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Discrezionalità del giudice: Cassazione e pena

Un imputato, condannato per furto aggravato e uso indebito di carte di pagamento, ricorre in Cassazione lamentando una pena eccessiva. La Corte dichiara il ricorso inammissibile, riaffermando la piena discrezionalità del giudice di merito nella quantificazione della pena, purché motivata logicamente, come nel caso di specie dove è stata valorizzata la professionalità criminale.

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Pubblicato il 10 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

La discrezionalità del giudice nella determinazione della pena: un principio intoccabile

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha riaffermato un caposaldo del nostro sistema processuale penale: la discrezionalità del giudice di merito nella quantificazione della pena. Il caso in esame offre lo spunto per analizzare i limiti del ricorso in Cassazione e comprendere perché la valutazione sull’entità della sanzione non possa essere, di norma, oggetto di un terzo grado di giudizio.

I fatti del processo

Un soggetto veniva condannato in primo grado e successivamente in appello per un concorso di reati, tra cui furto aggravato e l’utilizzo indebito di strumenti di pagamento. Ritenendo la pena eccessiva, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, basando le sue doglianze esclusivamente sulla mancata esclusione di una circostanza aggravante e, di conseguenza, sull’eccessività della pena inflitta.

La decisione della Cassazione e la discrezionalità del giudice

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, definendolo non consentito dalla legge e manifestamente infondato. La decisione si fonda su un principio consolidato: la graduazione della pena, inclusa la valutazione delle circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello).

Questo potere non è arbitrario, ma deve essere esercitato nel rispetto dei criteri fissati dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono al giudice di tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del colpevole.

Le motivazioni

I giudici della Cassazione hanno sottolineato come il giudice d’appello avesse fornito una motivazione logica e coerente per la sua decisione. In particolare, la Corte d’Appello aveva correttamente giustificato la misura della pena valorizzando la ‘professionalità’ dimostrata dall’imputato nell’esecuzione dei reati. La motivazione, essendo priva di vizi logici, non poteva essere censurata in sede di legittimità. Il ricorso, quindi, non mirava a denunciare un errore di diritto, ma a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, attività preclusa alla Corte di Cassazione.

Le conclusioni

L’ordinanza ribadisce che il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito. Non si può chiedere alla Suprema Corte di ricalcolare la pena perché la si ritiene semplicemente ‘troppo alta’. L’intervento della Cassazione è possibile solo in presenza di un vizio di legge o di una motivazione manifestamente illogica, contraddittoria o inesistente. In assenza di tali vizi, la valutazione del giudice di merito sulla congruità della pena è insindacabile. La decisione comporta la condanna definitiva dell’imputato e l’obbligo di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende.

È possibile contestare in Cassazione la misura di una pena ritenuta troppo alta?
No, di regola. La Cassazione ha chiarito che la determinazione dell’entità della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito (primo grado e appello). Il ricorso è ammissibile solo se la motivazione del giudice è manifestamente illogica o contraddittoria, non per una semplice richiesta di riconsiderare l’eccessività della sanzione.

Quali criteri usa il giudice per decidere l’entità della pena?
Il giudice esercita la sua discrezionalità basandosi sui principi enunciati dagli articoli 132 e 133 del codice penale. Questi criteri includono la gravità del reato (modalità dell’azione, entità del danno) e la capacità a delinquere del reo (precedenti, condotta). Nel caso specifico, è stata considerata la ‘professionalità’ dimostrata nell’esecuzione dei crimini.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la sentenza di condanna diventa definitiva e irrevocabile. Inoltre, come stabilito in questa ordinanza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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