Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 47279 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 47279 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: 01/12/1934 nel procedimento a carico di:
dalla parte civile NOME COGNOME NOME COGNOME nato a ROMANO CANAVESE il
COGNOME NOME nato a NOLA il 27/05/1982 COGNOME NOME nato a NAPOLI il 13/11/1974 COGNOME nato a NAPOLI il 22/03/1949
NOME nato a BERGAMO il 25/06/1943
avverso la sentenza del 02/10/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. si riporta alla requisitoria in atti e conclude per il rigetto del ricorso.
udito il difensore
Il difensore NOME COGNOME del foro di ROMA deposita conclusioni scritte unitamente alla nota spese e si riporta ai motivi del ricorso.
Il difensore NOME COGNOME del foro di MILANO insiste affinché il ricorso venga
dichiarato inammissibile.
Il difensore NOME del foro di TERAMO si associa alle conclusioni del precedente difensore e insiste per l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma, in data 02/10/2023, che aveva assolto, perché il fatto non costituisce reato, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME Bruno e COGNOME NOME dal delitto di diffamazione a mezzo stampa, aggravato dall’attribuzione di fatti determinati, ipotizzato come commesso in danno del Cardinale NOME COGNOME.
Era contestato a COGNOME e COGNOME di avere riportato nel pezzo giornalistico titolato “La Macchina dei dossier”, pubblicato il 10/07/2014 sul settimanale “L’Espresso”, dichiarazioni rese da NOME COGNOME che attribuivano alla persona offesa il ruolo di fonte principale delle false notizie diffamatorie pubblicate-a partire dall’agosto 2009- su “Il giornale” ( all’epoca diretto da NOME COGNOME) riguardanti NOME COGNOME ( all’epoca direttore del quotidiano “Avvenire”) e relative a presunti comportamenti molesti posti in essere da quest’ultimo; pubblicazione culminata nelle dimissioni dello stesso NOME COGNOME dalla direzione del giornale.
A NOME COGNOME nella qualità di direttore del periodico L’Espresso, era contestato di avere pubblicato, nella medesima data, la copertina del settimanale nella quale attraverso fotografie e segni grafici veniva attribuita al Cardinale COGNOME il ruolo di fonte delle notizie diffamatorie pubblicate nei confronti di NOME COGNOME ed inoltre, in concorso con soggetto rimasto ignoto, di avere pubblicato un articolo dal titolo “Quanti guai ha Sua Eminenza” nel quale si affermava che il Cardinale COGNOME risiedeva in un appartamento di 700 mq, arredato con mobili di lusso, e di avere favorito la concessione di un prestito di 15 milioni di euro alla casa di produzione RAGIONE_SOCIALE, a titolo di favore personale alla famiglia COGNOME.
A NOME COGNOME era contestato di avere rilasciato, nel corso di un’intervista, dichiarazioni con le quali attribuiva al NOME COGNOME il ruolo di fonte principale delle false notizie diffamatorie pubblicate, a partire dall’agosto 2009, sul quotidiano “Il Giornale” e riguardanti NOME COGNOME (ex direttore del quotidiano “Avvenire”).
La Corte di appello ha ritenuto, confermando il verdetto assolutorio di primo grado, che COGNOME e COGNOME si erano limitati a riportare fedelmente e tra virgolette le dichiarazioni rese da COGNOME durante l’intervista; COGNOME non avev fatto altro che riportare quanto già dichiarato sotto giuramento( per quanto a sua conoscenza) dinanzi la Procura di Napoli sulla vicenda COGNOME, ovvero conoscenze apprese da fonte ritenuta attendibile; la copertina del settimanale si era limitata a fornire, per sintesi, una rappresentazione grafica del contenuto dell’articolo mentre il box aveva riportato notizie già pubblicate non solo sullo stesso settimanale, ma anche sulla stampa nazionale ed internazionale.
