Discrezionalità del Giudice: la Cassazione fissa i paletti sulla misura della pena
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sui limiti del ricorso contro la misura della pena. Il caso in esame sottolinea un principio fondamentale del nostro sistema processuale: la discrezionalità del giudice di merito nel determinare la sanzione penale non può essere contestata in sede di legittimità se la decisione è logicamente motivata. Analizziamo insieme questa pronuncia per comprendere meglio le dinamiche processuali.
Il caso: un ricorso contro la quantificazione della pena
Un imputato, condannato dalla Corte d’Appello, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando l’errata quantificazione della pena e la mancata esclusione della recidiva. Secondo la difesa, la Corte territoriale non avrebbe motivato adeguatamente la sua decisione, applicando una pena ritenuta eccessiva. Il ricorso mirava, in sostanza, a ottenere una nuova valutazione nel merito della congruità della sanzione applicata.
L’insindacabilità della discrezionalità del giudice di merito
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici supremi hanno ribadito un orientamento consolidato: la graduazione della pena, inclusa la gestione degli aumenti per le aggravanti e delle diminuzioni per le attenuanti, rientra nel potere esclusivo del giudice di merito. Questa discrezionalità del giudice è guidata dai principi enunciati negli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono di tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del reo.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il giudice d’appello avesse assolto al suo onere motivazionale, fornendo un riferimento congruo agli elementi considerati decisivi per la sua scelta. Sollevare dubbi su questa valutazione significa entrare nel merito dei fatti, un’attività preclusa alla Corte di Cassazione, che ha il compito di verificare solo la legittimità della decisione, non la sua opportunità.
La corretta valutazione della recidiva
Un punto cruciale affrontato dall’ordinanza riguarda la valutazione della circostanza aggravante della recidiva (art. 99 c.p.). La Corte ha specificato che il giudice non può basarsi unicamente sulla gravità dei fatti o sull’arco temporale in cui sono stati commessi. È necessario un esame concreto del rapporto tra il reato per cui si procede e le condanne precedenti.
L’obiettivo è verificare se e in quale misura la condotta criminale passata sia indicativa di una “perdurante inclinazione al delitto” che ha agito come fattore criminogeno per il nuovo reato. Anche su questo punto, la Cassazione ha ritenuto che il giudice di merito avesse applicato correttamente i principi della giurisprudenza di legittimità.
Le motivazioni della decisione
Le motivazioni della Corte Suprema si fondano sulla netta distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché le censure mosse dal ricorrente non denunciavano una violazione di legge o un vizio logico della motivazione, ma miravano a una riconsiderazione dei fatti e delle valutazioni discrezionali del giudice d’appello. La Corte ha sottolineato che, una volta che il giudice di merito ha esercitato la sua discrezionalità in modo non arbitrario e con una motivazione adeguata, la sua decisione non può essere messa in discussione in Cassazione. La corretta applicazione dei criteri dell’art. 133 c.p. e un’analisi ponderata della recidiva hanno reso la sentenza impugnata immune da censure di legittimità.
Le conclusioni
L’ordinanza conferma che la scelta sull’entità della pena è un baluardo della discrezionalità del giudice di merito. Un ricorso in Cassazione che non evidenzi vizi di legge o illogicità manifeste nella motivazione, ma che si limiti a contestare l’opportunità della pena inflitta, è destinato all’inammissibilità. Questa decisione comporta per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, a testimonianza della serietà con cui l’ordinamento sanziona l’abuso dello strumento impugnatorio.
È possibile contestare in Cassazione la misura della pena decisa da un giudice?
No, se la contestazione riguarda il merito della decisione, cioè la valutazione del giudice sulla congruità della pena. Il ricorso in Cassazione è ammesso solo per questioni di legittimità, come la violazione di legge o un vizio logico della motivazione, non per ottenere una nuova valutazione dei fatti.
Come deve essere valutata la recidiva da un giudice?
La valutazione non può basarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti o sul tempo trascorso. Il giudice deve esaminare in concreto il legame tra il nuovo reato e le condanne precedenti per determinare se la condotta passata indichi una “perdurante inclinazione al delitto” che abbia influenzato la commissione del nuovo reato.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19848 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19848 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME COGNOMENOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/09/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME,
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione in punto di misura della pena e di mancata esclusione della recidiva, non è consentito in sede di legittimità perché solleva questioni di merito; esso, inoltre, è manifestamente infondato perché, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; che nella specie l’onere argomentativo del giudice è stato adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti;
rilevato che il giudice di merito ha fatto corretta applicazione (si vedano, in particolare, le pagg. 3 e 4 della impugnata sentenza) dei principi della giurisprudenza di legittimità secondo cui in ordine alla circostanza aggravante ex art. 99 cod. pen., la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice”;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Roma, 6 marzo 2024