Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10463 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10463 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CARIATI il 25/03/1968
avverso la sentenza del 18/12/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Lette le conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale, non richiesta, dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore gen. NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
COGNOME COGNOME ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza indicata in epigrafe, deducendo violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione alla validità della querela sporta da un mero dipendente dell’esercizio commerciale, all’affermazione di responsabilità per il coltello, che si assume essere uno strumento di lavoro, e al mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il P.G. ha reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il proposto ricorso è inammissibile.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi stessi, in particolare, non sono sorretti da concreta specificità e pertinenza censoria, e non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata, sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati cong riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
2.1. Ed invero, in punto di procedibilità, la Corte territoriale ha correttamente confutato l’eccezione sollevata dall’appellante relativamente alla validità della querela presentata dal dipendente dell’esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE” di Fano, nel solco del richiamato consolidato orientamento di legittimità, secondo il quale anche il dipendente dell’esercizio commerciale in cui si è consumato il reato è titolare del diritto di querela, indipendentemente dalla formale attribuzione del potere di rappresentanza legale del datore di lavoro, poiché ciò che rileva ai fini della procedibilità dei furti commessi all’interno degli esercizi commerciali è che il querelante sia titolare di una posizione di detenzione qualificata del bene, che ne comporti l’autonomo potere di custodia, gestione ed alienazione (così ex plurimis Sez. 5 n. n. 11478 del 28/02/2023, COGNOME, non mass.; conf. Sez. 5, n. 11968 del 30/01/2018, COGNOME, Rv. 272696 , che ha ritenuto legittimato a proporre valida querela il capo reparto di un grande magazzino;. Sez. 5, n. 3736 del 04/12/2018,
dep. 2019, COGNOME Rv. 275342 – 01 che ha ritenuto legittimato a proporre la querela anche il responsabile della sicurezza dell’esercizio commerciale, anche quando non sia munito dei poteri di rappresentanza del proprietario, in quanto titolare della detenzione qualificata della cosa in custodia, che è compresa nel bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice; Sez. 4, n. 7193 del 20/12/2023, dep. 2024, P, Rv. 285824 – 01 che è giunta ad analoga conclusione per la cassiera di un supermercato).
Il bene giuridico protetto dal reato di furto, va ribadito, è costituito non sol dal diritto di proprietà e dai diritti reali e personali di godimento, ma anche del possesso, inteso nel senso di detenzione qualificata con la cosa, con il conseguente potere di utilizzarla e di disporne, discendendone ulteriormente che persona offesa del reato è il detentore qualificato. Non è necessario, quindi, che il detentore abbia anche poteri di rappresentanza del proprietario della cosa, quasi che il diritto di querela debba in ogni caso spettare solo al proprietario o al soggetto che di questo abbia poteri di rappresentanza.
Detta interpretazione – rileva ancora correttamente la Corte territoriale- si pone in termini di continuità con i principi affermati in materia dalle Sezioni Unite, che hanno evidenziato che, con l’incriminazione del reato di furto, si tutela il possesso di cose mobili e che rl possesso, a tali fini, non va inteso negli stretti termini di cui all’art. 1140 cod. civ’ ma in senso più ampio, comprensivo delta detenzione à qualsiasi titolo, quale mera relazione di fatto qualunque sia la sua origine, non essendo, dunque, necessario che il detentore abbia anche poteri di rappresentanza del proprietario della cosa (così la sentenza impugnata richiamando Sez. 5 n. 11478/2023 che a sua volta si rifacevano al dictum di Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013; COGNOME, Rv. 255975).
2.2. Manifestamente infondati sono anche i profili di doglianza, peraltro del tutto generici, in punto di responsabilità.
Il ricorrente, infatti, non si confronta criticamente con la motivazione della sentenza impugnata che, in maniera del tutto congrua, quanto alla prova della commissione del furto, realizzato nella forma tentata, ha rilevato come non si non si ravvisassero profili di incertezza, in quanto l’addetto alla vigilanza dell’esercizi commerciale in questione, sentito come testimone all’udienza in data 11/10/2021 ha chiaramente riferito di avere visto l’imputato prelevare alcuni prodotti dagli scaffali, rimuovendoli dalle confezioni al fine di eludere il sistema di allarme alle casse, precisando altresì di non aver mai perso di vista l’imputato e di aver atteso il passaggio dello stesso alle casse prima di intervenire, il direttore dell’esercizio commerciale, per interrompere l’azione furtiva.
