Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 20336 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 20336 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TARANTO il 22/03/1958
avverso la sentenza del 28/01/2025 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
letta la memoria dell’avv. NOME COGNOME difensore della parte civile COGNOME la quale chiede il rigetto del ricorso;
letta la memoria del difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 28 gennaio 2025, la Corte d’appello di Lecce, sezione staccata di Taranto, in riforma della decisione pronunciata dal Tribunale di Taranto, ha ritenuto NOME COGNOME responsabile del delitto di cui all’art. 595, comma 3, cod.
pen. condannandolo ai soli effetti civili al risarcimento del danno in favore delle persone offese costituite parte civile.
1.1. Il COGNOME è accusato di aver offeso la reputazione dell’Associazione RAGIONE_SOCIALE diffondendo -in qualità di segretario territoriale della CISL -presso diversi organi di stampa un comunicato in cui affermava falsamente che i dipendenti del servizio 118 di Taranto, facenti capo alla suddetta associazione non percepivano alcuna retribuzione per il lavoro prestato, nonostante la regolare emissione dei mandati di pagamento da parte della ASL di Taranto in favore della stessa associazione.
In relazione a tale condotta COGNOME NOMECOGNOME in qualità di presidente e legale rappresentante dell’associazione, nonché in proprio aveva presentato querela denunciando il danno all’immagine conseguente alle dichiarazioni false e diffamatorie.
1.2. Il primo grado, il Tribunale di Taranto aveva assolto il COGNOME dal reato contestato ritenendo il fatto giustificato dal diritto di critica, ex art. 51 cod. pen.
1.3. La Corte d’appello, a seguito di ricorso proposto dalle parti civili, ha condannato l’imputato, ritenendo che il comunicato diffuso tramite gli organi di stampa, pacificamente riferibile al COGNOME, non poteva ritenersi scriminato sussistendo un contrasto tra il contenuto delle dichiarazioni rese nella nota trasmessa alla stampa e la verità dei fatti ad essa sottesi. Invero, a differenza di quanto affermato dall’imputato, il quale aveva denunciato la mancata corresponsione degli stipendi, in realtà si sarebbe tratto di meri ritardi nei pagamenti, sicché la condotta posta in essere doveva ritenersi lesiva della reputazione dell’associazione e del suo legale rappresentante.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolando tre motivi di censura.
2.1. Il primo motivo denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione, errata individuazione della condotta attribuita all’imputato, nonché errata applicazione della cd. regola BARD.
La Corte territoriale avrebbe desunto la prova del contenuto della nota inviata dal COGNOME alle testate giornalistiche dalla asserita mancanza di disconoscimento da parte di costui del contenuto della medesima e dalla circostanza che identico era il contenuto riprodotto negli articoli apparsi sui vari giornali. In tal modo la sentenza impugnata avrebbe trascurato una prova decisiva costituita dal documento n. 5 allegato alla querela, concernente l’articolo apparso sulla testata online ‘lavocedimanduria.it’, coevo agli altri articoli, nel quale si faceva testualmente riferimento a «Stipendi pagati in ritardo e decurtati del 30%». La
diversità di tale articolo rispetto a quelli apparsi su altre testate giornalistiche, in cui si affermava il mancato pagamento degli stipendi, sarebbe stata tale da ingenerare un ragionevole dubbio sul contenuto della nota diffusa dal sindacalista. Inoltre, l’asserito mancato disconoscimento da parte del COGNOME della paternità delle frasi incriminate contrasterebbe con l’articolo prodotto dall’imputato in oc casione delle dichiarazioni rese ai Carabinieri durante la fase delle indagini preliminari -nel quale si riproducevano tra virgolette le parole del COGNOME che, nel descrivere il contenuto del comunicato, faceva riferimento alla denuncia di «mancata puntualità nel pagamento delle mensilità ai lavoratori».
