Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20019 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20019 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a Petilia Policastro; nel procedimento a carico del medesimo; avverso la sentenza del 15/09/2023 della Corte di appello di Catanzaro; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata; lette le conclusioni del difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza di cui in epigrafe, la corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza del tribunale di Crotone del 22 marzo, con la quale COGNOME NOME era stato condannato in relazione al reato di cui all’art. 256 comma 3 del Dlgs.
Avverso la predetta sentenza COGNOME NOME, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi di impugnazione.
Deduce con il primo il vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione al ritenuto reato di discarica non autorizzata. Non emergerebbe una risposta rispetto alle doglianze di gravame con particolare riferimento alla presenza necessaria, stante l’attività in corso, di bidoni di olio di ricambio e di batterie di ricambio, e con riguardo alla assenza di elementi dimostrativi di una condotta ripetuta e del tendenziale carattere di definitività della condotta di rilascio dei rifiuti. Mancherebbe anche la prova del carattere di olio usato del liquido rinvenuto in loco. Si sostiene, poi, che le altre parti meccaniche presenti in loco erano destinate allo smaltimento e che non era stato verificato il carattere nuovo o usato o riutilizzabile del materiale. Concludendosi nel senso che quanto rinvenuto era in funzione della attività lavorativa dell’imputato.
In ordine al secondo motivo si deduce il vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione alla qualificazione del fatto quale discarica non autorizzata, a fronte della circostanza per cui l’imputato non è titolare di attività di impresa.
Con il terzo motivo rappresenta vizi di violazione di legge per intervenuta prescrizione del reato, atteso che la stessa sarebbe decorsa dal 13.12.2017 a fronte dell’intervenuto sequestro del locale e della attrezzatura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo è manifestamente infondato. La Corte ha richiamato la sentenza di primo grado evidenziando come il giudice abbia accertato la responsabilità del ricorrente evidenziando la funzionalità degli elementi raccolti rispetto alla contestazione. E invero, nella prima sentenza si è osservata la presenza, presso un piazzale antistante un’autofficina ove il ricorrente svolgeva abusivamente l’attività di meccanico, di numerosi rifiuti derivanti dalla riparazione di auto, tra cui pezzi di carrozzeria, pneumatici, pezzi meccanici, fusti e bidoni di olio. Alla luce, poi, del registro di carico e scarico, come riportato in sentenza, l’ultimo smaltimento dei rifiuti risaliva al 2013. La Corte di appello ha inoltre aggiunto, rispondendo al gravame in punto di valutazione dei fatti e valutazione giuridica dei medesimi, che la qualificazione, ritenuta corretta, dei fatti, in termini di gestione di discarica abusiva, trovava conforto nel rilevamento di plurime unità dei medesimi rifiuti, connessi alla attività di autoriparazione, come tali abitualmente accumulati nel tempo e integranti una “certa rilevanza in termini quantitativi”.
Consegue che emergono i presupposti innanzitutto per ritenere sussistente un caso di cd. “doppia conforme”, per cui «le sentenze di primo e di secondo grado
si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate – come nel caso in esame – ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata» (cfr. Sez.3, n.13926 del 01/12/2011 Rv.252615 Valeri; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 COGNOME).
Deve altresì aggiungersi che «in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relationem; quando invece sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, è affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte (cfr. Sez.6, n. 28411 del 13/11/2012 Rv. 256435 COGNOME e altri).
Di rilievo, in tema di valutazione delle censure proposte in presenza di una cd. “doppia conforme”, è anche il principio per cui «in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione. (cfr. Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013 Rv. 254988 Reggio.; Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017 Rv. 271227 M e altri).
Inoltre, emerge una precisa, seppur sintetica risposta, in ordine alle ragioni della configurazione della discarica, rappresentate nella presenza di plurimi analoghi rifiuti, come tali accumulati nel tempo e quantitativamente ritenuti significativi ai fini della reputata discarica. Laddove la censura sulla mancata verifica del carattere usato degli olii e batterie trova già risposta nella prima
sentenza, con la quale si è osservato come, in ogni caso, la presenza di altri rifiuti sul piazzale rendeva irrilevante la soluzione della questione sul carattere, usato o meno, degli olii e delle batterie. Quanto poi al carattere di rifiuto dell’altro materiale rinvenuto, i giudici ne hanno evidenziato l’emergenza oltre che dalle dichiarazioni del teste esaminato, anche alla luce dell’esame delle foto, in conformità del principio del libero convincimento, ed a fronte della assenza, sul punto, di ogni specifica contestazione volta a spiegare il carattere, al contrario, di materiale nuovo, di sostituzione di parti meccaniche. La complessiva motivazione così emergente è in linea con consolidati indirizzi giurisprudenziali. E’ noto, infatti, che ai fini della configurabilità del reato di realizzazione gestione di discarica non autorizzata, è sufficiente l’accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito, con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata (Sez. 3, n. 39027 del 20/04/2018 Rv. 273918 – 01). Quanto ai rapporti con l’abbandono di rifiuti, quest’ultimo differisce dalla discarica abusiva per la mera occasionalità, desumibile dall’unicità ed estemporaneità della condotta – che si risolve nel semplice collocamento dei rifiuti in un determinato luogo, in assenza di attività prodromiche o successive e dalla quantità dei rifiuti abbandonati, mentre nella discarica abusiva la condotta o è abituale – come nel caso di plurimi conferimenti – o, pur quando consiste in un’unica azione, è comunque strutturata, ancorché grossolanamente, al fine della definitiva collocazione dei rifiuti “in loco” (Sez. 3, n. 18399 de 16/03/2017 Rv. 269914 – 01). Rispetto, poi, al deposito incontrollato di rifiuti, ove esso si realizzi con plurime condotte di accumulo, in assenza di attività di gestione, la distinzione con il reato di realizzazione di discarica non autorizzata si fonda principalmente sulle dimensioni dell’area occupata e sulla quantità dei rifiuti depositati (Sez. 3 n. 25548 del 26/03/2019 Rv. 276009 – 01), laddove quest’ultimo giudizio, nel caso di specie, appare ragionevolmente formulato dal giudice, senza quindi possibilità di sindacato da parte di questa Corte, anche in assenza di specifiche contestazioni su questo precipuo profilo. Ancora, e in linea con l’avvenuta evidenziazione di un registro di carico e scarico aggiornato solo al 2013, nel quadro per giunta di una attività abusiva in essere, rileva anche il principio per cui, in tema di gestione dei rifiuti, integra il reato di realizzazione d discarica abusiva la condotta di accumulo di rifiuti che, per le loro caratteristiche, non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge e comportino il degrado dell’area su cui insistono. (In motivazione la Corte, nell’enunciare il predetto principio ha ulteriormente affermato che tale condotta, sulla base di specifici presupposti, può concernere Corte di Cassazione – copia non ufficiale
anche l’accumulo di rifiuti in area collocata all’interno dello stabilimento produttivo) (sez. 3, n. 41351 del 18/09/2008 Rv. 241533 – 01).
15/12/2010, dep. 2011, Fabbriconi, Rv. 249770). Si è in proposito perspicuamente precisato, definendo il perimetro pur necessario della attività, anche di fatto, di impresa, che integra, comunque, la contravvenzione di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, la condotta del titolare di un’impresa o del responsabile di un ente che abbandoni o depositi in modo incontrollato rifiuti derivanti dallo svolgimento di attività comunque riconducibili all’impresa o all’ente, in quanto dagli stessi esercitabili anche in maniera occasionale ed illegale (Sez. 3 – n. 33423 del 01/06/2023 Rv. 284999 – 01). Rispetto all’illecito previsto dall’art. 255, comma 1, del medesimo decreto, come modificato dall’art. 6-ter, comma 1 del D.L. 10 agosto 2023, n. 105, convertito con modificazioni dalla L. 9 ottobre 2023, n. 137, che ora supera l’originaria definizione di illecito amministrativo, delineando, piuttosto, un’ulteriore ipotesi di reato, laddove sancisce che “fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma 2, chiunque, in violazione delle disposizioni degli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee è punito con l’ammenda da mille euro a diecimila euro. Se l’abbandono riguarda rifiuti pericolosi, la pena è aumentata fino al doppio(1).seppur punita con ammenda”, le condotte di abbandono, deposito incontrollato e immissione che integrano gli estremi di reato ex art. 256 comma 2 prima citato si pongono in rapporto di specialità in ragione, a questo punto, delle peculiari posizioni soggettive sostanzialmente rivestite dai suoi destinatari, che nel caso di cui all’art. 256 possono essere solo i titolari di imprese, anche di fatto, o i responsabili di enti (Sez. 3, n. 15234 del 23/01/2020, LQ Barolo, Rv. 278853). Da questo punto di vista, a differenza dell’ipotesi prevista dal primo comma, ben può dirsi che l’art. 256, comma 2, d.lgs. 152 del 2006 integri gli estremi di un reato proprio (cfr. in motivazione Sez. 3 – n. 4770 del 26/01/2021 Rv. 280375 – 01 cit.), con le precisazioni sopra indicate. Va da ultimo, per completezza osservato, in ogni caso, che alla luce delle sentenze esaminate il ricorrente svolgeva, seppur di fatto e abusivamente, attività imprenditoriale di autoriparazione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Fondato è il terzo motivo. Dalla prima sentenza risulta che ( p. 4) in occasione dell’accertamento del 13.12.2017 si procedette a sottoporre a sequestro i rifiuti rinvenuti e di cui alla contestazione. Dunque, la prescrizione è maturata alla data del 13.12.2022, anteriore a quella di pubblicazione della sentenza impugnata, mentre per quanto sopra esposto non emergono elementi per rinvenire con evidenza circostanze dimostrative che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, di cui all’art. 129 comma 2 cod. proc. pen. Anto
va dunque riconosciuto pur ribadendosi, comunque, che l’attività di gestione abusiva o irregolare di una discarica comprende anche la fase post-operativa con la conseguenza che la permanenza del reato cessa: 1) con il venir meno della situazione di antigiuridicità, per rilascio dell’autorizzazione amministrativa; 2) con la rimozione dei rifiuti o la bonifica dell’area; 3) con il sequestro, che sottrae al gestore la disponibilità dell’area; 4) con la pronuncia della sentenza di primo grado. (Sez. 3 -, n. 9954 del 19/01/2021 Rv. 281587 – 03).
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che la sentenza impugnata debba essere annullata senza rinvio per intervenuta estinzione del reato per prescrizione.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso, il 10/04/2024.