Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26036 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26036 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato in GRECIA il 20/06/1975 COGNOME nato in GEORGIA il 16/01/1984
avverso la sentenza del 11/12/2024 della Corte d ‘ appello di Bari Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi; udito l ‘ avv. NOME COGNOME del foro di Bari, in difesa di NOME COGNOME che ha insistito per l ‘ accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bari, con sentenza dell’11 dicembre 2024, ha confermato la sentenza, ex art. 442 cod. proc. pen., del Tribunale di Trani di condanna di NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al reato di cui agli artt. 110, 624 bis cod. pen. commesso in Spinazzola il 6 maggio 2023 alla pena rispettivamente di anni 3 di reclusione e euro 660 di multa e di anni 2 di reclusione e euro 440 di multa.
I fatti nelle conformi sentenze di merito sono stati ricostruiti nel modo seguente. Nella serata del 6 maggio 2023 era stato perpetrato un furto presso l’abitazione di NOME COGNOME: due uomini erano entrati nell’alloggio e si erano impossessati della somma di 500 euro in contanti, nonché di oggetti in argento e monili in oro per un valore complessivo di circa 6.000 euro. La porta di ingresso dell’appartamento era stata aperta attraverso l’inserimento di un liquido nella serratura e l’appartamento era stato messo a soqquadro. Nelle immagini registrate dallo spioncino digitale posto sulla porta di ingresso dell’appartamento sito al piano inferiore, erano stati immortalati due uomini a volto scoperto intenti a salire le scale al buio con una torcia e, circa due ore dopo, ridiscendere con in mano un borsone. I due, attraverso il confronto con le foto segnaletiche, erano stati identificati negli odierni ricorrenti; sottoposti a perquisizione, erano stati trovati in possesso degli indumenti indossati il giorno del furto, mentre all’interno dell’abitazione da loro occupata era stato rinvenuto il borsone, riconosciuto dalla persona offesa come quello a lei sottratto.
Avverso la sentenza, i due imputati hanno proposto ricorso a mezzo dei rispettivi difensori.
2.1. Il ricorso di NOME COGNOME si è articolato in tre motivi.
2.1.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e in specie dell’art. 420 ter cod. proc. pen. per la mancata traduzione dell’imputato detenuto all’udienza dell’11 dicembre 2024 di discussione dell’appello, con conseguente nullità assoluta e insanabile della sentenza. Il difensore osserva:
che al momento dell’emissione del decreto di citazione in appello, ovvero al 5 luglio 2024, COGNOME era detenuto presso la casa circondariale di Trani;
che il 20 settembre 2024, alla prima udienza di trattazione del processo di appello, tenutasi nella forma partecipata a seguito di richiesta di trattazione orale alla presenza del difensore e dell’imputato, che aveva chiesto di presenziare ed essere tradotto, il processo veniva rinviato per nullità della vocatio in ius , in quanto il decreto di citazione non era stato tradotto in lingua a lui nota;
che la Corte aveva emesso nuova citazione per l’udienza dell’11 dicembre 2024, ordinando che la stessa fosse tradotta in lingua georgiana;
che all’udienza dell’11 dicembre 2024 di effettiva trattazione, discussione e decisione dell’appello, nonostante la situazione continuativa di detenzione carceraria del ricorrente, nel frattempo trasferito presso la casa circondariale di Taranto, non era stata assicurata la sua partecipazione mediante traduzione o video collegamento dal luogo di restrizione, senza che egli avesse rinunciato a comparire. In tal modo, come affermato da un consolidato orientamento giurisprudenziale, si era verificata una nullità assoluta e insanabile a norma
dell’art. 179 cod. proc. pen., rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, che aveva reso invalidi gli atti successivi.
2.1.2 Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. Nelle sentenze di merito si dà atto che all’udienza del 20 febbraio 2024 la difesa del coimputato COGNOME aveva prodotto copia di vaglia postale circolare dell’importo di 2.500 euro in favore della persona offesa con relativa quietanza e la difesa del ricorrente aveva prodotto copia di assegno circolare di eguale importo consegnato alla persona offesa. Il risarcimento era stato tempestivo, in quanto avvenuto prima della ammissione del rito abbreviato, ma era stato ritenuto parziale, nonostante la dichiarazione liberatoria della persona offesa, che non si era costituita parte civile anche in ragione delle ampie scuse ricevute da COGNOME La Corte, a fronte di tali rilievi, aveva ribadito che il valore dei beni sottratti era superiore, ovvero pari a 6.000 euro, in aggiunta alla somma di 500 euro in denaro contante e che, dunque, non erano stati coperti né i danni materiali che comprendevano anche il danneggiamento del mobilio, né i danni morali. In realtà la quantificazione dei danni materiali in 6.500 euro era frutto di un travisamento in quanto nella denuncia, in cui era stato menzionato l’ammanco sia della somma in contanti sia degli oggetti preziosi, si dava atto che il danno complessivo ammontava a 6.000 euro. L’affermazione della Corte per cui la stima del valore degli oggetti asportati sarebbe stata effettuata dalla persona offesa per difetto era del tutto congetturale. Infine, l’affermazione della Corte per cui vi sarebbero stati danni materiali in conseguenza del danneggiamento del mobilio era anch’essa frutto di travisamento, giacché la persona offesa in denunzia aveva dichiarato di aver trovato la casa a soqquadro, ma non anche che i mobili erano stati danneggiati. Piuttosto dalla lettura del verbale di denuncia emerge che la stessa stima globale dei danni, quantificati in 6.000 euro, era stata approssimativa e generica, non avendo la persona offesa addotto alcun elemento al fine di comprovare il valore degli oggetti. Le emergenze in atti, dunque, interpretate secondo la logica e la comune esperienza, tenuto conto che la persona offesa aveva accettato la somma di 5.000 euro come ristoro totale omnicomprensivo del danno subito, dovevano far ritenere che quanto corrisposto fosse effettivamente integralmente riparativo di ogni pregiudizio occorso e, pertanto, funzionale al riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen.
2.1.3. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena. Il difensore lamenta che la motivazione con cui la Corte di Appello aveva confermato la pena irrogata dal giudice di primo grado di anni 3 di reclusione ed euro 660 di multa sarebbe illogica. In tal senso osserva che i giudici avevano valorizzato il fatto che i due
imputati avessero agito con guanti, torcia e spray, nonché il fatto che avessero già perpetrato e tentato di compiere altri furti in abitazione, affinando le loro tecniche, quando in realtà essi avevano agito con ‘in normali mezzi del mestiere’, a volto scoperto, con modalità rudimentali, non ricollegabili a contesti organizzati. I giudici di merito, dunque, in maniera immotivata, avevano determinato la pena base in anni 4 e mesi 6 di reclusione, discostandosi dal minimo edittale.
2.2. Il ricorso di COGNOME si è articolato in due motivi.
2.2.1 Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. La Corte in modo apodittico avrebbe negato il riconoscimento di detta attenuante e non avrebbe considerato la dichiarazione della persona offesa COGNOME che aveva ritenuto la somma ricevuta satisfattiva di tutte le sue pretese e non si era costituita parte civile.
2.2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della sospensione condizionale della pena. La Corte, secondo il difensore in maniera illegittima, aveva negato il beneficio, limitandosi a richiamare la pendenza di altro procedimento penale.
Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME deve essere accolto con riferimento al primo motivo, assorbente rispetto agli altri. Il ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile.
Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME inerente alla corretta instaurazione del contraddittorio, è fondato e determina l’assorbimento degli ulteriori motivi inerenti al merito e al trattamento sanzionatorio.
2.1. Dall ‘ esame degli atti consentito a questa Corte, essendo stato dedotto un error in procedendo (Sez. U., n.42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv.220092), emerge:
che NOMECOGNOME sottoposto alla misura degli arresti domiciliari nell ‘ ambito del presente procedimento, era detenuto per altra causa presso la casa circondariale di Trani;
che il difensore, a seguito della notifica dell ‘ avviso di fissazione dell ‘ udienza in appello per la data del 20 settembre 2024, aveva presentato tempestiva richiesta di trattazione orale dell ‘ appello;
che l ‘ imputato, con dichiarazione del 4 settembre 2024 depositata presso l ‘ ufficio matricola del carcere, ex art. 123 cod. proc. pen., aveva chiesto di poter partecipare all ‘ udienza del 20 settembre 2024 e di essere tradotto;
che all ‘ udienza del 20 settembre 2024, presente l ‘ imputato e il difensore, la Corte di appello aveva rilevato, su eccezione della difesa, la nullità della vocatio in ius , in quanto il decreto non era stato tradotto in lingua nota all ‘ imputato alloglotta e, rinviata l ‘ udienza all ‘ 11 dicembre 2024, aveva disposto la rinnovazione della notifica della citazione, tradotta in lingua georgiana;
che all ‘ udienza dell ‘ 11 dicembre 2024, celebrata con le forme della trattazione orale in presenza del difensore, l ‘ imputato non era stato tradotto, né era stato disposto il videocollegamento con la casa circondariale ove si trovava detenuto; – che a tale udienza il processo era stato discusso e deciso.
2.2. Le Sezioni Unite, in relazione al giudizio di appello di un processo celebrato nelle forme del rito abbreviato, hanno affermato che la mancata traduzione all’udienza camerale d’appello, perché non disposta o non eseguita, dell’imputato che abbia tempestivamente manifestato ‘in qualsiasi modo’ la volontà di comparire e che si trovi detenuto o soggetto a misure limitative della libertà personale, determina la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza (Sez. U., n. 35399 del 24/06/2010, F., RV. 247836). La giurisprudenza successiva, in coerenza con tale principio, ha ribadito che l’imputato detenuto ha diritto di presenziare al giudizio camerale d’appello avverso la sentenza pronunciata in giudizio abbreviato, anche se ristretto in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice procedente, a condizione che abbia tempestivamente manifestato in qualsiasi modo la volontà di comparire all’udienza (Sez. 2, n. 27245 del 02/05/2019, COGNOME, Rv. 276658 – 01; Sez. 2, n. 5950 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 258212 – 01; Sez. 6, n. 36128 del 13/05/2014, COGNOME, Rv. 259936 – 01; Sez. 6, n. 29833 del 02/07/2012, COGNOME, Rv. 253255 – 01). Peraltro, con orientamento consolidato, questa Corte ha anche affermato che la volontà di comparire all’udienza da parte del detenuto – manifestata tempestivamente – produce i suoi effetti non solo in relazione all’udienza alla quale essa sia formulata ma anche, qualora non si verifichi una espressa rinuncia, per quelle successive, fissate a seguito di rinvio a udienza fissa (Sez. 1 , n. 10508 del 05/12/2019, dep. 2020, COGNOME Rv. 278814; Sez. 4, n. 45392 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257559) ovvero anche a seguito di rinvio a nuovo ruolo (Sez. 2, n. 11756 del 09/01/2003, COGNOME, Rv. 224905 – 01).
2.3. Facendo applicazione di tali principi al caso di specie, si rileva che, dopo che l’imputato aveva tempestivamente formulato la richiesta di partecipare a un’udienza in cui il processo non si era tenuto per un ritenuto difetto della vocatio in ius, all’udienza successiva, a cui il processo era stato rinviato, non era stata disposta la traduzione, né era stato apprestato il videocollegamento con la casa circondariale. Ne consegue la nullità assoluta e insanabile del giudizio camerale e della relativa sentenza, che, pertanto, deve essere annullata senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME con trasmissione atti ad altra sezione della Corte di appello di Bari, per nuovo giudizio.
I motivi del ricorso proposto nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE non superano il vaglio di ammissibilità.
3.1. Il primo motivo, inerente al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., è inammissibile per difetto di specificità e, comunque, manifestamente infondato.
Il ricorrente sostiene che la dichiarazione con cui la persona offesa aveva accettato la somma di 5.000 euro a titolo di risarcimento del danno e aveva affermato che detto risarcimento era ‘omnicomprensivo’ sarebbe stata pretermessa dalla Corte di appello e si duole che questa dichiarazione sia stata ritenuta ininfluente ai fini della concessione della attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen.
La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che, ai fini della configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., il risarcimento del danno debba essere integrale ed effettivo ( ex plurimis , Sez. 6, n. 15875 del 24/03/2022, COGNOME, Rv. 283190) e che la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetti al giudice , il quale può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva della parte lesa (Sez. 5, n. 7826 del 30/11/2022, dep. 2023, Bojic, Rv. 284224; Sez. 6, n. 25264 del 12/05/2015, Osio, Rv. 263812; Sez. 5, n. 13282 del 17/01/2013, Sanchez COGNOME, Rv. 255187; Sez. 2, n. 19663 del 08/04/2010, COGNOME e altro, Rv. 247118). Facendo applicazione di questi principi, la Corte di appello ha ritenuto che la dichiarazione della persona offesa non fosse sufficiente ai fini dell’applicazione dell’attenuante perché la somma indicata non valeva a coprire né l’ammontare del valore dei beni sottratti, secondo quanto indicato in denuncia, né i danni materiali conseguenti al fatto che la casa era stata messa a soqquadro, né i danni morali. A fronte di tale percorso argomentativo, il motivo si limita a richiamare la dichiarazione della persona offesa e a rilevare che la stessa non si è costituita parte civile, senza tuttavia contrapporre agli argomenti individuati dai
giudici di merito alcuna ragione in fatto o in diritto, tale da scardinarne la tenuta logica.
3.2. Il secondo motivo, inerente al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, è inammissibile, in quanto meramente avversativo e, comunque, manifestamente infondato.
Con riguardo al diniego della sospensione condizionale della pena, i giudici di merito hanno evidenziato la circostanza che l ‘ imputato abbia commesso il fatto mentre era sottoposto alla misura dell ‘ obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nell ‘ ambito di diverso procedimento penale in ordine ai reati di resistenza a pubblico ufficiale e porto di oggetti atti ad aprire o forzare serrature in concorso con NOMECOGNOME posti in essere il 20 aprile 2023, nonché lo stretto legame con il coimputato NOMECOGNOME già gravato da condanne definitive in ordine al delitto di furto in abitazione consumato e tentato (sentenza di primo grado pag. 8; sentenza di appello pag. 9). Il percorso motivazionale seguito non si presta a censure, in quanto conforme alla previsione dell ‘ art. 164, comma 1, cod. pen. a norma del quale la sospensione condizionale della pena è ammessa soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell ‘ art. 133, il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.
La prognosi positiva in ordine alla ricaduta nel reato è stata fondata su elementi concreti e in primis sulla impermeabilità rispetto al vincolo nascente dalla cautela, indicativo di spiccata capacità a delinquere. È principio consolidato quello per cui il giudice di merito, nel valutare la concedibilità della sospensione condizionale della pena, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen., ma può limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti (Sez. 3, n. 30562 del 19/03/2014, Avveduto, Rv. 260136; Sez. 3 n. 6641 del 17/11/2009, Miranda, Rv. 246184).
Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME e gli atti devono essere trasmessi ad altra sezione della Corte di appello di Bari.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso di RAGIONE_SOCIALE, segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte di appello di Bari. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 10 luglio 2025