La Discrezionalità del Giudice nella Pena: Limiti e Inammissibilità del Ricorso
L’Ordinanza n. 45453/2024 della Corte di Cassazione ribadisce un principio cardine del nostro sistema processuale penale: la discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena non è, di norma, sindacabile in sede di legittimità. Questo articolo analizza la decisione, spiegando perché un ricorso basato unicamente sulla percezione di una pena eccessiva sia destinato a essere dichiarato inammissibile.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Bologna. L’unico motivo di doglianza sollevato dal ricorrente riguardava l’eccessività della pena inflittagli, ritenuta non congrua rispetto ai fatti contestati. L’imputato chiedeva, in sostanza, una rivalutazione della sanzione da parte della Suprema Corte.
La Decisione della Cassazione e la Discrezionalità del Giudice
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su un orientamento giurisprudenziale consolidato: la valutazione circa la misura della pena è un’attività che rientra pienamente nel potere discrezionale del giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello). La Cassazione, in quanto giudice di legittimità, non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici che hanno esaminato le prove e i fatti nel dettaglio. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non decidere se una pena sia ‘troppo alta’ o ‘troppo bassa’.
Le Motivazioni della Corte
La Suprema Corte ha articolato le sue motivazioni su due punti fondamentali. In primo luogo, ha chiarito che contestare l’entità della pena si traduce in una valutazione di merito, preclusa in sede di legittimità. Il ricorso è stato inoltre considerato ‘manifestamente infondato’.
Il potere discrezionale del giudice nel determinare la pena non è arbitrario, ma deve essere esercitato in aderenza ai principi enunciati dagli articoli 132 e 133 del codice penale. Questi articoli impongono al giudice di tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del colpevole, valutando elementi come la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione, la gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, e l’intensità del dolo o il grado della colpa.
Nel caso specifico, la Cassazione ha rilevato che la Corte d’Appello aveva adempiuto al proprio onere di motivazione, facendo un ‘congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi’ nella propria sentenza. Di conseguenza, non sussisteva alcun vizio di legittimità che potesse giustificare un intervento della Suprema Corte.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma che la strategia difensiva di impugnare una sentenza di condanna davanti alla Cassazione, basandosi esclusivamente sulla contestazione della misura della pena, ha scarse probabilità di successo. Affinché un ricorso di questo tipo possa essere accolto, è necessario dimostrare che il giudice di merito abbia commesso un errore di diritto nell’applicare i criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p., oppure che la sua motivazione sia del tutto mancante, palesemente illogica o contraddittoria. In assenza di tali vizi, la discrezionalità del giudice di merito rimane sovrana, e il ricorrente, oltre a vedere respinto il proprio ricorso, rischia la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È possibile contestare davanti alla Corte di Cassazione una pena ritenuta troppo alta?
Generalmente no. Secondo questa ordinanza, la valutazione sulla misura della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. La Cassazione può intervenire solo se la motivazione è mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, non per riesaminare la decisione nel merito.
Quali sono i criteri che il giudice deve seguire per decidere la misura della pena?
Il giudice deve esercitare la sua discrezionalità seguendo i principi stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono di valutare la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole.
Cosa succede se un ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Come stabilito in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questa ordinanza, tremila euro) a favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45453 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45453 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 01/05/1990
avverso la sentenza del 20/12/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso,che contesta l’eccessività della pena,non è consentito dalla legge in sede di legittimità in quanto si risolve in valutazione di merito ed è, comunque, manifestamente infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli arti. 132 e 133 cod. pen.; che nella specie l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare pag. 3 della sentenza impugnata);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.
Roma, 24/09/2024