Discrezionalità del giudice: quando la pena non si può contestare in Cassazione
L’ordinanza n. 22127 del 2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sui limiti del ricorso contro le sentenze di condanna. Il caso analizzato chiarisce fino a che punto si estende la discrezionalità del giudice nella determinazione della pena e quando un’impugnazione basata sulla sua presunta eccessività rischia di essere dichiarata inammissibile. Comprendere questo principio è fondamentale per chiunque si approcci al processo penale.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello. L’unico motivo di doglianza riguardava il trattamento sanzionatorio. In particolare, il ricorrente contestava la decisione del giudice di merito di applicare una riduzione per le circostanze attenuanti comuni in misura inferiore a un terzo, ritenendola ingiustamente penalizzante. La questione posta alla Corte Suprema non era dunque relativa alla colpevolezza, ma esclusivamente alla quantificazione della pena.
La Decisione della Corte di Cassazione sulla Discrezionalità del Giudice
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio consolidato nel nostro ordinamento: la graduazione della pena è espressione del potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere, se esercitato in modo logico e motivato, non può essere oggetto di una nuova valutazione da parte della Corte di Cassazione, il cui compito è verificare la corretta applicazione della legge e non riesaminare i fatti.
Le Motivazioni
La Corte ha spiegato che la discrezionalità del giudice nella determinazione della pena, inclusa la diminuzione per le attenuanti, non può essere censurata in sede di legittimità se la decisione è supportata da una motivazione sufficiente e non è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano adempiuto al loro onere motivazionale facendo riferimento a due elementi cruciali:
1. Criteri dell’art. 133 del Codice Penale: Questo articolo elenca i parametri che il giudice deve considerare per commisurare la pena (gravità del reato, capacità a delinquere del colpevole, ecc.). Il semplice richiamo a tali criteri, se pertinente, è sufficiente a sostenere la decisione.
2. Valutazione del danno: La Corte d’Appello aveva tenuto conto dell’entità dei “plurimi effetti pregiudizievoli subiti dalla persona offesa”. Questa valutazione di fatto, relativa al concreto danno causato dal reato, è un tipico apprezzamento di merito che sfugge al sindacato della Cassazione.
Di conseguenza, non essendo stata riscontrata alcuna illogicità manifesta o arbitrarietà nella decisione impugnata, il ricorso è stato respinto. Al ricorrente è stata inoltre addebitata la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un concetto chiave del processo penale: non ci si può rivolgere alla Corte di Cassazione sperando in una “terza valutazione” dei fatti del processo. La discrezionalità del giudice di primo e secondo grado nella quantificazione della pena è molto ampia. Un ricorso che si limiti a lamentare una pena ritenuta troppo severa, senza individuare un vizio logico o una violazione di legge nella motivazione del giudice, è destinato all’insuccesso. Per gli avvocati, ciò significa che i motivi di ricorso devono essere attentamente calibrati su questioni di diritto, evitando di trasformare l’ultimo grado di giudizio in un’impropria richiesta di revisione del merito della sentenza.
È possibile impugnare una sentenza in Cassazione solo perché si ritiene la pena troppo alta?
No. Secondo questa ordinanza, la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Un ricorso basato unicamente su questo aspetto è inammissibile, a meno che non si dimostri che la motivazione del giudice sia stata arbitraria o manifestamente illogica.
Quali elementi ha considerato il giudice per giustificare la misura della pena in questo caso?
Il giudice ha giustificato la sua decisione richiamando i criteri generali previsti dall’articolo 133 del codice penale e, in particolare, valutando la concreta entità dei molteplici danni subiti dalla persona offesa a causa del reato.
Qual è stata la conseguenza finale per chi ha presentato il ricorso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22127 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22127 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/07/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interese di NOME COGNOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con il quale si contesta il trattamento sanzionatorio in relazione alla riduzione dell’attenuante comune in misura inferiore ad un terzo, non è consentito in quanto, trattandosi di esercizio della discrezionalità attribuita al giudice del merito, la graduazione della pena, anche in relazione alle diminuzioni previste per le circostanze attenuanti, non può costituire oggetto di ricorso per cassazione, laddove la relativa determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non sia stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico;
che, nella specie, l’onere argomentativo del giudice è stato adeguatamente assolto attraverso il richiamo agli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. ritenuti decisivi o rilevanti, nonché attraverso una valutazione di fatto, non sindacabile in questa sede, in relazione all’entità dei plurimi effetti pregiudizievoli subiti dall persona offesa (si veda, in particolare, pag. 5);
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 23 aprile 2024.