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Discrezionalità del giudice: limiti e motivazione

Un individuo ricorre in Cassazione contro una condanna per lesioni e violenza privata, lamentando una pena troppo severa a fronte di disagi personali. La Corte Suprema dichiara il ricorso inammissibile, riaffermando che la valutazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. La decisione viene confermata in quanto la Corte d’Appello aveva già ridotto la pena base rispetto al primo grado e aveva fornito una motivazione adeguata e logica, rispettando i principi di legge.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Discrezionalità del Giudice nella Determinazione della Pena: Un’Analisi della Cassazione

La determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale. La legge fornisce dei criteri, ma spetta al magistrato tradurli in una sanzione concreta. Questo potere, noto come discrezionalità del giudice, è fondamentale ma non illimitato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire i confini di questo potere e l’importanza di una motivazione adeguata.

I Fatti del Caso: Lesioni e Violenza Privata

Il caso trae origine da una sentenza della Corte di Appello che aveva parzialmente riformato una condanna di primo grado per i reati di lesioni personali aggravate e violenza privata. La Corte territoriale, riconoscendo la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, aveva rideterminato la pena finale in otto mesi di reclusione.

Non soddisfatto della decisione, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione. Il motivo principale della sua doglianza riguardava proprio il trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivamente severo. A suo dire, i giudici non avrebbero tenuto adeguatamente conto dei disagi personali da cui era affetto, che avrebbero dovuto giustificare una pena ancora più mite.

La Decisione della Corte e il Ruolo della Discrezionalità del Giudice

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. La decisione si fonda su un principio consolidato della giurisprudenza: la graduazione della pena è espressione della discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita seguendo i principi stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale.

Il motivo del ricorso: una pena ritenuta eccessiva

Il ricorrente lamentava un vizio di motivazione, sostenendo che la pena inflitta fosse sproporzionata. Tuttavia, la sua argomentazione si basava su un generico riferimento a ‘disagi’ personali, senza fornire elementi specifici in grado di incrinare la logicità della decisione dei giudici di appello.

La valutazione della Suprema Corte

Gli Ermellini hanno evidenziato come il giudice di merito avesse adempiuto al proprio onere motivazionale. La Corte di Appello non solo aveva considerato le circostanze attenuanti, ma le aveva ritenute prevalenti, un’operazione che aveva già portato a un significativo abbassamento della pena. Infatti, la pena base era stata fissata in un anno di reclusione, a fronte di un anno e tre mesi stabiliti in primo grado. Questo dimostra un esercizio concreto e ponderato del potere discrezionale.

Le Motivazioni

La Corte ha ribadito che il controllo di legittimità sulla motivazione in tema di trattamento sanzionatorio non può trasformarsi in un nuovo giudizio di merito. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice che ha esaminato le prove e conosciuto direttamente le parti del processo. Il suo compito è verificare che la decisione sia logica, coerente e non contraddittoria.

Nel caso specifico, la motivazione della Corte di Appello è stata giudicata ‘congrua’ e adeguata. I giudici avevano fatto riferimento a elementi decisivi emersi nel processo per giustificare la pena inflitta. Di conseguenza, il generico richiamo ai disagi dell’imputato non era sufficiente a scalfire la solidità di una motivazione ben argomentata, che si inseriva correttamente nel perimetro della discrezionalità del giudice.

Conclusioni

Questa ordinanza conferma un punto cruciale del nostro sistema penale: la discrezionalità del giudice nella commisurazione della pena è ampia, ma deve essere sempre ancorata ai criteri legali e supportata da una motivazione trasparente e logica. Un ricorso in Cassazione che si limiti a contestare l’entità della pena senza evidenziare vizi logici o violazioni di legge è destinato all’inammissibilità. La decisione finale non è un mero calcolo matematico, ma il risultato di una valutazione complessa che, se ben motivata, è difficilmente censurabile in sede di legittimità. Per il condannato, ciò si è tradotto non solo nella conferma della pena, ma anche nella condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Un imputato può ottenere una pena più mite basandosi su generici disagi personali?
No, secondo questa ordinanza, un semplice riferimento a disagi personali non è sufficiente per contestare la pena decisa dal giudice. È necessario che la motivazione della sentenza presenti vizi logici o violazioni di legge, poiché la determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, se correttamente esercitata e motivata.

Come esercita il giudice la sua discrezionalità nel quantificare una pena?
Il giudice esercita la sua discrezionalità valutando tutti gli elementi previsti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, come la gravità del fatto, le modalità dell’azione e la personalità del colpevole. Deve bilanciare le circostanze aggravanti e attenuanti e fornire una motivazione chiara e logica a supporto della sua decisione.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che la sentenza impugnata diventi definitiva e non possa più essere contestata. Inoltre, il soggetto che ha proposto il ricorso viene condannato a pagare le spese del procedimento e una somma di denaro alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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