Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 21483 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 21483 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME Bruno nato a BATTIPAGLIA il 06/04/1955
avverso la sentenza del 21/11/2024 della Corte d’appello di Salerno
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
preso atto che, il 24 aprile 2025, l’Avv. NOME COGNOME per la parte civile, ha depositato le proprie conclusioni;
preso atto che il 29 aprile 2025, l’Avv. COGNOME per il ricorrente, ha deposito le proprie conclusioni e che, il successivo 5 maggio, ha replicato alle conclusioni del Procuratore generale.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza oggi al vaglio della Corte è stata deliberata il 21 novembre 2024 dalla Corte di appello di Salerno, che ha confermato la condanna di NOME COGNOME alla pena di 300 euro di multa e al risarcimento del danno nei confronti della persona offesa costituitasi parte civile, per il reato di diffamazione ai danni di NOME COGNOME.
L’imputato all’epoca consigliere comunale di Battipaglia è stato tratto a giudizio perché, nel corso di una conferenza stampa tenutasi il 17 gennaio 2017, aveva parlato del ‘sistema COGNOME‘, assumendo che NOME COGNOME, anch’egli consigliere comunale nella fazione politica opposta:
fosse solito presentare denunzie di reato per danneggiare imprenditori ed indurli a trovare una soluzione transattiva,
-millantasse rapporti preferenziali con magistrati e con appartenenti all’Arma dei Carabinieri;
fosse uno ‘spacciatore di notizie false e tendenziose’;
spendesse la sua funzione pubblica per interessi privati e personali;
avesse avvicinato l’imprenditore NOME COGNOME per dirgli che, se non avesse tolto l’incarico a Di Cunzolo, non avrebbe mai costruito (condotta attuata nella qualità di consigliere comunale e presidente della commissione del puc).
La Corte di appello di Salerno di fatto ridimensionando il giudizio del Tribunale ha concentrato il proprio giudizio circa la natura diffamatoria della condotta e sull’insussistenza dell’esimente del diritto di critica politica sulla sola frase concernente la strumentalizzazione per fini privati della funzione pubblica svolta dalla persona offesa.
Avverso detta sentenza ricorre l’imputato a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con il primo motivo di ricorso, la parte deduce violazione di legge e vizio di motivazione sostenendo che la Corte di appello non avesse esaminato tutti i nove motivi di appello.
Nel dettaglio, il ricorrente richiama ciascuno dei motivi di appello ed i suoi contenuti, onde supportare la tesi che la Corte distrettuale non avrebbe risposto affatto o non avrebbe risposto adeguatamente.
In estrema sintesi, il ricorrente rappresenta che:
-Nel primo motivo di appello aveva lamentato che la motivazione del Tribunale era apodittica e che non spiegava (come poi anche la sentenza impugnata) quali affermazioni dell’imputato fossero state ritenute diffamatorie.
-Nel secondo motivo di appello si era rappresentato che, al tempo dei fatti, il ricorrente faceva parte della maggioranza di governo e COGNOME era all’opposizione e che il Tribunale aveva trascurato la frase che aveva preceduto quelle incriminate, che evidenziava come le sue affermazioni fossero dirette a contestare l’attività politica della persona offesa e non a rivolgergli critiche personali; non aveva valutato che del ‘sistema COGNOME‘ si era parlato in campagna elettorale al solo scopo di individuarne la
condotta politica (COGNOME era candidato sindaco); non aveva contestualizzato le frasi nell’ambito della campagna elettorale.
-Con il terzo motivo di appello l’imputato aveva sottolineato che i fatti oggetto della conferenza stampa si erano verificati nel precedente ventennio e potevano considerarsi circostanze storiche.
-Nel quarto motivo di appello si era rappresentato che l’imputato, nel corso della conferenza stampa, aveva manifestato il suo dissenso alla proposta, proveniente da alcuni consiglieri di maggioranza, di candidare COGNOME alle elezioni politiche, data la sua inadeguatezza.
-Nel quinto motivo di appello si contrastava l’assunto del Tribunale citando alcune dichiarazioni che lo stesso COGNOME aveva pronunziato nel corso del consiglio comunale di Battipaglia.
-Nel sesto motivo di appello si insisteva sulla verità di quanto affermato dall’imputato, con particolare riferimento ai rapporti privilegiati di Motta con i Carabinieri.