La parte civile, per il tramite del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione. 2.1. Denuncia, con primo motivo, vizio di violazione di legge, in relazione alla scriminante, anche putativa, del diritto di cronaca e di critica. Deduce, con richiamo di argomenti giurisprudenziali, l’insussistenza della scriminante di cui all’articolo 51 cod. pen. che richiede che le notizie siano riportate fedelmente ed in modo imparziale senza commenti e chiose capziose a margine (che possano rendere l’autore, il giornalista, dissimulato coautore). Sostiene che il motivo dello scoop era stata una notizia non vera, non dimostrata e di cui la stessa fonte aveva dubitato, ma che i giornalisti avevano forzato con chiosa e commenti (“la storia di Feltri di sicuro è credibile”) così da orientare il lettore e indurl ritenere dimostrata la stessa notizia. Non è dato comprendere, inoltre, relativamente all’articolo contenuto nel box, quale scriminante i giudici abbiano ritenuto sussistente in quanto le informazioni fornite, relative alla vita privata della persona offesa, hanno ecceduto lo scopo informativo risultando volte solo a soddisfare la curiosità del pubblico e prive di interesse per la collettività. È irrilevante ancora che alcune notizie (come quelle relative al prestito alla Lux Vide e alle dimensioni dell’alloggio occupato dalla persona offesa) avessero già interessato altra stampa, essendo dovere di ogni giornalista verificare le fonti. In ogni caso, i pettegolezzi su aspetti inerenti la vita privata della persona offesa sono fusi con vicende più serie (come quella del presunto scaldalo alla Banca Carige o dello stesso finanziamento alla Lux Vide), prive di fondamento. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sotto altro profilo, rileva che, con particolare riferimento alla copertina pubblicata sul settimanale “L’Espresso” in data 10 luglio 2014, il settimanale aveva lo scopo di provare che il Cardinale COGNOME aveva commissionato a COGNOME di “eliminare” COGNOME ma la scriminante avrebbe potuto operare solo ove si fosse dimostrato che il cardinale COGNOME era stato la fonte del falso scoop, circostanza mai dimostrata. Tuttavia, il lettore medio arriva alla conclusione che la fonte della “eliminazione” di NOME COGNOME sia riconducibile al cardinale COGNOME che, in tal
modo, aveva dato origine “alla lunga stagione dei veleni contro gli avversari di Berlusconi”.
Il Giudice di prime cure aveva ritenuto che fosse sufficiente, a sottolineare l’opinabilità di quanto riferito dal dott. COGNOME, l’affermazione con la quale si dav atto che il dott. COGNOME aveva negato la versione fornita dal dott. COGNOME, dinanzi Procuratore di Napoli; tuttavia, i redattori dell’articolo avevano ritenuto “la storia di COGNOME credibile”, con un’aperta presa di posizione. Non si era trattato di un’intervista ma di una “pseudo-intervista” ed il contenuto diffamatorio era evidente per il riferimento alla “velina” e sulla “manina”, con un anello cardinalizio all’anulare, del cardinale COGNOME: ricostruzione rispetto alla quale lo stesso NOME COGNOME aveva espresso dubbi.
La formula dubitativa con la quale COGNOME aveva ricostruito i fatti non poteva condurre a scriminare le condotte dei diversi imputati.
2.2. Con secondo motivo denuncia il vizio di motivazione apparente, in quanto inidonea a fare comprendere il ragionamento sotteso alla decisione. La stessa sentenza richiamata (la n. 410113 del 11/11/2021) non potrebbe sorreggere la motivazione in quanto con essa la Corte aveva ritenuto immune da censure la condanna dell’imputato per la pubblicazione di un’inchiesta frutto di assemblaggio di dichiarazioni di terzi senza previa verifica dell’attendibilità delle fonti, confermando il dovere del giornalista di controllare la veridicità delle circostanze riferite alla luce della sentenza delle Sezioni Unite del 2001.
3.11 Procuratore generale si è riportato alla requisitoria in atti e concluso per il rigetto del ricorso.
Il difensore NOME COGNOME per la parte civile ricorrente, ha depositato conclusioni scritte unitamente alla nota spese e si è riportato ai motivi del ricorso.
