Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 17282 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 17282 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOMECOGNOME nato a Torino il 18/12/1967, avverso la sentenza in data 21/03/2024 della Corte di appello di Torino, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; letta per l’imputato la memoria dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 21 marzo 2024 la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza in data 15/12/2020 del G.u.p. del Tribunale di Torino che aveva condannato NOME COGNOME alle pene di legge per il reato dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000.
L’imputato eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione perché non vi era corrispondenza tra il capo di imputazione e la segnalazione di reato dell’Agenzia delle entrate, con particolare riferimento alla condotta e alla data di consumazione. Il primo si riferiva a una violazione accertata nel 2016 per l’anno
di imposta 2015, la seconda a una violazione accertata nel 2015 per l’anno di imposta 2014. Aggiunge che dal processo verbale di constatazione dell’Agenzia delle entrate in data 6 giugno 2018 non era emerso che nella dichiarazione dei redditi del 2015 risultava la detrazione o l’utilizzazione del costo fittiz rappresentato da due fatture e che per tale motivo il G.i.p. aveva archiviato il procedimento penale RGNR 14759/2028 per la violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 relativa all’anno 2015. Conclude quindi per la nullità della sentenza impugnata per violazione del diritto di difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato perché reca una censura già vagliata e disattesa con adeguata motivazione giuridica dalla Corte territoriale.
Il Tribunale di Torino ha accertato che l’imputato, socio accomandatario e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Maurizio e C., al fine di evadere RAGIONE_SOCIALE, aveva indicato nel modello unico società di persone 2016 per l’anno di imposta 2015 elementi passivi fittizi per euro 90.527,75, avvalendosi di due fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, una di euro 73.843,85 (imponibile pari a euro 60.527,75) in data 28 febbraio 2014 e l’altra di euro 36.600 (imponibile pari a euro 30.000) in data 31 marzo 2015. Il ricorrente non ha contestato che le operazioni delle due fatture fossero oggettivamente inesistenti, ma nell’atto di appello ha sostenuto che l’Agenzia delle entrate avesse segnalato la violazione dell’art. 2 per fatti commessi nell’anno di imposta 2014, mentre il P.m. aveva contestato la violazione dell’art. 2 per fatti commessi nell’anno di imposta 2015. Nella prospettiva difensiva, tale discrasia aveva comportato una lesione del diritto di difesa.
La Corte territoriale ha precisato, in risposta al motivo di appello, che, per l’imposta sul reddito, i componenti negativi, ritenuti inesistenti, erano stati dedott nell’esercizio 2014, mentre, per VIVA, le fatture erano state dedotte nel periodo d’imposta 2015 con dichiarazione presentata nel 2016. Non vi era quindi la denunciata diversità tra la segnalazione dell’Agenzia delle entrate e la contestazione del P.m. che non poteva non tener conto del complesso degli atti d’indagine. In ogni caso, l’imputato aveva dichiarato che per gli omessi versamenti aveva concordato un piano di ammortamento con l’Agenzia delle entrate nell’ambito della cosiddetta pace fiscale.
Il ricorrente non si è confrontato con tale motivazione e ha invocato, a ben vedere, un travisamento della prova dietro l’apparenza della violazione del diritto di difesa. A fronte di una dettagliata descrizione del fatto contestato, tuttavia, non solo non ha negato che le operazioni fossero oggettivamente inesistenti, ma non ha negato neanche l’evasione dell’IVA né ha contestato l’adesione alla pace fiscale
GLYPH
per rimediare alla debitoria. Inoltre, ha definito il procedimento con l’accesso al rito abbreviato e non ha prodotto alcuna consulenza di parte per confutare
l’accertamento dell’Agenzia delle entrate. La circostanza che altro analogo procedimento per violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 relativo all’anno 2015
sia stato archiviato non incide sull’accertamento del presente procedimento per la violazione dell’anno 2016.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il
ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data
13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in via
equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende Così deciso, il 5 dicembre 2024
Il Consigliere estensore