2.2. Il secondo motivo denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’esimente del diritto di critica. Il mancato tempestivo pagamento degli emolumenti, denunciato dall’imputato, troverebbe conferma nell’istruttoria dibattimentale nonché nelle dichiarazioni della stessa parte civile, che aveva ammesso che i pagamenti venivano effettuati dopo che la ASL aveva eseguito i versamenti, e perciò in violazione delle disposizioni contrattuali secondo cui detti pagamenti dovevano avvenire alle scadenze pattuite contrattualmente. Invero, il mancato tempestivo pagamento equivarrebbe a privare i dipendenti dello stipendio fino al momento del suo effettivo conseguimento, sicché erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto non veritiere le affermazioni dell’imputato.
2.3. Con il terzo motivo si deduce vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte territoriale fatto malgoverno dei criteri di valutazione del danno equitativo.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso evidenziando come la sentenza impugnata, facendo corretta applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, abbia escluso che la condotta fosse scriminata dal diritto di critica, sulla considerazione che la circostanza affermata dall’imputato del mancato pagamento degli stipendi non corrispondesse al vero e di ciò egli fosse consapevole.
La parte civile ha depositato una memoria, nella quale deduce innanzitutto l’inammissibilità del ricorso per mancanza del chiaro e necessario richiamo alle parti della sentenza impugnata che si ritengono illegittime, e delle specifiche doglianze.
Sostiene, inoltre, che l’impugnazione proporrebbe una inammissibile valutazione del materiale probatorio diversa ed alternativa rispetto a quella
operata dalla Corte d’appello, introducendo altresì per la prima volta nel giudizio di cassazione il tema del disconoscimento della paternità della nota diffamatoria e della sua alterazione da parte degli organi di stampa.
Non rileverebbe la denunciata mancata valutazione della diversità del contenuto dell’articolo pubblicato sul giornale online lavocedimanduria.it, in quanto il ragionamento della sentenza impugnata fonderebbe sul mancato disconoscimento del contenuto della nota da parte dell’imputato. In ogni caso la valutazione richiesta dall’imputato atterebbe al merito della vicenda e sarebbe pertanto inammissibile nel giudizio di legittimità.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il denunciato mancato percepimento degli stipendi da parte degli operatori del 118 non corrisponderebbe al vero, non potendosi equiparare il ritardo nel pagamento di tali stipendi con la loro mancata corresponsione.
Infondata sarebbe la censura con cui si contesta l’assenza di dimostrazione in ordine al verificarsi di un danno di immagine, essendo la sua sussistenza dimostrata dalla capacità intrinseca delle testate giornalistiche di raggiungere un numero indeterminato di persone e dal discredito che il COGNOME aveva percepito nell’opinione pubblica. Inoltre, la sentenza impugnata avrebbe adeguatamente motivato sul punto.
Con memoria in data 24 marzo 2025, il ricorrente ha replicato alle conclusioni del Procuratore generale insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
I primi due motivi di ricorso, in quanto connessi possono essere esaminati congiuntamente. Essi sono fondati, con assorbimento delle restanti censure.
2.1. Conviene premettere che, in materia di diffamazione, questa Corte di cassazione può conoscere e valutare l’offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278145 -01; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014 – dep. 24/11/2014, P.G., P.C. in proc. COGNOME, Rv. 26128401); e ciò ovviamente il giudice di legittimità può e deve fare anche
sotto il profilo del dolo e della sussistenza della scriminante del diritto di critica, allorquando gli stessi elementi evidenziati nella sentenza impugnata depongono per il difetto della componente soggettiva del reato.
2.2. Secondo il costante insegnamento di questa Corte regolatrice, il bene giuridico tutelato dall’art. 595 cod.pen. va individuato, nell’onore nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (la reputazione intesa quale patrimonio di stima, di fiducia, di credito accumulato dal singolo nella società e, in particolare, nell’ambiente in cui quotidianamente vive e opera) di ciascuna persona, l’opinione sociale del “valore” della persona offesa dal reato. L’evento del reato di diffamazione è costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente, a incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino (tra le tante, Sez. 5 n. 5654 del 19/10/2012). Si tratta di evento, non fisico, ma, psicologico, consistente nella percezione sensoriale e intellettiva, da parte di terzi, dell’espressione offensiva (Cass. Sez. 5 n. 47175 del 04/07/2013, Rv. 257704).
