Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4528 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 4528  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOMENOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/10/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
 Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pisa del 7 aprile 2016, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 4 I. n. 110 de 1975 (capo C) e ha rideterminato la pena complessiva per i reati ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (capo A) e 495 cod. pen. (capo B) in anni due, mesi tre e giorni dieci di reclusione ed euro milletrecentoottantacinque di multa.
Il Ben, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello per vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.
3.  Il ricorso è inammissibile.
Con riferimento all’unico motivo di ricorso, relativo all’entità eccessiva della pena irrogata, va premesso che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
Il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239754).
La pena applicata non è superiore a quella edittale e, in relazione ad essa, non era dunque necessaria un’argomentazione più dettagliata da parte del giudice (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949).
Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.
Al contrario, nella fattispecie, la pena è stata correttamente commisurata in considerazione del rilevante quantitativo di stupefacenti rinvenuto nella disponibilità del Ben (72 dosi), della natura di droga “pesante” della sostanza sequestrata, della gravità del fatto quasi al confine con la fattispecie prevista dall’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, delle modalità della vicenda criminosa (nome falso fornito dall’imputato, armato di mannaia) e dei precedenti specifici (recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale riconosciuta ed applicata in sentenza).
Il ricorrente non si confronta con l’ampio apparato argomentativo della sentenza impugnata e prospetta censure in fatto, senza illustrare le ragioni per le quali, a suo
avviso, ai fini del trattamento sanzionatorio, si sarebbe dovuto irrogare il minimo di pena edittale per il reato base, e senza spiegare perché le modalità della condotta criminosa dovessero essere considerate rudimentali.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma il 17 gennaio 2024.