L’avv. NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME,ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
L’avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso o, in subordine, il rigetto dello stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
2.Le condotte per cui è processo trovano il loro antefatto nella pubblicazione avvenuta il 28 agosto 2009, sul quotidiano “Il giornale” diretto da
NOME COGNOME, di un articolo nel quale si rappresentava che il dott. NOME COGNOME all’epoca direttore del quotidiano “Avvenire”, era stato attenzionato dalla Polizia per alcuni suoi presunti comportamenti ritenuti immorali. La pubblicazione di tale articolo era, a sua volta, immediatamente collegata alla precedente pubblicazione di altri articoli, effettuata sul quotidiano “Avvenire”, con i quali era stata avviata una campagna di stampo moralistico sui comportamenti privati di alcuni uomini politici, compreso l’allora Presidente del Consiglio, on.le NOME COGNOME.
All’inizio del 2014, NOME COGNOME, giornalista del settimanale “L’Espresso”, avendo saputo che NOME COGNOME era stato interrogato dalla Procura di Napoli in merito al caso COGNOME, aveva chiesto al collega NOME COGNOME di verificare la notizia attraverso una nuova intervista a NOME COGNOME: quest’ultimo aveva rilasciato le dichiarazioni riportate nell’articolo, affermando di avere saputo che la fonte principale delle false notizie diffamatorie, pubblicate sul quotidiano “Il Giornale” a partire dall’agosto 2009, riguardanti il caso COGNOME, era stata il Cardinale COGNOME; precisava di avere avuto la notizia da “COGNOME, che l’aveva ricevuta dalla Santanchè, Bisignani e che era partita da COGNOME“, pur soggiungendo che non sapeva se fosse vero, ma che la notizia gli era sembrata “credibile”. La pubblicazione dell’articolo, contenente l’intervista, avveniva nel settimanale de “L’Espresso” del 10 luglio 2014, la cui copertina, peraltro, attraverso una serie di foto collegate da frecce di colore rosso, e relativo occhiello, tendeva a confermare l’attribuzione al Cardinale COGNOME del ruolo di fonte principale delle notizie diffamatorie, pubblicate in danno del COGNOME. L’articolo a firma di COGNOME e COGNOME includeva, altresì, un box, collocato nel contesto della medesima inchiesta, nel quale si riportava la notizia che il Cardinale COGNOME risiedeva in un attico di 700 metri quadrati e che lo stesso aveva appoggiato la concessione di un prestito dello Ior alla casa di produzione “Lux vide”, per un ammontare di 15 milioni di euro, a titolo di favore personale alla famiglia COGNOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
NOME La sentenza impugnata si è mossa nel solco di un consolidato insegnamento di legittimità secondo cui, in tema di diffamazione a mezzo stampa, la manifestazione di espressioni oggettivamente offensive della reputazione altrui può trovare giustificazione nella sussistenza del diritto di cronaca.
Requisiti caratterizzanti dell’esimente sono quelli dell’interesse sociale, della continenza del linguaggio e della verità del fatto narrato. Sotto il primo profilo va verificata la sussistenza di un interesse generale alla conoscenza del fatto ossia nell’attitudine della notizia a contribuire alla formazione della pubblica opinione, in modo che ognuno possa fare liberamente le proprie scelte, nel campo della
formazione GLYPH culturale GLYPH e GLYPH scientifica GLYPH (tra GLYPH le tante, Sez. 5, Sentenza n. 49570 del 23/09/, Rv. 261340 – 01; Sez. 5, n. 39503 del 11/05/2012, Clemente, Rv. 254789).
Quanto al requisito della continenza, la continenza sostanziale, o “materiale”, attiene alla natura e alla latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse relazione all’interesse pubblico alla comunicazione o al diritto-dovere di denunzia, mentre il requisito della continenza formale, che attiene alle espressioni attraverso le quali si estrinseca il diritto alla libera manifestazione del pensiero, con la parola o qualunque altro mezzo di diffusione, di rilevanza e tutela costituzionali ( ex art. 21 Cost.), postula una forma espositiva corretta che non trasmodi nella gratuita e immotivata aggressione dell’altrui reputazione. D’altro canto, esso non è incompatibile con l’uso di termini che, pure oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, per non esservi adeguati equivalenti. Nell’ambito di siffatta operazione ermeneutica, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, occorre contestualizzare le espressioni intrinsecamente ingiuriose, ossia valutarle in relazione al contesto spazio – temporale e dialettico nel quale sono state profferite, e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur forti e sferzanti, risultino meramente gratuiti, ma siano invece pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere ( Sez. 5 n. 32027 del 23/03/2018, Rv. 273573). Così, si è ravvisato il requisito della continenza, in relazione a espressioni inquadrate in un “botta e risposta” giornalistico, che tollera limiti più ampi alla tutela della reputazione ( Sez. 5 n. 4853 del 18/11/2016, Rv. 269093; Sez. 1 n. 36045 del 13/06/2014 Rv. 26112). Compito del giudice è, dunque, di verificare se il negativo giudizio di valore espresso possa essere, in qualche modo, giustificabile nell’ambito di un contesto critico e funzionale all’argomentazione, così da escludere la invettiva personale volta ad aggredire personalmente il destinatario ( Sez. 5 n. 31669 del 14/04/2015, Rv. 264442), con espressioni inutilmente umilianti e gravemente infamanti ( Sez. 5 n. 15060 del 23/02/2011, Rv. 250174). Il contesto dialettico nel quale si realizza la condotta può, dunque, essere valutato ma non può mai scriminare l’uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest’ultimo in quanto tale (Sez. 5 n. 37397 del 24/06/2016, Rv. 267866). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.1.Inoltre, GLYPH con riferimento all’ipotesi della pubblicazione di una intervista, i criteri che delimitano l’esercizio del diritto di cronaca (la verità fatto narrato, la pertinenza all’interesse che esso assume per l’opinione pubblica, la correttezza delle modalità con cui il fatto viene riferito), vanno rapportati all espressioni verbali provenienti dalla persona intervistata, costituenti il “fatto” in sè. Il limite della verità si atteggia, pertanto, in maniera del tutto peculiar
«siccome riferito non al contenuto dell’intervista, cioè alla rispondenza del fatto riferito dall’intervistato alla realtà fenomenica, ma al fatto che l’intervista s stata realmente operata e concetti o parole riportati dal giornalista siano perfettamente rispondenti al profferito dalla persona intervistata. Quando, poi, il “fatto-intervista” pubblicato consista in valutazioni o giudizi esternati, da personaggi pubblici, su atteggiamenti di altri personaggi pubblici nell’ambito di un dibattito che -proprio per l’intrinseco contenuto e per la notorietà dei protagonisti- interessa l’opinione pubblica, il giornalista è tenuto al rigoroso rispetto delle opinioni, manifestate dall’intervistato, anche in termini critici, fine di far emergere l’obiettività del dibattito e fornire al pubblico un quadro più genuino possibile, atto ad orientare il giudizio anche sul personaggio intervistato. Quest’ultimo, qualora le sue parole integrino una lesione alla reputazione del personaggio interessato, non può non assumerne la responsabilità, anche se poi intenda far valere la scriminante del diritto di critica (ove ne sussistano i presupposti) ben distinto da quello di cronaca invocato dal giornalista» ( Sez. 5, n. 2144 del 14/12/1999, dep. 2000, Rv. 215574 – 01).