-Con il settimo motivo l’appellante aveva lamentato il giudizio del Tribunale sulla natura diffamatoria della condotta, citando una sentenza del Tribunale di Roma.
-Con l’ottavo motivo di appello si era sostenuta la correttezza delle affermazioni del prevenuto secondo cui COGNOME si era avvalso del proprio ruolo politico per esigenze personali.
-Nel nono motivo di appello si era sostenuta la sussistenza dell’esimente del diritto di critica.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. La Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere che l’imputato avesse rivolto a COGNOME accuse di concussione o corruzione ed avrebbe trascurato la sentenza della Corte di appello di Napoli prodotta con l’appello, sentenza che testimonierebbe che l’intervento edilizio progettato dal COGNOME, contro il quale si era scagliato COGNOME, era legittimo.
2.3. Il terzo motivo di ricorso deduce violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento della prova e dei fatti. In particolare, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe pretermesso tutta una serie di elementi che testimonierebbero un’acredine personale di Motta nei confronti di COGNOME e del costruttore COGNOME e la strumentalità delle sue iniziative di denunzia.
2.2. Il quarto motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. Il ricorrente sostiene che il capo di imputazione, così come formulato, sarebbe « erroneo e illegittimo » perché non era contestato che le affermazioni del ricorrente si riferissero solo alla vicenda ‘Pontecorvo’. Assume il ricorrente, a quest’ultimo riguardo, che nel dibattimento, la difesa aveva
efficacemente concentrato l’attenzione su altre vicende atte a comprovare che COGNOME esercitasse la funzione pubblica per fini personali. Inoltre sarebbe errato avere riportato nel capo di imputazione, come affermazione testuale, che il prevenuto aveva affermato che COGNOME « spende la sua funzione pubblica ed utilizza il suo ruolo pubblico per interessi privati e personali » e che strumentalizzava la funzione pubblica per « perseguire » , termini mai adoperati dall’imputato. Nel capo di imputazione, inoltre, la dichiarazione viene erroneamente riportata con il verbo indicativo, mentre si riferiva al passato.
2.5. Il quinto motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. Il motivo esordisce con un riferimento alle espressioni riservate in passato dalla persona offesa all’imputato. E poi si concentra sul coefficiente soggettivo, perché l’imputato riteneva di esercitare il proprio diritto di critica politica.
Alle conclusioni scritte del Procuratore generale che ha chiesto il rigetto del ricorso sono seguite quelle della difesa di parte civile (che non ha chiesto la condanna alle spese) depositate il 24 aprile 2025 e quelle della difesa dell’imputato, depositate il 29 aprile 2025 e il 5 maggio 2025 (queste ultime, in replica a quelle del Procuratore generale). Sia le conclusioni della parte civile che entrambe quelle della difesa dell’imputato sono tardive siccome depositate senza il rispetto dei termini di cui all’art. 611, comma 1, cod. proc. pen. e, pertanto, il Collegio non ne ha tenuto conto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, nel complesso, è infondato.
All’esame dei singoli motivi di ricorso va premesso che le affermazioni del ricorrente pronunziate nel corso della conferenza stampa tenutasi il 17 gennaio 2017 su cui occorre focalizzare l’attenzione, a prescindere dalle molte riportate nel capo di imputazione, è l’unica cui la Corte di appello ha attribuito una portata diffamatoria, vale a dire quella secondo cui COGNOME « spende la sua funzione pubblica e utilizza il suo ruolo pubblico per interessi privati e personali » , frase riferita specificamente ai rapporti con l’imprenditore COGNOME (cfr. pag. 17 della sentenza impugnata).
Questa precisazione diretta a delineare i contorni della decisione della Corte di appello e, di conseguenza, di quella odierna risulta particolarmente utile proprio in relazione al primo motivo di ricorso, che è aspecifico nella misura
in cui si limita a riepilogare i nove motivi di appello e, attraverso la doglianza di omessa risposta a questi ultimi, appare come il tentativo di introdurre nel giudizio di legittimità l’intera e pluriennale dinamica dei rapporti tra imputato e persona offesa, anche con riferimento alle altre informazioni veicolate dal ricorrente agli ascoltatori durante la conferenza stampa; tanto si risolve, oltre che in un’incursione nel merito non consentita dinanzi a questa Corte, in un difetto di confronto con la motivazione della sentenza impugnata, che, come sopra osservato, ha circoscritto la portata diffamatoria della condotta attribuita a COGNOME all’espressione circa la strumentalizzazione della carica pubblica da parte di COGNOME per perseguire interessi personali.
