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Discrezionalità del giudice: pena base e motivazione

Un imputato ha impugnato in Cassazione la sentenza della Corte d’Appello che, nonostante una parziale assoluzione, aveva confermato la stessa pena base del primo grado. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo la vasta discrezionalità del giudice di merito nel quantificare la pena. Secondo la Corte, una motivazione sintetica, basata sulla gravità del fatto, è sufficiente a rendere la decisione legittima, escludendo la possibilità di una nuova valutazione nel giudizio di legittimità.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Discrezionalità del giudice: quando la pena base è legittima anche senza una riduzione?

La determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui emerge la fondamentale discrezionalità del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’opportunità di approfondire i limiti e le modalità di esercizio di tale potere, chiarendo quando una pena possa essere considerata congrua anche a fronte di una parziale assoluzione in appello. La decisione sottolinea come il sindacato della Corte di legittimità sulla misura della pena sia circoscritto ai soli casi di motivazione illogica o assente.

I fatti del caso

Il caso trae origine dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Quest’ultima, pur avendo parzialmente riformato la sentenza di primo grado con un’assoluzione per un episodio specifico e l’esclusione di una circostanza aggravante, aveva deciso di mantenere invariata la pena base inflitta dal primo giudice: sette anni e sei mesi di reclusione, oltre a una multa di 60.000 euro.
L’imputato, attraverso il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando proprio questo aspetto: la mancata riduzione della pena base nonostante l’esito parzialmente favorevole del giudizio d’appello, configurando a suo dire una violazione di legge e un vizio di motivazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza: la graduazione della pena rientra nella sfera di discrezionalità del giudice di merito. Questo potere deve essere esercitato nel rispetto dei principi stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale.
Di conseguenza, un ricorso in Cassazione che miri a ottenere una nuova valutazione sulla congruità della pena è inammissibile, a meno che la determinazione del giudice di merito non sia il risultato di un mero arbitrio, di un ragionamento illogico o non sia supportata da una motivazione sufficiente.

Le motivazioni e la discrezionalità del giudice

Il cuore della decisione risiede nell’analisi dell’obbligo di motivazione. La Corte ha chiarito che tale obbligo si considera adempiuto quando il giudice indica l’elemento, tra quelli previsti dall’art. 133 c.p., ritenuto prevalente e di dominante rilievo per la sua decisione. Non è richiesta un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, ma è sufficiente una visione globale che evidenzi i fattori ritenuti decisivi.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva adeguatamente assolto al suo onere argomentativo facendo riferimento alla “gravità del fatto” come elemento decisivo. Questo riferimento è stato considerato sufficiente a giustificare la conferma della pena base, anche a fronte della parziale assoluzione.
La Corte ha inoltre richiamato l’orientamento secondo cui:

* Quando la pena si attesta su una misura non troppo distante dal minimo edittale, è sufficiente una motivazione sintetica con espressioni come “pena congrua” o “pena equa”.
* Una motivazione specifica e dettagliata è necessaria solo quando la pena irrogata sia di gran lunga superiore alla misura media prevista dalla legge per quel reato.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante principio in materia di trattamento sanzionatorio e di discrezionalità del giudice. Essa conferma che l’autonomia del giudice di merito nella quantificazione della pena è molto ampia e che il controllo della Corte di Cassazione è limitato alla verifica della logicità e della legalità del ragionamento seguito, senza poter entrare nel merito della scelta effettuata. Per gli operatori del diritto, ciò significa che le doglianze relative alla misura della pena devono essere fondate su vizi concreti della motivazione (come la sua manifesta illogicità o la sua totale assenza) e non sulla semplice richiesta di una valutazione diversa e più favorevole. La gravità del fatto, se adeguatamente considerata, può legittimamente giustificare una pena severa, anche in presenza di elementi potenzialmente favorevoli all’imputato.

Può il giudice d’appello mantenere la stessa pena base del primo grado anche se assolve parzialmente l’imputato?
Sì, la Corte d’Appello può confermare la pena base decisa in primo grado anche in caso di assoluzione parziale. La determinazione della pena rientra nella sua discrezionalità e non è automaticamente legata a una riduzione matematica in seguito a un’assoluzione parziale, se altri elementi, come la gravità complessiva del reato residuo, la giustificano.

Come deve essere motivata la decisione sulla misura della pena?
La motivazione non deve essere necessariamente analitica. È sufficiente che il giudice indichi gli elementi ritenuti decisivi ai sensi dell’art. 133 del codice penale, come la gravità del fatto. Una motivazione più dettagliata è richiesta solo quando la pena si discosta notevolmente dalla media edittale, mentre per pene vicine al minimo sono sufficienti anche espressioni sintetiche come “pena congrua”.

Quando è possibile contestare in Cassazione la misura della pena stabilita dal giudice di merito?
È possibile contestare la misura della pena in Cassazione solo quando la decisione del giudice di merito è frutto di arbitrarietà, il ragionamento è manifestamente illogico o la motivazione è del tutto assente. La Corte di Cassazione non può riesaminare il merito della congruità della pena, ma solo controllare la legalità e la logicità della motivazione fornita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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