Sul medesimo tema, delle condizioni di legittimazione della condotta dell’intervistatore (e di operatività della scriminante del diritto di cronaca), sono successivamente intervenute le Sezioni Unite (Sez. U, n. 37140 del 30/5/2001, COGNOME, Rv. 219651) con sentenza con la quale – pur riaffermandosi che la condotta del giornalista il quale, pubblicando il testo di un’intervista, vi riport anche se “alla lettera”, dichiarazioni del soggetto intervistato di contenuto oggettivamente lesivo dell’altrui reputazione, non è scriminata dall’esercizio del diritto di cronaca, in quanto al giornalista stesso incombe pur sempre il dovere di controllare veridicità delle circostanze e continenza delle espressioni riferite, è stato, tuttavia, precisato che la stessa condotta deve ritenersi scriminata qualora il fatto in sè dell’intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvol alla materia in discussione e al più generale contesto in cui le dichiarazioni sono rese, presenti profili di interesse pubblico all’informazione tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo e da giustificare l’esercizio del diritto di cronaca. Le Sezioni Unite, dunque, hanno selezionato il criterio dell’interesse del pubblico ad essere informato delle opinioni espresse da un personaggio noto e quindi qualificato, indipendentemente dalla verità oggettiva dei fatti da questo narrati e dalla correttezza delle espressioni usate, precisando ancora che la verifica sulle qualità dell’intervistato deve essere condotta in concreto, e non sulla base di astratte formule giuridiche, poichè alla scriminante del diritto di cronaca non può attribuirsi una natura statica e immutabile, bensì una struttura dinamica e flessibile, adattabile di volta in volta a realtà diverse. La giurisprudenza successiva ha ampliato l’operatività dell’esimente sino a far derivare l’interesse
pubblico a rendere noto il pensiero dell’intervistato non soltanto dalla fama o dall’autorevolezza di questi, ma anche dalla notorietà della persona offesa dall’intervista (Sez. 5, n. 28502 del 11/04/2013, COGNOME, Rv. 256935).
3.2.Può oramai ritenersi consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui la tutela della reputazione della persona offesa nei confronti della stampa appare recessiva laddove l’interesse del pubblico ad essere informato è costituito proprio dal fatto che un particolare soggetto abbia reso quelle dichiarazioni (Sez. 5, n. 29128 del 17/09/2020, rv. 279775). In tali casi, è l’intervista che deve risultare vera e la verifica di “continenza” va approntata rispetto alla forma in cui viene proposta al pubblico e non avuto riguardo al suo contenuto, sicchè il giornalista risponderà solo degli eventuali commenti o precisazioni apportate a quanto riferito dall’intervistato ovvero, qualora ciò non venga riportato testualmente, della sintesi o parafrasi autonomamente compiuta o, ancora, nel caso in cui dalla suggestività delle domande o da altri indici e dal contesto possa ritenersi che l’autore dell’articolo non si sia limitato a ricevere le dichiarazioni dell’intervistato, “ma ne sia in qualche modo l’occulto coautore”.
4.Nel caso in esame la Corte di appello ha ritenuto scriminata dal diritto di cronaca giornalistica la condotta ascritta ai giornalisti COGNOME e COGNOME consistita nell’avere riportato il contenuto di una intervista rilasciata da NOME COGNOME e di avere ritenuto “la storia di COGNOME di sicuro credibile”, argomentando, tuttavia, tale prospettazione attraverso una serie di considerazioni legate anche alle relazioni tra i soggetti chiamati in causa da COGNOME, ed esponendo in modo contenuto la loro opinione. Dall’analisi del testo dell’articolo – consentita a questa Corte di legittimità che, in materia di diffamazione, può autonomamente e direttamente conoscere e valutare l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, COGNOME NOME, Rv. 278145; Sez. 5, n. 48698 del 19/9/2014, COGNOME, Rv. 261284; Sez. 5, n. 41869 del 14/2/2013, Fabrizio, Rv. 256706; Sez. 5, n. 832 del 21/6/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233749) – è dato rilevare come ci si trovi di fronte ad un’intervista che non segue lo schema classico domanda/risposta, bensì riporta il racconto dell’intervistato, introdotto ed intervallato da annotazioni esplicative dell’articolista, sicchè lo scritto forma un unico percorso concettuale, il cui senso complessivo si desume solo dall’analisi unitaria, pur rimanendo sempre individuabili i contenuti riferibili al mero intervistato; d’altra parte non è da rinvenire nell’operato dei ricorrenti COGNOME e COGNOME alcuna utilizzazione distorta delle informazioni ricevute da NOME COGNOME, riportate fedelmente e tra virgolette, né un uso malaccorto delle stesse.
