Discrezionalità del giudice: quando la pena non si può contestare in Cassazione
Uno dei principi cardine del nostro ordinamento processuale penale è la discrezionalità del giudice di merito nella determinazione della pena. Entro i limiti edittali previsti dalla legge per un certo reato, spetta al giudice stabilire la sanzione concreta, tenendo conto di una serie di fattori indicati dall’articolo 133 del codice penale. Ma fino a che punto questa scelta è sindacabile? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro ripasso sui limiti del ricorso per la rideterminazione della pena.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte di Appello. Quest’ultima, riformando parzialmente la pronuncia di primo grado, aveva rideterminato la pena inflitta per il reato previsto dall’art. 95 del D.P.R. 115/2002. L’imputato decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, sollevando un unico motivo di doglianza: la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 133 del codice penale, ovvero la norma che guida il giudice nella commisurazione della pena. In sostanza, il ricorrente non contestava la sua colpevolezza, ma riteneva che la sanzione applicata fosse ingiusta o motivata in modo inadeguato.
La Decisione della Corte e la discrezionalità del giudice
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della congruità della pena, ma si ferma a un livello precedente, quello procedurale. I giudici supremi hanno ribadito un principio consolidato: la determinazione del trattamento sanzionatorio è un’attività rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito. Ciò significa che la scelta sulla quantità di pena da infliggere (ovviamente all’interno della cornice edittale) non può essere oggetto di un nuovo esame da parte della Cassazione, che non è un terzo grado di giudizio.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte è netta e si fonda sulla natura del giudizio di legittimità. Il ricorso in Cassazione è ammissibile solo per violazioni di legge o per vizi di motivazione che siano manifestamente illogici o contraddittori. Nel caso di specie, il ricorrente lamentava una cattiva applicazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p., ma la Corte ha specificato che la discrezionalità del giudice su questo punto diventa incensurabile se la decisione non è frutto di arbitrio o se è supportata da una motivazione che, per quanto sintetica, non risulti palesemente illogica. Avendo verificato che la sentenza d’appello conteneva una motivazione adeguata a giustificare la pena inflitta, la Cassazione ha concluso che non vi erano i presupposti per accogliere il ricorso, dichiarandolo quindi inammissibile.
Conclusioni
Questa pronuncia rafforza l’idea che la Corte di Cassazione non è un giudice del ‘fatto’, ma del ‘diritto’. Non si può ricorrere alla Suprema Corte semplicemente perché si ritiene una pena troppo severa. Per ottenere un annullamento, è necessario dimostrare che il giudice di merito ha commesso un errore giuridico palese o ha costruito un ragionamento che sfida la logica. L’esito del ricorso, con la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende, serve da monito: l’impugnazione in Cassazione deve basarsi su vizi concreti e non su una mera speranza di ottenere uno ‘sconto’ di pena.
È possibile impugnare in Cassazione la quantificazione di una pena decisa da un giudice?
Sì, ma solo se si dimostra che la decisione del giudice è arbitraria o basata su una motivazione manifestamente illogica. Non è sufficiente un semplice disaccordo con l’entità della pena inflitta, poiché questa rientra nella discrezionalità del giudice di merito.
Cosa significa che un ricorso è ‘inammissibile’?
Significa che la Corte non lo esamina nel merito perché privo dei requisiti richiesti dalla legge. In questo caso, il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché contestava una valutazione discrezionale del giudice che non presentava vizi di manifesta illogicità o arbitrarietà.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
Come stabilito nel provvedimento, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1149 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1149 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 10/06/1963
avverso la sentenza del 26/09/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza, in epigrafe indicata, della Corte di appello di Reggio Calabria che, in parziale riforma della pronuncia del locale Tribunale, ha rideterminato la pena allo stesso inflitta per il reato di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Ritenuto che il motivo sollevato (Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 133 cod. pen.) è inammissibile perché è incensurabile la determinazione del trattamento sanzionatorio, naturalmente rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, qualora, come nel caso di specie (si veda la p. 3 sent. app.), non sia frutto arbitrio o sia assistita da motivazione manifestamente illogica.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 settembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente