Discrezionalità del Giudice e Graduazione della Pena: La Cassazione Conferma i Principi
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione riafferma un principio cardine del nostro sistema penale: la discrezionalità del giudice nella determinazione della pena. La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso di un imputato, ha sottolineato come la valutazione delle circostanze e la quantificazione della sanzione siano prerogative del giudice di merito, insindacabili in sede di legittimità se sorrette da una motivazione congrua e non manifestamente illogica.
I Fatti del Ricorso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un uomo condannato dalla Corte d’Appello di Torino. L’imputato lamentava una scorretta applicazione delle norme sulla commisurazione della pena. In particolare, i motivi del ricorso vertevano su tre punti principali:
1. Il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella loro massima estensione.
2. La mancata prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti speciali contestate.
3. Una pena finale non fissata sul minimo edittale, ritenuta eccessiva.
Secondo la difesa, la Corte territoriale non aveva adeguatamente valorizzato gli elementi a favore dell’imputato, applicando una pena sproporzionata.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno definito i motivi presentati come ‘manifestamente infondati’, evidenziando come essi non si confrontassero in modo critico e puntuale con la motivazione della sentenza impugnata, ma si limitassero a riproporre le stesse doglianze già esaminate e respinte nel grado precedente.
Le Motivazioni: la Discrezionalità del Giudice
Il cuore della decisione risiede nella riaffermazione del consolidato principio sulla discrezionalità del giudice di merito. La Corte ha ricordato che la graduazione della pena, inclusa la valutazione delle circostanze aggravanti e attenuanti e la fissazione della pena base, è un’attività che rientra pienamente nel potere discrezionale del giudice che ha esaminato i fatti.
Questo potere non è arbitrario, ma deve essere esercitato in aderenza ai principi stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono al giudice di tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha verificato che la Corte d’Appello aveva assolto al proprio onere motivazionale, fornendo un ‘congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti’.
La Suprema Corte non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, ma può solo verificare la correttezza giuridica e la logicità del percorso argomentativo seguito. Poiché la motivazione della Corte d’Appello era esente da vizi logici o violazioni di legge, il ricorso non poteva che essere dichiarato inammissibile.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale pacifico e offre un’importante lezione pratica. Un ricorso in Cassazione che miri a contestare la misura della pena ha scarse probabilità di successo se si limita a sollecitare una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto. Per superare il vaglio di ammissibilità, è necessario dimostrare un vizio specifico della motivazione, come una sua palese illogicità, una contraddittorietà o una violazione di legge nell’applicazione dei criteri di commisurazione. La decisione conferma che, in assenza di tali vizi, la valutazione del giudice di merito sulla pena da infliggere è e rimane sovrana.
È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa da un giudice?
Sì, ma solo se si riesce a dimostrare che la motivazione del giudice è manifestamente illogica, contraddittoria o viola specifiche norme di legge. Non basta essere in disaccordo con la pena, poiché la sua determinazione rientra nella discrezionalità del giudice di merito.
Per quale motivo il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché i motivi erano considerati manifestamente infondati e, soprattutto, non si confrontavano in modo specifico con le argomentazioni contenute nella sentenza della Corte d’Appello, limitandosi a riproporre le stesse lamentele.
Cosa significa che il giudice ha condannato il ricorrente al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la legge prevede che il ricorrente, oltre al pagamento delle spese processuali, sia condannato a versare una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, un ente che finanzia progetti per il recupero dei detenuti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30800 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30800 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/01/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricordo proposto nell’interesse di NOME COGNOME, ·
ritenuto che i due motivi di ricorso svolti in tema di misura sanzionatoria (attenuanti generiche, prevalenti sulle aggravanti speciali e ad effetto speciale contestate, non riconosciute nella massima estensione e misura della pena non esattamente adagiata sul minimo edittale) sono manifestamente infondati e neppure si confrontano con la puntuale motivazione offerta dalla Corte territoriale sui temi proposti alla sua attenzione con i motivi di gravame oggi qui replicati; rientrando la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e la fissazione della pena base nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.;
che nella specie l’onere argomentativo del giudice è stato, sui punti dedotti, adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare pag. 4 della sentenza impugnata);
ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 giugno 2024.