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Diritto di critica sindacale e diffamazione

Un rappresentante sindacale viene accusato di diffamazione per aver denunciato il mancato pagamento degli stipendi da parte di un’associazione. Dopo una condanna in Appello, la Corte di Cassazione annulla la sentenza, stabilendo che le sue azioni rientrano nel legittimo esercizio del diritto di critica sindacale. La Corte ha chiarito che, in un contesto di lotta sindacale, anche l’uso di espressioni forti o iperboliche è lecito se basato su un fatto vero, come il sistematico ritardo nei pagamenti.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Diritto di critica sindacale: quando la denuncia non è diffamazione

Il confine tra la legittima protesta e la diffamazione è spesso sottile, specialmente nelle accese vertenze di lavoro. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su questo tema, rafforzando il diritto di critica sindacale e chiarendo come anche espressioni forti, se basate su fatti reali, non costituiscano reato. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

I Fatti del Caso: La Denuncia Sindacale e l’Accusa di Diffamazione

La vicenda ha origine dalla denuncia di un rappresentante sindacale. Quest’ultimo, in qualità di segretario territoriale di un noto sindacato, aveva diffuso un comunicato stampa per denunciare la situazione dei dipendenti di un’associazione che gestiva un servizio di emergenza. Nel comunicato si affermava che i lavoratori non percepivano la retribuzione, nonostante i regolari pagamenti effettuati dall’Azienda Sanitaria Locale all’associazione datrice di lavoro.

Il presidente dell’associazione, sentendosi leso nella reputazione propria e dell’ente, sporgeva querela per diffamazione. L’accusa si basava sull’idea che il sindacalista avesse diffuso una notizia falsa, poiché i problemi non riguardavano un mancato pagamento, ma solo dei ritardi.

L’iter Giudiziario: Dall’Assoluzione alla Condanna in Appello

In primo grado, il Tribunale aveva assolto il sindacalista, ritenendo che la sua condotta fosse giustificata dall’esercizio del diritto di critica, previsto dall’articolo 51 del codice penale come causa di non punibilità.

Tuttavia, la Corte d’Appello, su ricorso delle parti civili, ribaltava la decisione. I giudici di secondo grado condannavano l’imputato al solo risarcimento dei danni civili, sostenendo che affermare il “mancato pagamento” invece del “ritardato pagamento” costituisse una rappresentazione falsa della realtà, e quindi diffamatoria.

La Decisione della Cassazione e il rafforzamento del diritto di critica sindacale

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’appello senza rinvio, stabilendo che “il fatto non sussiste”. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi fondamentali.

La Prova Mancante e l’Incertezza sul Contenuto del Comunicato

Innanzitutto, la Corte ha evidenziato una lacuna probatoria decisiva: il comunicato stampa originale, scritto dal sindacalista, non era mai stato acquisito agli atti del processo. Il suo contenuto era stato desunto solo dagli articoli di giornale, i quali però riportavano versioni difformi. Addirittura, un articolo online parlava di “stipendi pagati in ritardo e decurtati del 30%”, una versione diversa da quella contestata. In assenza della prova certa del testo diffuso, non si poteva fondare una condanna.

Diritto di critica sindacale: ammessa anche l’iperbole

Il punto centrale della sentenza riguarda la natura del diritto di critica sindacale. La Cassazione spiega che la critica è diversa dalla cronaca. Mentre la cronaca deve riportare i fatti in modo oggettivo e fedele, la critica esprime un’opinione, un giudizio di valore. Questo giudizio, per sua natura, è soggettivo e parziale.

L’importante è che la critica si basi su un “sufficiente riscontro fattuale”. Nel caso di specie, il fatto incontestabile era il sistematico e costante ritardo nel pagamento degli stipendi. Questa situazione reale, che creava un grave disagio ai lavoratori, costituiva una base fattuale più che sufficiente per una dura critica all’operato del datore di lavoro.

le motivazioni
La Suprema Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che, nel contesto di una vertenza sindacale, descrivere un ritardo cronico come un “mancato pagamento” non è una falsità, ma un’iperbole. Si tratta di una figura retorica, un’esagerazione finalizzata a denunciare con forza una condizione di sofferenza dei lavoratori, che di fatto rimanevano senza stipendio nei tempi contrattualmente previsti. L’espressione, per quanto forte, era funzionale a stigmatizzare il comportamento del datore di lavoro e a richiamare l’attenzione pubblica sul problema. La critica, pertanto, era pienamente conferente e funzionale al contesto conflittuale. Non si può pretendere che un sindacalista, nel pieno di una lotta per i diritti dei lavoratori, utilizzi un linguaggio asettico e notarile. La sua funzione è proprio quella di dare voce al malcontento, anche con toni accesi, purché non si trascenda nell’insulto personale e la critica poggi su una base di verità.

le conclusioni
La sentenza rappresenta un importante punto di riferimento per la tutela della libertà di espressione sindacale. La Cassazione chiarisce che il diritto di critica sindacale gode di un’ampia protezione, che include la possibilità di usare un linguaggio incisivo e anche iperbolico per denunciare le inadempienze datoriali. Affinché si configuri la diffamazione, non è sufficiente una mera imprecisione terminologica, ma è necessario che la critica si fondi su fatti palesemente falsi o che trasmodi in un attacco gratuito alla persona. In questo caso, la critica era ancorata a una realtà di disagio lavorativo e, pertanto, è stata ritenuta legittima espressione del diritto di critica e di lotta sindacale.

Denunciare un “mancato pagamento” quando in realtà si tratta solo di un ritardo sistematico è diffamazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, in un contesto di critica sindacale, definire un ritardo cronico e sistematico nel pagamento degli stipendi come un “mancato pagamento” costituisce un’iperbole legittima e non una dichiarazione falsa, in quanto si fonda su una base fattuale vera (i lavoratori non ricevevano lo stipendio nei tempi dovuti).

Qual è la differenza tra diritto di cronaca e diritto di critica?
Il diritto di cronaca impone una narrazione oggettiva e fedele dei fatti. Il diritto di critica, invece, consiste nell’espressione di un’opinione o di un giudizio di valore su un fatto. La critica, per sua natura, è soggettiva e non può essere giudicata come “vera” o “falsa”, ma deve semplicemente basarsi su un nucleo di verità fattuale.

Cosa deve dimostrare l’accusa in un processo per diffamazione a mezzo stampa?
L’accusa ha l’onere di provare con certezza il contenuto esatto della dichiarazione ritenuta offensiva. Nel caso esaminato, la mancata acquisizione del comunicato stampa originale ha reso impossibile stabilire con certezza cosa l’imputato avesse effettivamente scritto, portando a una delle ragioni dell’annullamento della condanna.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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