In sentenza si ricorda anche che, all’udienza del 24/05/2021, il teste di P.NOME COGNOME NOMECOGNOME agente in servizio presso la Stazione Carabinieri di Fano,
intervenuto sul posto a seguito all’avvenuta segnalazione del furto, alla specifica domanda rivoltagli dalla difesa – se nella circostanza avesse avuto modo di verificare se gli oggetti trovati nella disponibilità dell’imputato potessero essere già stati usati in passato – ha risposto negativamente, evidenziando che i prodotti in questione erano chiaramente nuovi.
La circostanza che [‘imputato indossasse abbigliamento da lavoro e che, come riferito dai testi della difesa, nella sua qualità di responsabile della produzione all’interno della ditta per la quale lavorava, fosse solito provvedere, in caso di necessità, al rifornimento degli strumenti di lavoro richiesti dagli operai, è stato motivatamente ritenuto che non potesse, pertanto, certamente valere ad escludere l’origine furtiva di quanto trovato nella disponibilità dello stesso, dal momento che, come già osservato, la condotta furtiva è stata oggetto di percezione diretta da parte dell’addetto alla vigilanza dell’esercizio commerciale “Brico Center’.
Anche per quel che concerne la sussistenza dell’ulteriore reato addebitato all’odierno imputato, del porto abusivo di armi, la Corte territoriale ha motivatamente dato atto che non possono che condividersi le valutazioni espresse nella decisione di primo grado, sul fatto che dall’istruttoria espletata non sia emersa in’ nessun modo, la sussistenza di validi elementi giustificativi del possesso del coltello a serramanico in capo all’imputato.
Conferente appare il riferimento al dictum di Sez. 4 n. 49769/2019 secondo cui il giustificato motivo di porto degli oggetti di cui all’art. 4, comma 2, 110/1975, ricorre solo quando particolari esigenze dell’agente siano perfettamente corrispondenti a regole comportamentali lecite relazionate alla natura dell’oggetto, alle modalità di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, a luoghi dell’accadimento e alla normale funzione dell’oggetto.
Nel caso che occupa, come si legge in sentenza, l’imputato COGNOME si è limitato a “giustificare” il possesso riferendo che il coltello era suo e che era solito portarl sempre con lui, per motivi di lavoro. Il che, correttamente, è stato ritenuto che non potesse in alcun modo giustificare il fatto di aver portato con sé l’oggetto in questione in un luogo – un esercizio commerciale – che si rivela, senza ombra di dubbio, totalmente estraneo a quella che dovrebbe essere la sua normale funzione, anche in relazione allo specifico ambito di utilizzo – quello lavorativo- indicato da parte dell’imputato.
2.3. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di ricorso.
Ed invero il profilo di doglianza relativo alla mancata applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. è manifestamente infondato in quanto la Corte territoriale rispondendo alla specifica richiesta sul punto ha argomentatamente e logicamente motivato il diniego dell’invocata causa di non punibilità rile-
vando che la stessa non potesse trovare applicazione, nel caso di specie, con riferimento a nessuna delle ipotesi di reato contestate all’odierno imputato, dal momento che il comportamento posto in essere, complessivamente considerato, non appare connotato da minima offensività.
Con particolare riferimento all’ipotesi contravvenzionale di cui al capo b), viene correttamente ricordato che il mancato riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entità relativamente al porto abusivo di un’arma impropria, impedisce la declaratoria di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen. (il richiamo è a Sez. 1, n. 13630 del 12/02/2019).
Nel caso in esame, le modalità obiettive dalla condotta, rappresentate dal comprovato e significativo pericolo connesso al possibile utilizzo del coltello sequestrato all’odierno imputato, che lo stesso ha introdotto, portandolo sulla sua persona, all’interno di un esercizio commerciale, simultaneamente al compimento di un furto, per la Corte territoriale non consente sicuramente di qualificare il fatto in termini di trascurabile offensività ó di particolare tenuità.
La sentenza, dunque, si colloca nell’alveo del dictum delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, co. 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. Un. n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).
S.U. Tushai ricordano che «la nuova normativa non si interessa della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena. Insomma, si è qui entro la distinzione tra fatto legale, tipico, e fatto storico, situazione reale ed irripetibile costituita da gli elementi di fatto concretamente realizzati dall’agente».
Va peraltro ricordato che, ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli rite nuti rilevanti (così Sez. 7, Ordinanza n. 10481 del 19/01/2022, Deplano, Rv. 283044 – 01 che ha ritenuto corretta la mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità in conseguenza di lesioni stradali provocate dalla guida di un veicolo sprovvisto di assicurazione; conf. Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, COGNOME Rv. 274647 – 01 che, in motivazione, ha ritenuto corretta la mancata applicazione di tale causa di esclusione della punibilità in conseguenza della fuga dell’imputato
•
subito dopo il fatto, senza che ciò si ponga in contrasto con la concessione delle attenuanti generiche, giustificata dalla successiva condotta processuale del predetto).
A norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21/01/2025