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Discrezionalità del giudice: pena eccessiva non basta

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di due imputati condannati per minacce e lesioni, i quali lamentavano unicamente l’eccessività della pena. L’ordinanza ribadisce che la quantificazione della pena rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito e, se adeguatamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità.

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Pubblicato il 18 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Discrezionalità del giudice: quando la pena non si può contestare

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento su uno dei principi cardine del nostro sistema processuale: la discrezionalità del giudice nella determinazione della pena. Quando un imputato ritiene la propria condanna eccessiva, può sempre sperare in una riduzione in appello o in Cassazione? La risposta, come vedremo, non è così scontata e dipende in larga misura dalla qualità della motivazione della sentenza impugnata.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da due fratelli, condannati in primo e secondo grado per i reati di minaccia e lesioni personali in concorso. La Corte d’Appello, pur dichiarando la prescrizione per alcune contravvenzioni minori, aveva confermato la loro responsabilità penale per i delitti principali, procedendo semplicemente a una rideterminazione della pena.

Insoddisfatti della decisione, i due imputati si sono rivolti alla Corte di Cassazione, presentando ricorsi identici. L’unico motivo di doglianza sollevato era l’eccessività della pena inflitta, ritenuta sproporzionata rispetto ai fatti contestati.

La Decisione della Corte e la Discrezionalità del Giudice

La Suprema Corte, con l’ordinanza numero 20438 del 2024, ha troncato sul nascere le speranze dei ricorrenti, dichiarando i ricorsi inammissibili. La decisione si fonda su un principio consolidato: la graduazione della pena è espressione della discrezionalità del giudice di merito e non può essere oggetto di una nuova valutazione da parte della Corte di Cassazione, a meno che la motivazione della sentenza non sia palesemente illogica o assente.

In altre parole, la Cassazione non è un “terzo grado” di giudizio dove si può ridiscutere l’entità della sanzione. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione, non sostituire la propria valutazione a quella dei giudici che hanno esaminato le prove nel dettaglio.

Le Motivazioni

Nel motivare la propria decisione, la Corte ha sottolineato come l’unico motivo di ricorso fosse “manifestamente infondato”. I giudici di legittimità hanno evidenziato che il potere discrezionale del giudice di merito nella commisurazione della pena è ampio. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva fornito una giustificazione adeguata e coerente per la pena irrogata, come emergeva chiaramente dalla lettura della sentenza impugnata.

Di conseguenza, lamentare genericamente l’eccessività della sanzione, senza individuare vizi logici o errori di diritto nel ragionamento del giudice che l’ha determinata, si traduce in una richiesta inammissibile di rivalutazione del merito della vicenda. La Corte ha quindi rigettato i ricorsi, condannando i ricorrenti non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro ciascuno alla Cassa delle ammende.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un’importante lezione pratica per chiunque intenda impugnare una sentenza di condanna. Criticare la pena perché ritenuta “troppo alta” non è sufficiente per ottenere un risultato favorevole in Cassazione. È indispensabile che il ricorso attacchi la struttura logica della motivazione, dimostrando come il giudice di merito abbia esercitato la propria discrezionalità in modo irragionevole, contraddittorio o in violazione di specifici parametri legali. In assenza di tali vizi, la discrezionalità del giudice resta insindacabile, e il ricorso è destinato all’inammissibilità, con le relative conseguenze economiche.

È possibile ricorrere in Cassazione sostenendo unicamente che la pena inflitta è troppo alta?
Generalmente no, se il giudice di merito ha adeguatamente motivato la sua decisione. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso del genere, poiché la determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice e non può essere riesaminata nel merito se la motivazione è congrua.

Cosa significa che un ricorso è “manifestamente infondato”?
Significa che il motivo del ricorso è così palesemente privo di fondamento giuridico che la Corte lo respinge senza un’analisi approfondita nel merito. In questo caso, lamentare l’eccessività della pena senza criticare la logica della motivazione è stato considerato manifestamente infondato.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Come stabilito in questa ordinanza, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, in questo caso di tremila euro, a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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