Nel caso in esame, la Corte d’appello, pur riconoscendo che la critica alla attività della dell’Associazione RAGIONE_SOCIALE era stata espressa con un linguaggio adeguato, e che la stessa si inserisse in un contesto conflittuale, ha ritenuto che difetta sse uno dei presupposti della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen., cioè la veridicità dei fatti affermati. Ciò in quanto la critica mossa dal COGNOME avrebbe avuto ad oggetto un fatto che «non era stato indicato in termini corrispondenti a quanto effettivamente verificatosi» e riscontrando un contrasto tra la verità dei fatti sottesi al commento e quelli indicati alla base del medesimo. Secondo la sentenza impugnata, la nota inviata ai giornali e da questi pubblicata, facendo espresso riferimento al mancato pagamento degli stipendi ai dipendenti da parte dell’associazione, affermava un fatto non corrispondente alla realtà, desumendone il valore lesivo per l’onore e la reputazione dell’associazione.
4. Tale conclusione è censurabile sotto plurimi profili.
4.1. Innanzitutto, è da rilevare che il comunicato diffuso dal COGNOME, quale segretario territoriale dell’organizzazione sindacale Cisl, non è mai stato acquisito in atti, né risulta in altro modo provato quale ne fosse l’effettivo contenuto. Il suo reale contenuto, pertanto, non è noto e non può essere desunto con certezza dagli articoli di giornale che ne davano notizia, non soltanto in ragione della diversità degli autori di detti articoli rispetto all’autore del comunicato, non potendosene escludere una modifica, se non altro per esigenze redazionali, ma soprattutto
perché -come risulta dalla stessa documentazione allegata alla querela -detti articoli riportano il contenuto della nota in modo difforme, facendosi riferimento in uno di essi (il giornale online ‘lavocedimanduria.it’) al ritardato pagamento degli stipendi e non già alla loro mancata corresponsione.
Inoltre, la circostanza, valorizzata dalla sentenza impugnata, per cui l’imputato non avrebbe smentito che il contenuto del comunicato diffuso fosse quello contestato non può assumere alcun valore probatorio, incombendo sull’accusa l’onere di dimostrarlo. Neppure può attribuirsi univocamente alle dichiarazioni rilasciate dall’imputato in sede di interrogatorio reso nel corso delle indagini preliminari il valore di ammissione, come invece sostenuto dalla Corte d’appello; dette dichiarazioni attestano piuttos to il contrario, e cioè che oggetto delle rivendicazioni sindacali era il ritardo nei pagamenti.
Infine, dall’istruttoria svolta nel corso del giudizio di primo grado (e analiticamente descritta dalla sentenza del Tribunale) era emerso che il comunicato incriminato si inseriva nell’ambito di una lunga e articolata vertenza che aveva portato i dipenden ti dell’associazione, i quali lamentavano il sistematico ritardo nella erogazione degli stipendi (confermato dall’istruttoria dibattimentale), a rivolgersi al sindacato, rappresentato dal COGNOME che aveva messo in atto una pluralità di iniziative per affrontare il problema.
4.2. Ma anche a prescindere dalla dimostrazione della corrispondenza del comunicato predisposto dal COGNOME al contenuto degli articoli di stampa, le affermazioni incriminate devono senz’altro essere ricondotte nell’ambito dell’esercizio del diritto di criti ca sindacale.
Come si è già rilevato, e come puntualmente ricostruito dalla sentenza di primo grado (pagg. 6 e ss.), la nota pubblicata su varie testate giornalistiche costituiva l’ennesima iniziativa assunta dal sindacato in ordine alla situazione lamentata dai dipende nti dell’associazione circa il costante ritardo nel pagamento degli stipendi. In questo quadro, anche a voler ritenere che nel comunicato diffuso dal COGNOME, si facesse riferimento al mancato pagamento degli stipendi, tale affermazione costituiva non già la rappresentazione di un fatto non vero, ma al più un’iperbole che denunciava la condizione dei dipendenti che non ricevevano lo stipendio nei termini contrattualmente stabiliti e che per tale ragione rimanevano senza stipendio, nonostante la puntualità della emissione dei mandati di pagamento da parte della ASL in favore dell’associazione. Tale affermazione era pertanto espressione di una critica all’operato del datore di lavoro rivolta dall’organizzazione sindacale rappresentativa dei lavoratori dipendenti .
