LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Diritto di difesa: quando l’offesa non è reato

La Corte di Cassazione ha stabilito che le espressioni offensive usate in un procedimento giudiziario non costituiscono diffamazione se sono pertinenti alla tesi difensiva, a prescindere dalla loro veridicità. La sentenza chiarisce l’ambito di applicazione della scriminante legata al diritto di difesa (art. 598 c.p.), annullando una condanna al risarcimento danni e sottolineando che l’interesse tutelato è la libertà di difesa nella sua correlazione con la causa.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Diritto di difesa: la Cassazione chiarisce quando l’offesa in giudizio non è reato

Nel contesto di una battaglia legale, le parole possono diventare armi affilate. Ma fino a che punto ci si può spingere per difendere le proprie ragioni? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale: il diritto di difesa può giustificare l’uso di espressioni offensive, a patto che siano funzionali alla tesi sostenuta, senza che sia necessario provarne la verità. Analizziamo questa importante decisione che traccia i confini tra la libertà di espressione processuale e il reato di diffamazione.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una complessa controversia giudiziaria. Un soggetto, sentendosi vittima di una tentata estorsione, aveva presentato una denuncia. Il pubblico ministero, tuttavia, aveva richiesto l’archiviazione del caso. L’individuo, in qualità di persona offesa, si è opposto a tale richiesta. Durante l’udienza, per sostenere le sue ragioni e rafforzare la sua accusa, ha usato parole molto forti, descrivendo la controparte come un “mafioso”, titolare di una società riconducibile alla ‘ndrangheta e beneficiario di protezioni istituzionali.

Queste dichiarazioni hanno portato a una nuova accusa, questa volta per diffamazione, contro il denunciante. Si è così innescato un nuovo procedimento per stabilire se tali affermazioni, oggettivamente offensive, fossero penalmente rilevanti.

Il Percorso Giudiziario e l’importanza del diritto di difesa

Il caso ha visto due decisioni diametralmente opposte nei gradi di merito, evidenziando la delicatezza della questione.

La Sentenza di Primo Grado

Il Tribunale di primo grado ha assolto l’imputato con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Secondo il giudice, le frasi offensive rientravano nell’esercizio del diritto di difesa, tutelato dall’art. 24 della Costituzione e specificato dalla scriminante prevista dall’art. 598 del codice penale. Quest’ultimo articolo stabilisce la non punibilità delle offese contenute negli scritti o discorsi pronunciati davanti all’autorità giudiziaria, quando le offese concernono l’oggetto della causa.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello ha ribaltato completamente la decisione. Accogliendo l’appello della sola parte civile (la persona offesa dalla presunta diffamazione), ha condannato l’imputato al risarcimento dei danni morali. La motivazione della corte territoriale si basava su due pilastri: le affermazioni non erano rispettose del criterio della verità storica (non erano state provate) e non erano pertinenti all’oggetto del procedimento, che riguardava una tentata estorsione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sul diritto di difesa

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’appello, accogliendo il ricorso dell’imputato. La Suprema Corte ha ritenuto palesemente erroneo l’argomento utilizzato dal giudice di secondo grado. Il fulcro della decisione risiede nella corretta interpretazione della scriminante dell’art. 598 c.p.

La Cassazione ha chiarito che il fondamento di tale scriminante non risiede nella veridicità delle affermazioni offensive, bensì nel loro rapporto di strumentalità con le tesi prospettate nella controversia giudiziaria. L’interesse tutelato dalla norma è la libertà di difesa, intesa come possibilità di argomentare le proprie ragioni in modo efficace, anche con toni aspri, purché le espressioni siano funzionali alla causa.

In altre parole, non è necessario che le offese abbiano un “contenuto minimo di verità”. Ciò che conta è che esse siano direttamente e immediatamente collegate all’oggetto della controversia e abbiano una rilevanza funzionale per le argomentazioni sostenute. Nel caso specifico, le accuse di appartenenza a contesti mafiosi erano state formulate proprio per rafforzare l’ipotesi di reato di tentata estorsione, descrivendone le presunte modalità tipiche di tali contesti. Pertanto, erano intrinsecamente legate all’oggetto del contendere.

La Corte d’Appello ha sbagliato a subordinare l’applicazione della scriminante alla prova della verità delle accuse, un requisito non previsto dall’art. 598 c.p. e che snaturerebbe la funzione stessa del diritto di difesa.

Le conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione riafferma un principio cruciale per chiunque si trovi a difendere i propri diritti in un’aula di tribunale. Il diritto di difesa è un pilastro del nostro ordinamento e garantisce una sfera di libertà di espressione più ampia rispetto ai contesti ordinari. Le espressioni, anche se offensive, non sono punibili se strettamente connesse e funzionali alle strategie difensive all’interno di un procedimento giudiziario. La veridicità di tali espressioni non è il parametro per giudicare la loro liceità, ma lo è la loro pertinenza con l’oggetto della causa. La sentenza d’appello è stata dunque annullata, con rinvio al giudice civile competente per un nuovo esame basato sui corretti principi di diritto.

È possibile usare espressioni offensive in un atto giudiziario senza essere condannati per diffamazione?
Sì, è possibile a condizione che le offese siano contenute in scritti o discorsi pronunciati davanti all’autorità giudiziaria e riguardino l’oggetto della causa. Lo stabilisce l’art. 598 c.p., che prevede una specifica causa di non punibilità (scriminante) legata all’esercizio del diritto di difesa.

Perché il diritto di difesa giustifichi un’offesa, è necessario che l’affermazione sia vera?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la scriminante non richiede che le offese abbiano una base di veridicità. Il suo fondamento è il rapporto di strumentalità tra le frasi offensive e le tesi sostenute nella controversia giudiziaria, a prescindere dalla fondatezza dell’argomentazione.

Qual è il limite del diritto di difesa quando si usano frasi offensive in un processo?
Il limite principale è la pertinenza. Le espressioni, seppur offensive, devono concernere, in modo diretto e immediato, l’oggetto della controversia e avere una rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della propria tesi. Non devono essere gratuite, inutili o completamente avulse dal contesto della causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati