell’incidenza dichiarazioni dell’imputato su un’unica imputazione, ovvero quella di cui al capo b);
considerato che l’unico motivo del ricorso di COGNOME Giuseppe, con il quale si contest l’eccessività della pena non è consentito dalla legge in sede di legittimità ed è manifestame infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione del pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai pr enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; che nella specie il giudice adito ha esplici ragioni del suo convincimento, evidenziando che la pena è stata calcolata al minimo edittale si per quanto attiene alla pena base, sia per quanto riguarda l’aumento di pena per la circostanz di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen.;
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna de ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore dell Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processual della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 3 dicembre 2024 Il Consigliere estensore COGNOME