Anche il secondo motivo di ricorso incentrato sull’interpretazione della frase pronunziata da COGNOME e sulla pretermissione, da parte della Corte territoriale, di una sentenza della Corte di appello di Napoli, prodotta con l’appello che testimonierebbe che l’intervento edilizio progettato dal COGNOME, contro il quale si era scagliato COGNOME, era legittimo non supera il vaglio di ammissibilità. Al netto del tema dell’interpretazione della frase di COGNOME su cui pure si intrattiene il ricorso (e per la quale si rinvia al § 6), è opinione del Collegio che il ricorrente non abbia chiarito se ed in che termini la sentenza della Corte partenopea che si assume negletta pronunzia che riguardava una vicenda pur sempre diversa da quella strettamente attinente alla frase pronunziata nel corso della conferenza stampa potesse incidere in maniera decisiva sul verdetto della Corte distrettuale.
Il terzo motivo di ricorso che deduce violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento della prova e lamenta la pretermissione di una serie di elementi che testimonierebbero un’acredine personale di Motta nei confronti di COGNOME e del costruttore COGNOME e la strumentalità delle sue iniziative di denunzia è inammissibile siccome versato in fatto e teso ad ottenere da questa Corte uno scrutinio di merito che esorbita dai confini del giudizio di legittimità (tra le altre, Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260).
Il quarto motivo di ricorso pare affrontare due temi, quello della rispondenza del fatto contestato a quello ritenuto in sentenza e quello della corrispondenza della frase attribuita a COGNOME rispetto a quella effettivamente pronunziata.
5.1. Avuto riguardo al primo aspetto, cui si collega anche la dedotta violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., il ricorso è manifestamente infondato
perché la precisazione contenuta in sentenza, secondo cui la frase ‘incriminata’ si riferiva all’atteggiamento della persona offesa rispetto all’imprenditore COGNOME, non è che una specificazione del significato della frase, peraltro evincibile già dalla lettura della trascrizione della conferenza stampa in cui la frase corpo del reato è riportata (pag. 13). D’altra parte la lettura del combinato disposto degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. non può prescindere dall’esegesi che ne ha offerto questa Corte, anche a Sezioni Unite. Secondo il Supremo consesso, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’ iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619; in termini, cfr. Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Ogbeifun Hope, Rv. 281477; Sez. 2, n. 34969 del 10/05/2013, COGNOME e altri, Rv. 257782; Sez. 5, n. 9347 del 30/01/2013, COGNOME e altro, Rv. 255230; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, dep. 2013, COGNOME e altri, Rv. 254888; nonché le motivazioni di Sez. 5, n. 31680 del 22/05/2015, COGNOME, Rv. 264673). Volendo schematizzare al massimo il principio enunciato, ciò che rileva, dunque, non è il dato ‘secco’ dell’assenza, nella contestazione, del segmento fattuale per cui è intervenuta condanna, ma la concreta verifica se, rispetto a questo novum , l’imputato abbia potuto esercitare le proprie prerogative difensive.
Ebbene, nel caso di specie non risulta che l’amplissima istruttoria dibattimentale di cui la sentenza di primo grado ha fornito un più che dettagliato e analitico resoconto abbia trascurato i rapporti di COGNOME e COGNOME con il costruttore COGNOME.
5.2. Con riferimento al tema della presunta diversità tra la frase riportata nel capo di imputazione ed attribuita dalla Corte territoriale all’imputato e quella effettivamente pronunziata che parrebbe una denunzia di travisamento della prova il ricorso non è ammissibile innanzitutto perché tale denunzia non era contenuta nei motivi di appello, sicché la parte non può dolersene in questa sede. Il Collegio ricorda, a questo riguardo, che non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare siccome non devolute alla sua cognizione,
tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (cfr. l’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. quanto alla violazione di legge; si vedano, con specifico riferimento al vizio di motivazione, Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745 01; Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, Di Domenica).