I ricorrenti hanno espresso, in modo contenuto, la loro opinione, GLYPH non disegnandosi dal prospettarla come GLYPH tale. GLYPH Sotto tale profilo, la sentenza
impugnata – nel ritenere configurabile la scriminante del diritto di critica giornalistica, sottolineando che il testo dell’intervista sia stato riportato in modo fedele e imparziale senza commenti tendenziosi o “chiose capziose a margine” che avrebbero potuto rendere il medesimo “dissimulato coautore”- ha fatto buon governo dell’insegnamento di questa Corte secondo cui il giornalista può beneficiare dell’esimente del diritto di cronaca con riferimento al contenuto delle dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie a lui rilasciate, se riportate fedelmente ed in modo imparziale, sempre che l’intervista presenti profili di interesse pubblico all’informazione, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti (dunque dell’intervistato, ma anche della persona offesa dalla diffamazione), al suo oggetto e al contesto delle dichiarazioni rilasciate (Sez. 5, n. 16959 del 21/11/2019, dep. 2020, Rv. 279203) e sempre che le modalità espressive dispiegate appaiono proporzionate e funzionali alla comunicazione dell’informazione, senza trasmodare in un’aggressione verbale del soggetto criticato ( Sez. 5, n. 18170 del 09/03/2015, Rv. 263460-01 nella quale si afferma che sostenere che il racconto giornalistico debba risultare “asettico” ed essere privo di “enfasi” e che il giornalista non possa effettuare “aprioristiche scelte di campo o sbilanciamenti di sorta” in grado di suggestionare il lettore significa, invero, negare la stessaesistenza del diritto di critica)
4.1.In conclusione appar GLYPH on a a a contestazione secondo la quale alla base dell’articolo giornalistico vi sarebbe una “pseudo-intervista” in quanto la censura non si confronta adeguatamente con il risalto dato nel medesimo articolo al fatto che lo stesso COGNOME avesse riferito “di essersi fidat dell’autorevolezza della fonte ( ovvero di COGNOME), ammettendo sostanzialmente di non avere effettuato dirette verifiche, e soprattutto al fatto che lo stesso COGNOME “avrebbe negato in toto la versione del suo vecchio maestro”. Il ricorso, peraltro, non contiene alcuna diretta censura rispetto all’operato del COGNOME– al quale unicamente dovrebbe addebitarsi il fatto di avere reso dichiarazioni sulla fonte del dossier a carico di NOME COGNOME senza alcuna preventiva verifica sull’attendibilità della stessa. Sotto tale profilo, la mancanza di critica all’operato del COGNOME, oltre a rivelare un profilo di inammissibilità del ricorso nei confronti de medesimo imputato, per mancanza di specifiche censure al suo operato, si riverbera, altresì, nell’inammissibilità delle ulteriori doglianze espresse nei confronti di COGNOME e COGNOME,e di NOME COGNOME.
Relativamente a NOME COGNOME infine, l’elaborazione della copertina rappresenta, per segni ed immagini, il contenuto dell’articolo pubblicato all’interno della rivista e, quanto al box relazionale, è stato evidenziato che la stessa persona offesa aveva sostanzialmente ammesso i fatti, pur con differenze ritenute non determinanti sulla superficie dell’immobile occupato.
Risulta priva di specificità, inoltre, la doglianza del ricorrente relativa all mancanza di un interesse pubblico alla diffusione dei dati concernenti l ‘ abitazione e la concessione del prestito alla RAGIONE_SOCIALE, rispetto al quale è stato bene considerato da parte del Tribunale che la qualità dei soggetti coinvolti, la materia in discussione ed il contesto dell ‘ intervista abbiano determinato l ‘ interesse pubblico alla conoscenza dei fatti.
Le doglianze articolate non riescono, in definitiva, a scalfire la tenuta logica della motivazione della sentenza impugnata, collegata alla ricostruzione effettuata dai giudici di primo grado, in quanto connotata da solida affidabilità argomentativa dal punto di vista della ricostruzione fattuale e priva di vizi logico -giuridici.
5.In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 03/10/2024