Discrezionalità del Giudice: Quando la Pena non si Può Contestare in Cassazione
La determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, un’attività che la legge affida alla discrezionalità del giudice. Ma cosa significa esattamente e quali sono i limiti di questo potere? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 43323/2024) offre chiarimenti cruciali, stabilendo che un ricorso basato unicamente sul dissenso verso la quantificazione della pena, senza evidenziare vizi logici nella motivazione, è destinato all’inammissibilità.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. L’unico motivo di doglianza riguardava il trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo. Secondo la difesa, la Corte territoriale non aveva motivato adeguatamente la decisione di non applicare la pena nella misura minima prevista dalla legge. Il ricorrente, in sostanza, lamentava una graduazione della pena a suo dire ingiusta, chiedendo alla Corte di Cassazione di rivalutare la decisione dei giudici di merito.
La Decisione della Corte di Cassazione sulla discrezionalità del giudice
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: la valutazione e la quantificazione della pena rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere, esercitato nel rispetto dei principi stabiliti dagli articoli 132 e 133 del Codice Penale, non è sindacabile in sede di legittimità.
L’intervento della Cassazione è ammesso solo in casi eccezionali, ovvero quando la motivazione del giudice di merito risulta palesemente illogica, arbitraria o contraddittoria. Nel caso di specie, il ricorso è stato giudicato totalmente generico e aspecifico, poiché non si confrontava concretamente con le ragioni esposte nella sentenza d’appello, limitandosi a esprimere un mero dissenso.
Le Motivazioni
La Corte di Cassazione ha sottolineato come la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione chiara e coerente per la sua decisione. I giudici di secondo grado avevano infatti considerato attentamente diversi fattori cruciali per escludere la concessione della pena minima. In particolare, avevano valorizzato:
1. La personalità dell’imputato: un elemento chiave nella valutazione complessiva del fatto.
2. L’entità del danno: il pregiudizio significativo arrecato alla persona offesa dal reato.
3. L’assenza di tentativi di rimedio: l’imputato non aveva mostrato alcuna volontà di rimediare, neanche parzialmente, alle conseguenze della sua condotta.
Questi elementi, secondo la Cassazione, giustificavano ampiamente la decisione di infliggere una pena superiore al minimo edittale, escludendo ogni profilo di arbitrarietà o illogicità. La discrezionalità del giudice era stata, quindi, esercitata correttamente, all’interno dei binari tracciati dalla legge e dalla logica.
Conclusioni
Questa ordinanza riafferma con forza i confini del sindacato di legittimità sul trattamento sanzionatorio. Chi intende contestare in Cassazione la misura di una pena non può limitarsi a una critica generica, ma deve dimostrare in modo specifico e puntuale un vizio grave nella motivazione del giudice, come l’irragionevolezza manifesta o l’arbitrio. La discrezionalità del giudice rimane un pilastro del sistema penale, a condizione che sia supportata da una motivazione congrua e aderente ai criteri normativi. Per gli operatori del diritto, ciò significa che l’atto di appello e il successivo ricorso devono essere costruiti non su una semplice speranza di riduzione della pena, ma sulla rigorosa allegazione di un errore logico-giuridico nel percorso decisionale del giudice.
Quando è possibile contestare in Cassazione la misura di una pena decisa da un giudice?
La misura della pena può essere contestata in Cassazione solo se la motivazione del giudice di merito è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico, e non semplicemente perché si ritiene la pena troppo severa. Il ricorso non può essere generico.
Quali elementi considera un giudice per determinare la pena?
Il giudice, nell’esercizio della sua discrezionalità, considera i principi enunciati negli artt. 132 e 133 del codice penale. Nel caso specifico, sono stati valutati la personalità dell’imputato, l’entità del danno arrecato alla persona offesa e l’assenza di tentativi di porvi rimedio.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende. La sentenza impugnata diventa definitiva.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43323 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43323 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME CIRIE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/03/2024 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con cui si deduce il vizio di motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzioNOMErio, oltre che totalmente generico ed aspecifico nella sua articolazione in mancanza di effettivo confronto con la motivazione della Corte di appello, non è consentito in sede di legittimità in quanto la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., e sfugge al sindacato di legittimità qualora, come nella specie, non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (si veda, in particolare, pag. 3 ove la Corte ha evidenziato come la personalità dell’imputato, l’entità del danno che ha concorso ad arrecare alla persona offesa e l’assenza di tentativi di porvi rimedio anche solo parzialmente, impedivano di determinare la pena nella misura minima);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data fi ottobre 2024
La Cons. est.
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Corte di Cassazione – copia non ufficiale