Invero, la nozione di “critica”, quale espressione della libera manifestazione del pensiero, a differenza della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, si
concretizza nella manifestazione di un’opinione (di un giudizio valutativo). È vero che essa presuppone in ogni caso un fatto che è assunto a oggetto o a spunto del discorso critico, ma il giudizio valutativo, in quanto tale, è diverso dal fatto da cui trae spunto e, a differenza di questo, non può pretendersi che sia “obiettivo” e neppure, in linea astratta, “vero” o “falso”. Diversamente opinando, si rischierebbe di sindacare la legittimità stessa del contenuto del pensiero, in palese contrasto con le garanzie costituzionali (Sez. 5, n. 42576 del 20/07/2016, COGNOME, Rv. 268044 -01; Sez. 5, n. 13549 del 20/02/2008, COGNOME, Rv. 239825; Sez. 5, n. 13880 del 18/12/2007 – dep. 02/04/2008, COGNOME, Rv. 239816; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, PG in proc. COGNOME, Rv. 221904). La critica postula, insomma, fatti che la giustifichino e cioè, normalmente, un contenuto di veridicità limitato alla oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse (Sez. 5, n. 13264 del 16/03/2005, non massimata; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, Rv. 221904; Sez. 5, n. 7499 del 14/02/2000, Rv. 216534), ma non può pretendersi che si esaurisca in essi.
Come affermato dalla giurisprudenza CEDU, la libertà di esprimere giudizi critici, cioè “giudizi di valore”, trova il solo, ma invalicabile, limite nella esistenza di un “sufficiente riscontro fattuale” (Corte EdU, sent. del 27.10.2005 caso RAGIONE_SOCIALE c. Austria rie. n 58547/00, nonché sent. del 29.11.2005, caso Rodrigues c. Portogallo, ric. n 75088/01), ma, al fine di valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata, è sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perché, se la materialità dei fatti può essere provata, l’esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata (Corte EDU, sent. del 1.7.1997 caso Oberschlick c/Austria par. 33).
Pertanto, la critica, a differenza della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, concretizzandosi nella manifestazione di un’opinione meramente soggettiva (di un giudizio valutativo), non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva e asettica (cfr. ex multis Sez. 5, n. 25518 del 26/9/2016, COGNOME, Rv. 270284; Sez. 5, n. 49570 del 23/9/2014, COGNOME, Rv. 261340; Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, COGNOME, Rv. 249239). Ciò in quanto il giudizio critico è necessariamente influenzato, e non potrebbe essere altrimenti, dal filtro personale con il quale viene percepito il fatto posto a suo fondamento; esso è, per sua natura, parziale, ideologicamente orientato e teso ad evidenziare proprio quegli aspetti o quelle concezioni del soggetto criticato che si reputano deplorevoli e che si intende stigmatizzare e censurare (Sez. 1, n. 8801 del 13/11/2018, Cordova, Rv. 276167; Sez. 5, n. 2092 del 30/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275409 -).
4.3. Nella specie, le affermazioni incriminate -le quali non superano i limiti della continenza -costituiscono puntuale censura di una condotta del datore di
lavoro e risultano pienamente conferenti e funzionali rispetto al contesto conflittuale che vedeva i lavoratori opposti all’associazione da cui pretendevano la puntualità nel pagamento degli stipendi ed erano volte a stigmatizzare e denunciare all’opinione pubblica la condotta della stessa, nonché la problematicità dell’affidamento del servizio di emergenza ad un’associazione privata (Sez. 5, n. 17784 del 07/03/2022, COGNOME, Rv. 283252 -01; Sez. 5, n. 5247 del 04/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258681 -01). Esse, dunque, in quanto tendenti a stigmatizzare gli atteggiamenti del datore di lavoro e a denunciare il malcontento dei lavoratori, costituiscono senz’altro espressione del diritto di critica sindacale.
In conclusione, mancando la prova del contenuto e del carattere offensivo del comunicato trasmesso dal COGNOME alle testate giornalistiche, così come evidenziato sopra nel paragrafo 4.1., ne consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste Così è deciso, 02/04/2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME