Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3878 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3878 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ENNA il 24/08/1983 avverso la sentenza del 09/04/2024 della Corte d’appello di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni del difensore di parte civile, avv. NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile o infondato il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato la condanna di COGNOME NOME per il delitto di diffamazione aggravata, ai sensi del comma 3 dell’articolo 595 cod. pen., per avere offeso la reputazione di COGNOME NOME con post pubblicati su Facebook del seguente tenore: “invece mercoledì mattina andiamo tutti ad aspettarlo e sputargli in faccia”; “è una merda”.
I post erano scaturiti dall’assunta indignazione dell’imputato, secondo cui il COGNOME aveva maltrattato un gattino di due mesi, prendendolo a calci e
procurandogli fratture alle zampe posteriori e fuoriuscita di sangue: fatto parzialmente ammesso dal COGNOME, che aveva asserito di aver involontariamente colpito con un calcio l’animale nel tentativo di allontanarlo dalla sua auto, posto che lo stesso continuava a tentare di rifugiarvisi, precisamente all’interno del vano motore.
Ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato sulla base di due motivi.
2.1. Col primo deduce l’insussistenza del dolo, avendo egli agito spinto dall’indignazione e dalla rabbia successive al gesto compiuto dal COGNOME, utilizzando una colorita espressione di sgomento e critica, senza alcuna volontà di offendere gratuitamente lo stesso COGNOME nei confronti del quale era comunque scaturito un procedimento penale per il grave fatto di cui si era reso protagonista.
2.2. Col secondo motivo, parte ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 131-bis cod. pen., posto che, considerati i limiti edittali di applicazione della norma, l’incensuratezza dello stesso imputato e l’esiguità del danno o del pericolo provocato alla persona offesa, come emergente dalla ricostruzione del fatto, la Corte d’appello avrebbe dovuto pronunciare sentenza assolutoria ai sensi di detta disposizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.
Il ricorrente basa le sue doglianze sulla considerazione per cui, avendo egli espresso una critica, seppur aspra, ad un’azione odiosa del COGNOME, la sua condotta sarebbe stata, in definitiva, scrinninata ai sensi dell’art. 51 cod. pen.
Orbene, l’esimente del diritto di critica postula l’utilizzo di termini che, pur se di per sé stessi offensivi, stigmatizzi un fatto ritenuto oggettivamente grave, da valutare alla luce del complessivo contesto in cui essi vengono utilizzati, senza trasmodare nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione. E nella detta valutazione, finalizzata alla verifica del requisito della “continenza”, s deve tener conto del tenore del linguaggio utilizzato, verificando se il destinatario delle parole oggetto di valutazione sia stato esposto al gratuito ludibrio altrui (Sez. 5, n. 8898 del 18/01/2021, Rv. 280571-01; Sez. 5, n. 17243 del 19/2/2020, Rv. 279133-01; Sez. 5, n. 37397 del 24/6/2016, Rv. 267866-01; Sez. 5, n. 31669 del 14/4/2015, Rv. 264442-01).
Sennonché nel caso di specie non pare, anzitutto, che la Corte d’appello abbia considerato esattamente e chiarito il detto contesto.
La stessa, invero, parla (a pag. 6) di un “presunto maltrattamento” da parte del COGNOME, dopo aver essa stessa rimarcato che questi aveva comunque ammesso che, “spinto anche dalla fretta”, aveva colpito “involontariamente il gattino con un calcio” (a pag. 4): apparentemente senza rapportare, pertanto, le frasi in rubrica con quanto oggettivamente percepito dall’imputato, che, evidentemente, nell’esprimersi, aveva certamente veduto il gattino essere colpito con un calcio dalla persona offesa, quand’anche – secondo la versione della medesima – in modo involontario.
Il giudice d’appello parla, ancora, di un «commento altamente offensivo (“E’ una merda”)» senza considerare che non era solo quello il giudizio da dare, dovendosi anche verificare se e perché nella specie, come appena detto, le parole oggetto di contestazione esorbitassero dal limite della continenza, come reiteratamente definito da questa Corte. Ovvero, scontata la natura offensiva della frase predetta, la Corte d’appello avrebbe dovuto chiarire, alla luce del contesto fattuale dato, se la stessa potesse definirsi una critica, seppur aspra, oppure trasmodasse nell’offesa gratuita.
Il giudice d’appello, ancora, pare attribuire decisiva rilevanza ad ulteriori offese di cui il COGNOME sarebbe stato vittima, senza, però, fornirne alcun dettaglio. Ed invero, afferma fossero intervenuti ad “insultare” il COGNOME, commentando il post dell’imputato, “numerosissimi utenti di Facebook” (pag. 6 sentenza impugnata): senza, però, non solo riportare il tenore di tali assunte offese, ma neppure confrontare le stesse coi detti principi in tema di diritto di critica e spiegare per quale ragione, nuovamente, esse trasmodassero i limiti di continenza, nonostante il grave fatto di cui, per sua stessa – seppur parziale – ammissione, s’era reso protagonista il COGNOME.
Da ultimo, è appena il caso di precisare che le menzionate carenze motivazionali nella esatta ricostruzione dei fatti non consentono, evidentemente, a questa Corte di conoscere e valutare la portata “gratuitamente” offensiva delle frasi in esame, così come pure sarebbe stato, in caso opposto, possibile, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità (si veda, tra le tante, Sez. 5 , n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Rv. 278145-01).
In definitiva, la Corte d’appello dovrà rivalutare se il fatto debba considerarsi scriminato ex art. 51 cod. pen. o, in alternativa, possa essere ritenuto di particolare tenuità, considerando i menzionati principi e chiarendo, anzitutto, gli aspetti fattuali anzidetti, ovvero il contesto in cui le frasi dell’imputato furo scritte, sia in relazione agli ulteriori commenti che sarebbero stati espressi a
corredo del post del COGNOME, sia con riferimento alle ragioni – correlate ad un fatto che si presentava particolarmente odioso e che neppure la stessa persona offesa nega nella sua oggettività – da cui tali frasi erano scaturite: chiarendo, alla luce di tali aspetti, se sia stato oltrepassato il limite della continenza e, in caso affermativo, se ciò sia avvenuto in misura tale da escludere anche l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen..
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Caltanisetta.
Così è deciso, 17/12/2024
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