Discrezionalità del giudice: quando la valutazione sulla pena è insindacabile?
La determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui si manifesta pienamente la discrezionalità del giudice. Ma quali sono i limiti di questo potere? E quando è possibile contestare la decisione davanti alla Corte di Cassazione? Una recente ordinanza della Suprema Corte, la n. 43348/2024, offre chiarimenti preziosi, ribadendo un principio consolidato: la valutazione del giudice di merito sulla graduazione della pena e sul bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti è insindacabile in sede di legittimità, purché sorretta da una motivazione logica e non arbitraria.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. L’unico motivo di doglianza riguardava il cosiddetto “giudizio di comparazione” tra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti. In pratica, il ricorrente contestava il modo in cui i giudici di merito avevano “pesato” gli elementi a suo favore e a suo sfavore, ritenendo che la pena finale fosse ingiusta. A suo avviso, i giudici non avevano adeguatamente valorizzato le circostanze attenuanti, negando la loro prevalenza sulle aggravanti.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno spiegato che la questione sollevata non poteva essere affrontata in sede di legittimità. La Cassazione, infatti, non è un “terzo grado” di giudizio dove si possono riesaminare i fatti e il merito delle decisioni, ma un organo che controlla la corretta applicazione della legge e la coerenza logica delle motivazioni.
Le Motivazioni: la Discrezionalità del Giudice e i Limiti del Sindacato
La Corte ha chiarito che la graduazione della pena, inclusa la gestione degli aumenti e delle diminuzioni per le circostanze e il loro bilanciamento, rientra pienamente nella discrezionalità del giudice di merito. Questo potere, guidato dai principi stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale (che riguardano la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole), sfugge al controllo della Cassazione se:
1. Non è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico.
2. È sorretto da una motivazione sufficiente.
Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che i giudici di merito avevano adeguatamente motivato la loro decisione, facendo riferimento alla gravità del fatto e alla personalità dell’imputato (pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata). Avevano anche tenuto conto, seppur in misura minima, del risarcimento del danno ai fini della riduzione della pena. La motivazione, quindi, esisteva ed era coerente.
Inoltre, la Corte ha ricordato che il giudice non è tenuto a un’analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione. Può limitarsi a indicare quelli determinanti per la sua scelta, e tale scelta diventa insindacabile se non presenta vizi logici. Il ricorso è stato quindi giudicato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Conclusioni
Questa ordinanza conferma un punto fermo nella giurisprudenza penale: non si può ricorrere in Cassazione semplicemente perché non si è d’accordo con l’entità della pena inflitta. L’ampia discrezionalità del giudice di merito in questa fase è un pilastro del sistema, e il sindacato di legittimità interviene solo in presenza di palesi violazioni di legge o di motivazioni manifestamente illogiche o contraddittorie. Per gli imputati e i loro difensori, ciò significa che le argomentazioni relative alla quantificazione della pena devono essere sviluppate e supportate con forza nei primi due gradi di giudizio, poiché le possibilità di rimetterle in discussione in Cassazione sono estremamente limitate.
Quando è possibile contestare in Cassazione la decisione di un giudice sulla quantificazione della pena?
Solo quando la decisione è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico e non è sorretta da una motivazione sufficiente. Non è possibile contestarla semplicemente perché si ritiene la pena troppo alta.
Cosa si intende per ‘giudizio di bilanciamento delle circostanze’?
È la valutazione che il giudice compie per stabilire se le circostanze aggravanti (che aumentano la pena) debbano prevalere, essere equivalenti o cedere il passo alle circostanze attenuanti (che diminuiscono la pena), determinando così la sanzione finale.
Il giudice è obbligato a specificare nella sentenza ogni singolo elemento che ha considerato per decidere la pena?
No. Secondo la Corte, il giudice non è tenuto a un’elencazione analitica di tutti gli elementi, ma può limitarsi a indicare quelli che sono stati determinanti per la sua decisione, purché il ragionamento complessivo sia logico e comprensibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43348 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43348 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NUORO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/11/2023 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso e la memoria del 11/09/2024 di RAGIONE_SOCIALE;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con cui si deduce il vizio di motivazione in ordine al giudizio di comparazione fra opposte circostanze operato dai giudici di merito, non è consentito in sede di legittimità in quanto la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti e al giudizio di bilanciamento fra queste ultime, rientra nella discrezionalità del giudice di merito che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. e sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME NOME, Rv. 281217-01, in motivazione) e sia sorretta da sufficiente motivazione, come avvenuto nella specie (si vedano, in particolare, pagg. 8 e 9 sulla gravità del fatto e la personalità dell’imputato, che hanno giustificato il diniego della prevalenza delle generiche, fermo restando che il risarcimento del danno, seppur minimo, era stato valorizzato al fine della riduzione della pena);
rilevato che il giudice, dunque, nel realizzare il giudizio di determinazione della pena “non è tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola enunciazione di quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale è insindacabile in sede di legittimità qualora sia immune da vizi logici di ragionamento”. (Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, S., Rv. 269196-01, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142-01, Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia, Rv. 238851-01)
considerato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data ta ottobre 2024
La Cons. est.
Il Presiden