Discrezionalità del giudice e pena: i limiti al ricorso secondo la Cassazione
La determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui si manifesta pienamente la discrezionalità del giudice. Ma quali sono i confini di questo potere? E quando è possibile contestare una sentenza che si ritiene troppo severa? Con l’ordinanza n. 22436 del 2024, la Corte di Cassazione torna su questo tema cruciale, fissando paletti precisi per l’ammissibilità dei ricorsi in materia di trattamento sanzionatorio.
I fatti del caso
Un imputato, condannato dalla Corte d’Appello di Roma, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando unicamente il trattamento sanzionatorio ricevuto. Secondo la difesa, la quantificazione della pena, inclusi gli aumenti per i reati in continuazione, era stata decisa in modo non adeguatamente motivato. L’obiettivo del ricorso era ottenere una revisione della pena, ritenuta eccessiva.
La discrezionalità del giudice nella commisurazione della pena
La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per ribadire un principio consolidato. La scelta dell’entità della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Questo significa che il giudice, basandosi sugli elementi raccolti durante il processo e sui criteri indicati dall’articolo 133 del Codice Penale (gravità del reato, capacità a delinquere del colpevole, etc.), ha un margine di valutazione per stabilire la sanzione più giusta ed equa per il caso specifico.
Questa autonomia decisionale non è assoluta, ma può essere contestata in Cassazione solo a condizioni molto rigide. Non basta un semplice disaccordo con la pena inflitta; è necessario dimostrare che la decisione del giudice sia stata frutto di “mero arbitrio” o di un “ragionamento manifestamente illogico”.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
Nel provvedimento in esame, la Corte ha spiegato che il giudice di merito aveva assolto al suo onere motivazionale in modo adeguato. Anche l’uso di espressioni sintetiche come “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento” è considerato sufficiente per giustificare la decisione, specialmente quando la pena irrogata si colloca in una fascia inferiore alla media edittale, ovvero al valore intermedio tra il minimo e il massimo previsti dalla legge per quel reato.
In sostanza, non è richiesta una motivazione analitica e dettagliata per ogni singolo aspetto della determinazione della pena se la sanzione è mite e la decisione appare ragionevole nel suo complesso. Il richiamo agli elementi dell’art. 133 c.p. è di per sé una motivazione valida, se non emergono palesi contraddizioni o illogicità.
Di conseguenza, il ricorso è stato respinto e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Conclusioni: le implicazioni pratiche
Questa ordinanza conferma che le porte della Cassazione sono molto strette per chi intende contestare unicamente la misura della pena. L’ampia discrezionalità del giudice di merito in questo campo è tutelata e può essere messa in discussione solo di fronte a vizi macroscopici della motivazione. Per gli avvocati, ciò significa che un ricorso basato solo su questo aspetto ha scarse probabilità di successo se non è in grado di evidenziare una vera e propria arbitrarietà o un’irragionevolezza manifesta nella sentenza impugnata. Per i cittadini, rafforza la consapevolezza che la valutazione del giudice di merito sulla pena è, nella maggior parte dei casi, definitiva.
È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa da un giudice?
No, di norma non è possibile. La graduazione della pena è un esercizio di discrezionalità del giudice di merito e non può costituire oggetto di ricorso per cassazione, a meno che la decisione non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento manifestamente illogico.
Cosa si intende per motivazione ‘sufficiente’ sulla pena?
Secondo la Corte, una motivazione è sufficiente anche se si limita a richiamare gli elementi dell’art. 133 del Codice Penale o usa espressioni sintetiche come ‘pena congrua’ o ‘pena equa’, soprattutto se la pena applicata è inferiore alla media edittale prevista dalla legge.
Cosa succede se un ricorso sulla pena viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la condanna diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22436 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22436 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/10/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, in punto di trattamento sanzionatorio, non è consentito in quanto, trattandosi di esercizio della discrezionalità attribuita al giudice del merito, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti previsti per i reati in continuazione, non può costituire oggetto di ricorso pe cassazione laddove la relativa determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non sia stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico;
che, nella specie, l’onere argomentativo del giudice è stato adeguatamente assolto attraverso il richiamo agli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. ritenu decisivi o rilevanti ovvero attraverso espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, non essendo necessaria una specifica e dettagliata motivazione nel caso in cui venga irrogata una pena inferiore alla media edittale (si vedano, in particolare, pagg. 2 e 3);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 16 aprile 2024.