D’altronde la censura è altresì manifestamente infondata giacché la lettura della trascrizione della conferenza stampa, che documenta la frase corpo di reato, ha consentito di verificare che a pag. 13 è riportata un’espressione che, salvo una diversa, parziale costruzione e l’utilizzo di altre forme verbali che non ne alterano il significato, corrisponde a quella riportata nel capo di imputazione e vagliata dalla Corte di appello.
E’, infine, con il quinto motivo di ricorso che l’imputato, al netto di un’ulteriore, inammissibile incursione nel merito, affronta il tema della esimente dell’esercizio del diritto di critica politica.
Ebbene, il ricorso sul punto è infondato, giacché la frase isolata dalla Corte distrettuale come diffamatoria allude esplicitamente alla strumentalizzazione della propria carica pubblica da parte del COGNOME per coltivare interessi « privati e personali » ed esorbita dai confini della scriminante invocata, in particolare perché trascende il limite della continenza, che, pur con il necessario adattamento al contesto specifico in cui si svolge, deve connotare anche l’esposizione del pensiero critico in ambito politico.
A questo riguardo, vanno richiamati gli insegnamenti di questa Corte, secondo cui la configurabilità dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica, che trova fondamento nell’interesse all’informazione dell’opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici o pubblici amministratori, richiede comunque che l’elaborazione critica non trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui (Sez. 5, n. 31263 del 14/09/2020, COGNOME, Rv. 279909). Secondo Sez. 5, n. 46132 del 13/06/2014, COGNOME, Rv. 262184, sussiste l’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica qualora l’espressione usata consista in un dissenso motivato, anche estremo, rispetto alle idee ed ai comportamenti altrui, nel cui ambito possono trovare spazio anche valutazioni non obiettive, purché non trasmodi in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale dell’avversario. Nella sentenza COGNOME si è ricordato, altresì, che sussiste il delitto di diffamazione solo quando i limiti della necessità dell’affermazione e della diffusione delle idee politiche siano oltrepassati, trasformando la competizione politica in una mera occasione per aggredire la reputazione degli
avversari, con affermazioni che non si risolvono in critica, anche estrema, delle idee e dei comportamenti altrui – nel cui ambito possono trovare spazio anche valutazioni e commenti tipicamente “di parte”, cioè non obiettivi – ma che sfociano in espressioni apertamente denigratorie della dignità e della reputazione altrui ovvero che si traducono in un attacco personale o nella pura contumelia. Negli stessi sensi si è espressa Sez. 5, n. 8824 del 01/12/2010 (dep. 2011, COGNOME, Rv. 250218), secondo cui non sussiste l’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica qualora l’espressione usata consista non già in un dissenso motivato espresso in termini misurati e necessari, bensì in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale dell’avversario. In linea con questi precedenti si pone anche Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249239, secondo cui il limite immanente all’esercizio del diritto di critica è, essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l’utilizzo di argumenta ad hominem .
Né giova alla tesi del ricorrente il pur necessario inquadramento della frase all’interno del contesto in cui essa è stata pronunziata, inquadramento che si impone nel vagliare il superamento del limite della continenza (tra tutte, Sez. 5, n. 4530 del 10/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283964 – 02, in motivazione). Quanto al contesto più specifico, infatti, nulla toglie alla non continenza della frase la circostanza che la conferenza stampa vertesse, appunto, proprio sull’avversario politico di COGNOME; quanto al contesto più generale di contrapposizione politica pluriennale tra COGNOME e COGNOME indubbiamente emerso, quantomeno nei limiti in cui le sentenze di merito lo hanno delineato, esso avrebbe tollerato espressioni astrattamente lesive dell’altrui reputazione da parte di COGNOME, anche veicolate attraverso l’utilizzo di toni aspri e sferzanti, a condizione, però, che esse fossero coerenti rispetto al confronto politico e non si risolvessero come avvenuto nella specie in espressioni generiche che attribuivano a Motta un intento specifico di abusare della pubblica funzione esercitata per scopi personali e, vieppiù, per danneggiare un soggetto a lui inviso.
7. La non manifesta infondatezza del ricorso impone di prendere atto che ad oggi è maturato il termine massimo di prescrizione del reato, pari ad anni sette e mesi sei, cui vanno aggiunti 60 giorni di sospensione per il rinvio per impedimento dell’imputato del 10 marzo 2023.
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione, mentre il ricorso deve essere rigettato agli effetti civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili. Così è deciso, 09/05/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME