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Disciplina della continuazione: quando non si applica

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva l’applicazione della disciplina della continuazione tra due sentenze. La Corte ha confermato la decisione del giudice dell’esecuzione, secondo cui i reati, seppur vicini nel tempo, erano frutto di una determinazione estemporanea e di un’abitualità criminosa, non di un unico disegno criminoso pianificato in anticipo.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disciplina della continuazione: No all’applicazione per reati abituali

L’istituto della disciplina della continuazione è uno strumento fondamentale nel diritto penale, volto a mitigare la pena per chi commette più reati sotto l’impulso di un unico progetto. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa verifica dei presupposti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini tra un singolo disegno criminoso e una mera abitudine a delinquere, negando il beneficio in quest’ultimo caso.

I fatti del caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato con due sentenze irrevocabili. L’interessato si era rivolto al Tribunale in funzione di giudice dell’esecuzione per chiedere il riconoscimento della disciplina della continuazione tra i reati giudicati, sostenendo che fossero stati commessi in attuazione di un medesimo disegno criminoso. L’obiettivo era ottenere l’unificazione delle pene in un’unica, più mite sanzione.

Il giudice dell’esecuzione, tuttavia, ha rigettato l’istanza. Pur riconoscendo la contiguità temporale e la medesima indole dei reati, ha ritenuto che questi fossero espressione di una determinazione estemporanea e di un’abitualità a commettere illeciti, piuttosto che di un piano preordinato.

La decisione della Cassazione sulla disciplina della continuazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno rilevato come il ricorso fosse generico e si limitasse a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e respinte dal giudice dell’esecuzione. In sostanza, il ricorrente non ha evidenziato vizi di legittimità nell’ordinanza impugnata, ma ha tentato di ottenere una nuova valutazione del merito della vicenda.

La Corte ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la corretta applicazione della legge. Poiché il ricorso proponeva semplicemente una lettura alternativa degli elementi di fatto (come la vicinanza temporale dei reati), è stato giudicato inammissibile.

Le motivazioni

La motivazione della decisione si fonda su un principio consolidato, richiamato anche dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite. Per il riconoscimento della disciplina della continuazione, non è sufficiente la presenza di alcuni indici, come la vicinanza temporale o la somiglianza delle modalità esecutive. È necessario dimostrare che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali.

Nel caso specifico, il giudice dell’esecuzione aveva correttamente qualificato le violazioni come “reati estemporanei e interconnessi”, considerandoli indice di un’abitualità criminosa e di una scelta di vita orientata alla consumazione contingente di illeciti. Tale valutazione, secondo la Cassazione, è una ricostruzione fattuale ben motivata e, come tale, non censurabile in sede di legittimità. Il ricorso, limitandosi a contestare questa interpretazione senza addurre vizi logici o giuridici, non poteva che essere respinto.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza la distinzione tra disegno criminoso unitario e abitudine al crimine. La disciplina della continuazione è un beneficio previsto per chi delinque sulla base di un piano iniziale, non per chi vive commettendo reati in modo seriale e opportunistico. La decisione sottolinea inoltre i limiti del giudizio di Cassazione: non è possibile utilizzare questo strumento per ottenere una terza valutazione del merito dei fatti, ma solo per contestare errori di diritto commessi nei gradi precedenti. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Quando non si può applicare la disciplina della continuazione?
Non si può applicare quando i reati, pur essendo simili e ravvicinati nel tempo, sono considerati frutto di una determinazione estemporanea e di un’abitualità criminosa, anziché di un unico disegno criminoso programmato prima della commissione del primo illecito.

La vicinanza nel tempo tra due reati è sufficiente per ottenere la continuazione?
No. Secondo la Corte, la contiguità temporale e la medesima indole dei reati non sono, da sole, sufficienti a dimostrare l’esistenza di un disegno criminoso unitario. È necessario provare che i reati successivi fossero stati pianificati fin dall’inizio.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione è “generico” e quindi inammissibile?
Significa che il ricorso non contesta specifici errori di diritto commessi dal giudice precedente, ma si limita a riproporre argomenti già valutati o a chiedere una nuova e diversa interpretazione degli elementi di fatto, attività che non è consentita in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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