Discrezionalità del Giudice: Quando la Cassazione Conferma la Sentenza
Il potere del magistrato di decidere l’entità di una condanna è un tema centrale nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui limiti entro cui un imputato può contestare la pena inflitta, riaffermando il principio della discrezionalità del giudice. Questo concetto, pur essendo fondamentale, spesso genera dubbi: fino a che punto arriva il potere del giudice e quando è possibile contestarne le decisioni? L’analisi di questo caso ci offre una risposta chiara e precisa.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato in Corte d’Appello per il reato di rapina (art. 628 c.p.), ha presentato ricorso in Cassazione. Il motivo della contestazione non riguardava la sua colpevolezza, ma esclusivamente la graduazione della pena
. A suo avviso, la sanzione stabilita dai giudici di secondo grado era eccessiva e non congrua rispetto alla gravità del fatto commesso. L’imputato chiedeva, in sostanza, una nuova valutazione, più favorevole, da parte della Suprema Corte.
La Decisione della Corte e la Discrezionalità del Giudice
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio consolidato: la valutazione sull’entità della pena rientra pienamente nella discrezionalità del giudice di merito (cioè del Tribunale e della Corte d’Appello). Questo potere non è assoluto, ma deve essere esercitato seguendo i criteri indicati dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono al giudice di tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del colpevole.
Il compito della Corte di Cassazione, in questo contesto, non è quello di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici precedenti, ma solo di verificare che la decisione non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. Se la motivazione della sentenza spiega in modo coerente perché è stata scelta una determinata pena, il giudizio della Cassazione si ferma.
Le Motivazioni
Nel caso specifico, i giudici supremi hanno osservato che la pena inflitta era stata determinata in una misura molto vicina al minimo edittale previsto dalla legge per il reato di rapina. Inoltre, la sentenza d’appello conteneva una motivazione congrua e logica riguardo alla gravità del fatto. Di conseguenza, non vi era alcun elemento che potesse far pensare a una decisione arbitraria o irragionevole. Contestare una pena solo perché la si ritiene non ‘congrua’, senza dimostrare un vizio logico nella motivazione del giudice, equivale a chiedere alla Cassazione un nuovo giudizio di merito, che non rientra nelle sue competenze. Per questi motivi, il ricorso è stato respinto.
Le Conclusioni
Questa ordinanza rafforza un pilastro del nostro sistema processuale: la discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena è ampia e può essere censurata in sede di legittimità solo in casi eccezionali di manifesta illogicità o arbitrarietà. Per gli imputati e i loro difensori, ciò significa che un ricorso in Cassazione basato unicamente sulla richiesta di uno ‘sconto di pena’ ha scarsissime probabilità di successo se non è supportato dalla prova di un errore giuridico o di un vizio logico evidente nella sentenza impugnata. La decisione finale ha comportato per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È possibile contestare in Cassazione la misura di una pena ritenuta troppo alta?
Sì, ma solo se si dimostra che la decisione del giudice di merito è frutto di puro arbitrio o di un ragionamento manifestamente illogico. Non è sufficiente chiedere una nuova valutazione della congruità della pena, perché questa attività rientra nella discrezionalità dei giudici di primo e secondo grado.
Cosa significa che la determinazione della pena rientra nella ‘discrezionalità del giudice’?
Significa che il giudice ha il potere di stabilire l’entità della sanzione all’interno dei limiti minimi e massimi previsti dalla legge (artt. 132 e 133 del codice penale), basando la sua decisione sulla gravità del reato e sulla personalità dell’imputato, con una motivazione che spieghi le ragioni della sua scelta.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Comporta che il ricorso non viene esaminato nel merito. La sentenza impugnata diventa definitiva e irrevocabile. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come nel caso esaminato, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32299 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32299 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CATANIA il 02/01/1994
avverso la sentenza del 08/11/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata (condanna per violazione dell’art. 628 cod. pen.);
esaminato il motivo di ricorso.
OSSERVA
Rilevato che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre in presenza di pena determinata in misura prossima al minimo edittale e di congrua motivazione sulla gravità del fatto (pag. 4 e 5).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26/05/2025.